Galateo a tavola

Elizabeth

Sono contenta di cenare adesso, così non potrà starmi tanto vicino e mettermi a disagio.

Credo che siamo entrambi un po’ infastiditi perché vorremmo fare altre cose.

Farci altre cose.

«Siediti». Batto la mano sulla sedia bianca e appena sta per accomodarsi, sposto la seduta. Una vendetta per avermi stuzzicata finora.

«Ma cosa…».

«Un gentiluomo offre sempre alla donna il posto accanto al suo e non si siede se c’è ancora una donna in piedi». Noto che non sta prestando attenzione. «Ti serve una dimostrazione?»

«Quanto può essere difficile spostare una sedia?»

«Okay». Aspetto. «Allora?».

James alza gli occhi al cielo e si erge in tutta la sua altezza, esasperato, mentre mi scosta la seduta. Mi sistemo davanti e aspetto che me la avvicini. Faccio per accomodarmi ma… cado a terra.

«Ma cosa cazzo fai?». Lo guardo.

«Mi vendico». Ride mentre allunga una mano verso di me.

«Non è divertente, Rowan!». Mi fa male il sedere.

«Secondo me è uno spasso». Mi strizza l’occhio. «Come ci si sente quando ti tolgono la sedia da sotto il sedere?»

«Cercavo di insegnarti qualcosa».

«Idem, piccola».

«A me non servono lezioni di galateo». Lo fulmino con lo sguardo. «A te sì».

«Certo». Mi sta prendendo in giro, anche se mantiene un’espressione seria. «Per il futuro: potresti dirmi esattamente cosa devo fare? Non vedo il motivo di far diventare una lezione di etichetta più pericolosa di una partita di hockey».

«Dice quello dei due che non si è ritrovato col sedere per terra».

Mi offre una mano. «Le andrebbe di ricominciare?». La prendo. Mi tira a sé con tanta forza che finisco contro il suo petto con un tonfo.

Mi cinge con le braccia e mi stringe. «Vedi? Non è male come pensavi, vero?»

«James, per te ogni scusa è buona per provarci».

«Pensavo fosse parte del mio fascino».

«Non sei pagato per pensare», esclamo. Il mio ego è terribilmente ferito perché ha usato la mia tattica contro di me. Magari ha ragione, non c’è bisogno che usi strategie. Forse basta che gli chieda di fare qualcosa.

Sarebbe decisamente più facile se solo mi ascoltasse!

«Riproviamo», borbotto, scostandomi dal suo abbraccio.

«Le aggraderebbe sedersi?»

«Cosa?», gracchio. «No». Sollevo una mano. «Ti stai sforzando troppo. Non c’è bisogno di essere così cerimonioso».

«In che senso?»

«Cerca di essere più spontaneo». Rifletto. «Per esempio prima, quando hai detto: “Le andrebbe di ricominciare?”. Ecco, andava bene. Non ci sono regole fisse, ma non sembrava che volessi fare il gentiluomo a tutti i costi. Oggigiorno, di tanto in tanto si sentono ancora termini come “aggradare”, ma è raro che vengano utilizzato se non in contesti molto formali».

«Okay, non ripeterò più lo stesso errore». Sembra frustrato. «Cercherò di non sembrare troppo impostato».

«Eccellente».

Serra le labbra e guarda le mie.

«Cosa?»

«Hai appena detto…». Scuote la testa. «Non importa».

«No, dimmi».

«Sembravi impostata».

«Quelli della mia levatura si aspettano che sia rigida in contesti mondani. Come tradizione vuole, sono stata cresciuta da ragazze alla pari e da tate americane».

«Quindi sei scusata».

«Esatto, ma dovresti esserlo anche tu, visto che sei il prototipo dell’uomo Banks».

«Sono una versione potenziata dell’uomo Banks», esclama. «Scopo anche».

Sospiro e mi sposto verso il bancone dell’area bar. «Mi serve un drink».

«Pensavo non bevessimo sul lavoro».

«Ora sì».

«Quindi finché sto alle tue regole va tutto bene, giusto?»

«Inizi a capire». Appoggio la bottiglia sul tavolo. «Dov’eravamo rimasti?»

«Stavo per offrirti una sedia».

«Giusto». Mi guardo oltre la spalla prima di posizionarmi tra la sedia e il tavolo.

James scosta la sedia e si allontana non appena mi siedo. Mi alzo subito.

«Ora cosa c’è?»

«Devi tenere le mani sulla sedia fino a quando non mi sono accomodata e avvicinare leggermente la sedia verso il tavolo prima di prendere posto anche tu».

«Lo terrò a mente».

Resto in piedi.

«Sul serio?». Sospira e si passa una mano tra i capelli, gli occhi si accendono di esasperazione.

«Abbiamo un’altra ventina di minuti prima che arrivi la cena».

«Potremmo sederci e goderci la compagnia».

«James».

Sospira ancora una volta. «Accomodati, Lizzy». Scosta la sedia ancora un po’.

«Grazie». Resto sorpresa quando l’avvicina al tavolo e aspetta che io sia comoda prima di prendere posto davanti a me. «Vedi? Perfetto. Facile, no?»

«Certo che era perfetto». Osserva l’argenteria con la mascella tesa. Ovviamente è ancora infastidito da tutto questo. «E questa roba cos’è?»

«Una tavola apparecchiata».

«Non possiamo usare una forchetta, un cucchiaio e un coltello?». Solleva il coltello da burro. «E questo a cosa serve? Per rimuovere discretamente un pelucco dalla tovaglia?»

«È un coltello da burro». Ma dice sul serio? Cerco di interpretare la sua espressione per capirlo. «Vorresti versare il vino?»

«Certo». Allungandosi, prende la bottiglia, la porta sotto il naso e annusa. «Sembra buono». Si riempie il bicchiere e poi fa lo stesso col mio.

Lo guardo a bocca aperta, poi mi annoto mentalmente di lavorare un’altra volta alla selezione dei vini.

Alza il bicchiere. «Un brindisi».

«Sono curiosa».

«Alla donna che mi ha assoldato. Che possa cambiarmi in un uomo migliore».

Sollevo il calice e poi mi fermo, notando lo sguardo di sfida che mi rivolge.

Beve e poi chiede: «Cosa c’è?»

«Non voglio cambiarti in un uomo migliore, James. Io…».

«Va bene». Si riempie di nuovo il bicchiere. «Non ti sentire male per questo. Almeno hai un motivo per volermi cambiare». Sorseggia il vino. «La maggior parte delle donne desidera cambiare i propri uomini per motivi personali, tu ne hai uno lavorativo. Strettamente lavorativo. Pensiamo solo al lavoro, no?».

Giusto.

«James…».

Prima che possa dire altro, il citofono ci avvisa dell’arrivo della cena.

«Salvato in extremis», commenta, sollevando la mano per farmi cenno di non alzarmi da tavola. «Per favore, resta seduta. Mi piacerebbe mangiare prima che sia notte, faccio io». Mentre si allontana, aggiunge a bassa voce: «Dio solo sa quante ore ci vorrebbero per mangiare se tu ti alzassi da quel tavolo».

«La cena è servita». Sorride quando torna. «Dove vuoi che le metta?». Alza due buste bianche.

«Sul bancone, dove vuoi. Sposto tutto nei piatti».

«Non è necessario che ti disturbi tanto, ereditiera».

«Invece sì», esclamo, già in piedi. «Solo il meglio per te».

«O lo fai per te?»

«Per noi», gli assicuro, sperando di poter cenare rilassati.

«Deve ammettere che la sola idea di sedermi a tavola mi mette in soggezione».

«Ti spiegherò tutto io, passo per passo».

«Fallo».

«Cosa?». Smetto di aprire i contenitori del cibo.

«Sii così gentile da spiegarmi prima di mangiare».

«Non sarebbe meglio se…».

«No». Scuote la testa e si fa da parte, allargando un braccio di lato. «Dopo di lei, signorina Banks».

Torniamo in sala da pranzo e lui mi domanda subito: «Allora, cosa devo sapere?»

«Sarebbe più semplice se avessimo il cibo davanti».

«La cena è la prova generale, io voglio imparare le basi. Spiegami qualcosa e ti mostrerò quanto imparo in fretta».

«Ah, è così?».

Mi rivolge il suo sorriso beffardo. «Nessuno si è mai lamentato».

«Ed eccolo che ricomincia». Rido. «Meno male che sei tornato te stesso».

«Non me ne sono mai andato, dolcezza. Tu vuoi fare bella figura, lo rispetto. Forza, diamoci dentro. Ho fame». Gli squilla il telefono e controlla i messaggi.

«Aspetti una chiamata importante?»

«No».

«Bene. Silenzia il cellulare prima di sederti a tavola, in qualsiasi occasione».

«Okay». Lo fa. «E ora?»

«Tovagliolo in grembo. In teoria lo dovresti fare dopo che l’ha abbassato la padrona di casa, ma va benissimo anche appena ti siedi».

Si butta il tovagliolo sulle gambe. «Adesso?».

Rabbrividisco quando noto il gomito sul tavolo.

«Qualcosa non va?».

Dalla voce sento che è infastidito, quindi cerco di essere gentile. «Non dovresti mettere i gomiti sul tavolo prima del pasto. È troppo informale e inappropriato».

«Gomiti. Capito».

«Dopo aver mangiato, puoi essere un po’ meno formale e appoggiarti. Alcuni uomini si sporgono sul tavolo per parlare alla compagna, va bene. Ma mai prima di mangiare».

«Ottimo». Si sforza di sorridere. «Facciamo in fretta così possiamo passare alla cena».

«Certo». Picchietto sul tavolo. «Ora passiamo all’ordine delle posate».

«Sembra una disposizione perfetta per perdere tempo».

«Invece è perfetta e basta».

«Un tavolo con troppi bicchieri, piatti e posate». Mi guarda. «Pensi davvero che sia necessario?»

«Lo sarà». So che è frustrato, quindi gli do alcuni consigli veloci. «Usa la forchetta con i piatti piani. Il cucchiaio per qualsiasi cosa sia in un piatto fondo».

«Quindi devo usare tutte queste forchette per un piatto solo?»

«No, adesso ti spiego». Prendo fiato. «Okay, il modo migliore per spiegarlo è partire dall’esterno. Tagli con la mano dominante, appoggi il coltello e mangi un boccone. Se qualcosa sul tavolo è fuori dalla tua portata, chiedi che ti venga passato. Se qualcuno chiede il pepe, passa anche il sale».

«Ma se hanno chiesto solo il pepe, vorranno quello».

«Forse, ma è educazione allungarli entrambi».

«Capisco». Sembra annoiato. «Che altro?»

«Se ti alzi dal tavolo durante il pasto, chiedi scusa. Appoggia il tovagliolo alla sinistra del piatto. Vai via senza spiegare la ragione».

Dopo qualche altra regola, James annuncia: «Ho fame, mangiamo».

Si alza in fretta, prima che io possa spostarmi. Va da una parte e anch’io. Si muove verso destra, e io a sinistra.

Ci sorridiamo. Restiamo intrappolati in questo momento carico di tensione, pieno di cose non dette.

«E ora, ereditiera?». Mi posa una mano sulla vita. «Cosa dice il galateo per un momento come questo?»

«Io…».

Si inumidisce le labbra e io non posso non guardare quella lingua birichina, quel movimento lento e prolungato.

Sta pensando di baciarmi? Voglio che ci pensi?

No.

Voglio che mi baci.

«Mi sposto io», esclama facendosi da parte.

«Grazie».

«Dopo di te». Mi fa cenno di proseguire con un braccio.

Sospiro e mi aggiusto il vestito con le mani che tremano mentre faccio un passo avanti.

Una volta in cucina, si mette in disparte e mi guarda riempire i piatti in silenzio. «Ti dispiace portare l’insalata in tavola?»

«Con piacere». Prende la grossa insalatiera e in quel momento le nostre dita si sfiorano, gli sguardi si incontrano. «Lizzy… io…».

«Cosa?». Il mio corpo va a fuoco. Ho un tremito alle mani e il fiato corto.

Mi guarda negli occhi. Deglutisce. «Non ti deluderò».

«Grazie».

Annuisce e scompare in sala. E, per la prima volta da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, mi chiedo come sarebbe se mi tenesse per mano durante una cena a lume di candela.

Come sarebbe stare con uno come lui. Una persona unica, che non si concentra sulle apparenze ma solo su sé stesso, su ciò che vuole, che lo diverte e gli piace.

Porto il mio sogno a occhi aperti ancora più in là e immagino una scena vietata: James che mi porta fuori a cena e mi dà il bacio della buonanotte.

Purtroppo, le mie fantasie non vogliono fermarsi a quel bacio e alla promessa di richiamare. Il mio sogno proibito finisce con un bacio della buonanotte che però segue una meticolosa esplorazione di tutto ciò che è vietato.

James e io non ci separiamo prima dell’alba, nel mio sogno. Forse non ci separiamo e basta.