Il canale

Lizzy

«Grazie, LB», esclamo nel ricevitore, in ufficio, quando mi arriva una mail. «Do un’occhiata e ti faccio sapere».

«Okay, Lizzy, stammi bene».

«LB, aspetta!», dico prima di terminare la chiamata.

A un certo punto dovrò ammettere l’errore e l’idea negativa che mi ero fatta di lui, e forse è arrivato il momento. Andiamo molto d’accordo ultimamente e voglio proprio parlargliene. «LB, mi dispiace per quello che ho detto al lancio. È stato cattivo e maleducato e tu mi hai aiutato tanto dopo…».

«Non l’ho fatto solo per te, Lizzy, ma anche per tuo padre e la Banks Limited. Anche se in effetti è stato un piacere darti una mano», aggiunge. Capisco dalla sua voce che sta sorridendo. «Dopotutto sei una Banks. Con tutta probabilità un giorno sarai il mio capo».

«Oppure tu sarai il mio», replico.

«Sì, be’, non mi dispiacerebbe in nessuno dei due casi», risponde.

Sorrido e riattacco. Suppongo che dovrei essere felice. Mio padre mi ha incaricata di trovare il volto della collezione per la prossima stagione. Qualcuno che sia rude e raffinato, come il nostro ultimo modello, che è meglio non nominare. LB mi sta aiutando. Ora capisco perché papà si fida di lui. Sa il fatto suo e gioisce dei successi della Banks.

Mio padre ha anche deciso di posticipare la decisione riguardo al nuovo CEO. Forse sarò io a diventarlo, perché riesco a pensare fuori dagli schemi, o forse toccherà a LB perché ha passato più tempo di me in azienda. In un modo o nell’altro, la Banks Limited sarà nelle mani di qualcuno che ci tiene davvero.

Ed è tutto ciò che voglio.

Ma quel momento è ancora lontano. Mio padre ha cominciato a fare esercizio dopo il ricovero e non è mai stato meglio.

Lo stesso vale per la Banks Limited. La tempesta mediatica relativa a James si è placata dopo un paio di settimane, ma le pubblicità in cui compare lui sono senza dubbio le più efficaci di sempre. La nostra collezione sta andando a ruba. Mio padre era infastidito all’idea di non potersi assicurare James per altre stagioni, ma è stato contento di non cederlo comunque alla concorrenza.

Ovviamente, io non l’ho più visto.

Sono passate due settimane da quando l’ho lasciato in quel campo a sud di Atlanta. Da quando ha rifiutato il resto dei soldi. Da quando me ne sono andata, sperando che mi corresse dietro, che mi richiamasse. Mi sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Una telefonata, un messaggio. Qualsiasi cosa, anche solo per dirmi che stava bene. Ho pensato di scrivergli ma apparteniamo a mondi troppo diversi. Se mi avesse ignorata, non credo che sarei riuscita a sopportarlo.

A volte faccio un giro in macchina nella sua zona. Passo davanti al Tim’s Bar e sono tentata di entrare. Lo immagino seduto lì, nel suo “ufficio” nell’angolo, con i suoi fan. Una volta sono persino arrivata fin di fronte a casa sua, ma non ho notato F-150 nel vialetto.

Mi resta solo YouTube. A parte l’acrobazia che ho visto con i miei occhi nel campo, non ha caricato niente di nuovo. La sua pagina Facebook dice che sta preparando qualcosa di pazzesco, ma non ci sono altri dettagli.

Anch’io potrei dedicarmi a qualche acrobazia.

Scappare dalla torre d’avorio in cui vivo.

Smettere di sopravvivere e iniziare a vivere.

A quanto pare James non è l’unico ad aver imparato qualcosa nei mesi che abbiamo passato insieme.

Quindi ho deciso che vivrò. Io e Jeanine abbiamo sempre scherzato su un viaggio zaino in spalla nell’entroterra australiano. Ci dicevamo che non avremmo resistito due giorni senza scoppiare a piangere per un’unghia spezzata.

Ho prenotato un volo. La prossima estate ci vado. E se Jeanine dovesse avere un impegno in tribunale all’ultimo minuto, partirò da sola.

Senza nessuno che mi tenga la mano, mi paghi le bollette o mi faccia la spesa, senza qualcuno che mi imponga chi devo o non devo frequentare.

Sto vivendo.

Vorrei poterlo dire a James. Credo sarebbe fiero di me.

Apro il file con tutti i potenziali modelli che LB mi ha inviato. Sono belli e rudi, ma nessuno di loro si avvicina minimamente a James.

Inizio a segnare le mie impressioni, così potremo stringere il campo a tre persone da contattare, ma mi suona il telefono. È Michael.

«Ciao», lo saluto, contenta. Non lo sento dalla Fashion Week, quando mi ha detto che l’idea di non poter più vestire James gli spezzava il cuore. «Come va?»

«Tesoro», canticchia. «Le senti le sirene?».

Sirene? Scosto il telefono dall’orecchio. Sì, sento delle sirene in lontananza, si stanno avvicinando. «Cosa succede?».

Mi affretto verso il balcone, ma Michael mi dice: «Accendi la TV sul notiziario del quarto canale, in fretta».

Col cuore in gola afferro il telecomando e faccio come mi ha detto. Cosa succede, va a fuoco l’edificio? Strabuzzo gli occhi quando mi rendo conto che c’è un giornalista fermo qui di fronte, davanti al Paramount. «Ma cosa…», mormoro quando il reporter comincia a parlare.

«Se vi siete appena collegati, vi ricordiamo che siamo davanti a uno dei complessi più alti del centro, dove pare che un uomo stia cercando di scalare la facciata con addosso uno smoking e senza alcuna attrezzatura da scalatore».

No.

NO.

Intontita, vado verso il balcone e apro le portefinestre.

Esco col cellulare ancora all’orecchio. Michael sta dicendo qualcosa ma io non capisco una sola parola. Lentamente mi sporgo dalla balaustra.

James.

«Ciao, ereditiera», mi grida come se fosse uscito per una semplice passeggiata mattutina.

È a circa tre piani da me, appeso a uno dei balconi sottostanti. E io sono al ventesimo.

«James! Ma cosa fai?», strillo.

«Jimmy, te l’ho detto. Ecco un ingresso trionfale».

«Oh, mio Dio», mormoro mentre supera agilmente il balcone. Ora è in piedi sulla ringhiera, due piani sotto di me. Un’ottima posizione se ti senti un po’ avventuroso e hai tendenze suicide. Anche solo vederlo da qui mi fa venire le vertigini. «Avresti potuto usare l’ascensore».

«E allora…». Fa una pausa e si allunga per afferrare il parapetto del balcone sotto il mio. «Dove sarebbe stato…». Si tira su, ora è appeso e deve fare affidamento solo sulle braccia per sollevarsi. «Il divertimento?».

Trattengo il fiato mentre lui si issa sul balcone, fermandosi per un attimo, piegato, con le mani sulle ginocchia.

Solleva un dito e, riprendendo fiato, esclama: «Un ottimo allenamento. Ci sono quasi».

Resto a fissarlo, in parte terrorizzata all’idea che possa cadere, in parte a disagio. Perché c’è un camion dei pompieri sotto casa e tutti gli inquilini sono usciti sui balconi. Ci sono anche due auto della polizia. Un agente con un megafono grida qualcosa che non capisco. Scommetto che da qualche parte c’è Charlie che riprende tutta la scena.

Non posso crederci.

Ricomincia la sua scalata, allungandosi per raggiungere la mia ringhiera. Quando riesco a vederlo meglio, mi rendo conto che indossa un completo Intrigue della Banks. «Ma sei matto, James Rowan?», gli dico quando appoggia il torso al parapetto e mi sorride.

«Sì. E forse andrò anche in galera». Non appena si solleva, io lo afferro per assicurarmi che non cada, pur sapendo benissimo che è in grado di cavarsela da solo. Lo tiro in salvo e lui crolla sul pavimento. «Mi pagherai la cauzione?»

«Ma certo. Perché hai…».

Alza le spalle riprendendo fiato. «Una scommessa».

«Una… scommessa?».

Si alza e mi prende la mano, portandomi accanto al parapetto. Saluta con la mano le persone sotto e l’elicottero – che ora vola vicino all’edificio – per far sapere che sta bene. «Sì. Mi hanno sfidato a dimostrarti e a dirti quando sono fottutamente innamorato di te».

Dev’essere per forza un sogno. Sto sognando. Rispondo in un fiato: «Davvero?»

«Certo. E ora ho una sfida per te, ereditiera».

«Ah, sì?».

Sorride, il suo sguardo brucia più di mille soli. «Anzi, è più un’offerta davvero allettante».

Sono ancora allibita. «Ti ascolto».

«Allora, sarà coinvolta un’immensa quantità di tequila scadente. Bisognerà mangiare con qualsiasi forchetta ci si trovi a disposizione. Non ci si potrà rasare», esclama, sfregando la barbetta sul mento. Si toglie la cravatta e la lancia dal balcone. «E si fottano le cravatte».

Mi si avvicina e slaccia il primo bottone della camicia. Per la prima volta dopo settimane, dopo Los Angeles… riesco a respirare.

È merito suo.

È questo che mi fa stare con lui.

«E un’altra cosa – potrai parlare di scopare tutte le volte che ti verrà in mente, a patto che tu lo faccia solo con me». Mi rivolge un’occhiata seria. «Ci stai?».

Ho la pelle d’oca. Mi fa paura sentirmi così, perché mi sembra di poter volare.

Annuisco, immergendomi in quegli occhi azzurri, nella sua fossetta e nel modo in cui mi guarda. «Come posso rifiutare un’offerta del genere?».

Mi tira a sé. Tutte le persone che ci stavano guardando esultano e gridano. Poi, come se non gli importasse di nulla – come se contassimo solamente noi – mi solleva il mento e mi bacia.

«Che gesto estremo», mormoro senza fiato mentre ci sfioriamo le labbra.

«Niente più gesti estremi, Lizzy», mi dice mordicchiando il labbro inferiore, poi leccandolo. «Viviamo e basta. Voglio che tu lo faccia con me. Pronta?».

Potrò anche aver passato venticinque anni a seguire le orme altrui, a fare quello che ci si aspettava da me e a sottostare a quello che la società mi imponeva in quanto Elizabeth Banks. Ma niente mi è mai sembrato così giusto come quando guardo i suoi occhi e vi leggo il mio futuro. Forse sono partita con l’idea di plasmarlo, ma è questo sexy e meraviglioso scavezzacollo che ha plasmato me. E ora? Non cambierei una virgola.

Sì.

Sono pronta.