L’alta moda a New York
Lizzy
Sono qui. Sono a New York, la capitale mondiale della moda, per l’inaugurazione della Fashion Week. Sbircio nel corridoio principale, dove le persone si stanno già raccogliendo – la sala è gremita dell’élite dell’alta moda. Controllo il telefono. Tra dieci minuti faremo il nostro ingresso trionfale. Poi lui socializzerà per circa un’ora prima che io salga sul palco e lo presenti formalmente.
Ma James dov’è?
Guardo nella sala sul retro, non c’è. Gli ho scritto dicendogli di incontrarci quindici minuti prima dell’inizio e di indossare lo smoking Intrigue della Banks, il nostro pezzo più costoso ed esclusivo.
Congiungo le mani per scaricare lo stress ma non aiuta. Frugo nella borsa e ne estraggo i foglietti con la scaletta del discorso che terrò tra poco. È molto semplice:
Benvenuti alla Fashion Week e al lancio della collezione più interessante mai realizzata dalla Banks Limited. Sono Elizabeth Banks, e quando mio padre ha cominciato quest’attività più di trent’anni fa, desiderava che Banks fosse sinonimo di stile, eleganza e ricercatezza. Il volto dell’ultima collezione, James Rowan, incarna tutti questi elementi. James è un businessman di successo, un modello per gli altri uomini, una persona di classe che sa apprezzare il lusso. È il vero uomo del ventunesimo secolo, a suo agio sui campi da golf, a teatro e anche a un’elegante cena di lavoro. Si gode le cose belle della vita e per questo indossa Banks, l’alta moda maschile, famosa a livello mondiale. Siamo lieti di presentarvi James Rowan!
Lo so a memoria ma il cuore non smette lo stesso di battere all’impazzata. Sembra che voglia schizzarmi fuori dal petto e scappare via. Mi faccio aria al volto con la mano. Fa caldissimo.
Apro una porta e guardo fuori, pensando che forse potrei svenire, quando sento una presenza dietro di me.
Mi volto.
James.
Oddio. Ma com’è possibile che ogni volta mi tolga il fiato? Non l’ho mai visto più elegante, più calato nella sua parte.
Allungo una mano e gli sistemo la cravatta – che in realtà è già perfetta. «Sei fantastico», mormoro. Le lacrime mi bagnano gli angoli degli occhi.
Lui se ne accorge, mi accarezza una guancia e asciuga via la mia commozione. «Tu sei bellissima».
Gli sorrido. Il suo sguardo è intenso e penetrante come sempre, ma noto un velo di tristezza nei suoi occhi. Forse perché il contratto sta per scadere. Ovviamente possiamo pensare di prolungarlo. Mio padre sarà sicuramente dell’idea, visto quanto sono andate bene le vendite. Ma in questo momento regna l’incertezza, perché non sappiamo davvero cosa succederà dopo.
Io so solo che voglio ci sia lui nel mio “dopo”.
In qualsiasi modo.
Schiudo le labbra per dirgli tutto questo ma LB si affaccia alla porta. Guarda James, si sistema le maniche della giacca. «Siete pronti?».
Annuisco.
LB sorride. «Be’, sicuramente è stato un bel turbinio di eventi. Devo ammettere che avevo i miei dubbi, ma James, ne sei uscito in grande stile. Non sono mai stato così contento di avere torto in vita mia».
Mi stupisco quando mi rendo conto che LB sembra sincero.
Freddo come il ghiaccio, James annuisce e gli strizza l’occhio. «Puoi intestare quell’assegno a James Rowan», esclama sollevando il mento.
LB spalanca gli occhi.
James lo ignora, porgendomi il braccio. «Andiamo?».
Sorrido. «Andiamo».
Poi mi apre la porta e facciamo il nostro ingresso nella sala da ballo.
C’è tantissima gente – chiunque conti qualcosa in città è qui. Tutte le persone più importanti. I reporter famosi, i blogger e via discorrendo. Stringo il suo braccio mentre mi accompagna nel salone dell’hotel cinque stelle che abbiamo affittato per l’evento. Credo di essere più nervosa di quanto non sia lui. Guardo a sinistra, vedo il suo profilo virile e mi si stringe lo stomaco. Ha un volto che – finora – era esistito soltanto nei miei sogni. Mascella scolpita alla perfezione. Labbra forti, carnose, da baciare. Occhi azzurri, limpidi e acuti, che sembrano laser quando mi fissano. Incrocia il mio sguardo e il sorriso diabolico che tende la sua bocca vale un milione di dollari.
Esattamente la cifra che mi costa. Proprio quello che spendo per questo ragazzo. E avrei pagato molto di più.
È come se fosse l’unico uomo nella stanza. Sembra a suo agio. Sprizza sicurezza da tutti i pori. La virilità gli avvolge il corpo perfettamente, tanto quanto l’abito nero su misura che indossa. Cammina come fosse il padrone del posto. Il mio cuore batte sempre più forte per lui.
Non posso credere di essere riuscita a convincerlo a fare questo.
Le donne si litigano la sua attenzione. I suoi gesti sono fluidi. Sofisticati. Eleganti.
«Un autografo?», domanda timidamente una ragazza.
Prende il taccuino e la penna che la donna gli porge e scarabocchia il proprio nome. Con voce bassa e roca, mormora: «Ecco a te». Sotto quella maschera splendente c’è una rozza energia maschile. La determinazione che l’ha portato qui.
«James…». Lo fermo prima di proseguire. «Qualsiasi cosa succeda…».
Mi guarda. Mille parole aleggiano nel suo sguardo. «Lo so».
Lo sa davvero? Mi sono innamorata della mia creazione. Ho lucidato un diamante e ora è meraviglioso. Perfetto. Ma non è mio.
Lui non è mio.
«Mi gira un po’ la testa», gli dico mentre scendiamo la scala. «Credo che andrò al mio tavolo per un attimo».
Annuisce e mi accompagna. Scosta la sedia e mi aiuta a prendere posto come se lo facesse da una vita. Il suo respiro è caldo sulla mia guancia quando si china e mi chiede: «Tutto bene?».
Non ne sono sicura. Non credo che mi riprenderò mai se qualcosa dovesse andare storto stasera. Ecco come mi sento. Come se questa notte non fosse solo un banco di prova per la Banks, ma per tutta la mia vita. Se dovessi uscire di qui senza di lui, perderei la cosa migliore che mi sia mai capitata.
E ne ho una paura incredibile.
«C’è parecchia gente che vuole parlarti, puoi andare a fare un giro», gli dico. «Poi, alle venti, farò l’annuncio ufficiale. Va bene?».
Annuisce, sfiorandomi la spalla nuda con un dito. Poi se ne va.
Lo guardo allontanarsi e penso a quel vecchio detto: “Se ami qualcosa, devi lasciarla andare”.
Io lo amo. Amo James. Amo Jimmy. Entrambi. Amo ogni parte di lui, non importa chi sia. Ricco o povero, non importa.
E dopo stasera, quando il contratto scadrà, sarà libero.
Spetterà a lui decidere se tornare da me. In caso contrario so solo una cosa: non incontrerò mai più un uomo che mi faccia sentire come mi fa sentire lui.
Lo osservo girare per i tavoli bevendo litri d’acqua. A un certo punto Jeanine si siede accanto a me. Indossa un abito dorato e ha i capelli raccolti, sembra una divinità bionda. «Non è male, eh?», mormora.
«Per niente». E chiaramente non sono l’unica a pensarla così. Per trovare un’altra donna che non sia attratta da lui bisognerebbe impegnarsi a fondo.
«E l’hai creato tu. Come ci si sente?».
Scuoto la testa. «Io non ho creato nulla. Era già fantastico prima che lo incontrassi».
Jeanine mi guarda con un sopracciglio inarcato. «Oh, non mi dire che ti sei innamorata».
Mi volto verso di lei, mi accorgo che mi sudano le mani. Le asciugo sull’abito. «No».
Non puoi innamorarti di una stella che brilla nel firmamento, giusto?
«Be’, sono contenta di sentirlo. So quanto è delicato quel tuo cuoricino, non vorrei vederti soffrire. Perché lui sta per andarsene, tesoro».
La guardo. «Cosa?»
«È per questo che ci siamo incontrati. Ha firmato un contratto importante l’altro giorno, con la Quill Couture. Sarà il loro testimonial dalla prossima stagione».
Aggrotto la fronte. «Aspetta, come… sei seria? Pensavo lo avessimo…».
«No, l’avevate solo per questa stagione. Non pensavo fosse necessario aggiungere una clausola d’opzione per l’anno successivo. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe diventato tanto ricercato?». Sembra preoccupata e dispiaciuta, ma non è nulla in confronto a come mi sento io.
Mi si intorpidisce il corpo mentre metabolizzo quelle parole. “Se ne andrà. James se ne sta andando. Senza di me”.
Allora era a questo che lavorava? Voleva fregarmi e lasciarmi tramortita nella sua scia? Lo guardo all’altro capo della stanza. Sorride, stringe mani, tutti lo adorano. Intanto, qualcosa di rovente e pericoloso si accende dentro di me. «Ma come ha potuto farlo? Come ha potuto accettare un’altra proposta senza dirci nulla? Sicuramente mio padre gli avrebbe offerto la stessa somma!».
Jeanine sospira. «Lo so, gliel’ho detto. Ma sembrava irremovibile. Credo che Kim…».
Mi guardo intorno e trovo Kim.
La fisso con orrore e mi rendo conto che è bellissima, perfetta, semplicemente… non me. Non la ragazza che ha sempre voluto cambiarlo ma una persona che vede solo la nuova versione di James. Qualcuno che lo pagherà tutti i soldi che vuole e anche di più.
Qualcuno che… forse è davvero perfetto, a differenza mia.
Deglutisco a fatica e Jeanine segue il mio sguardo. «Mi dispiace, tesoro, ero certa che avrebbe scelto te. Gli ho detto di parlarti, di ripensarci, ma ha deciso di accettare la loro offerta. Ero così delusa… Sembrerà anche un principe azzurro, ma è solo un ranocchio. Davvero bello, ma pur sempre un ranocchio». Jeanine appoggia la borsa sul tavolo. «Vuoi che ti porti dello champagne?».
Champagne?
Jeanine mi stringe la spalla per attirare la mia attenzione, ma non riesco nemmeno a respirare, bere è fuori discussione. La stanza inizia a girare. Ho la vista appannata. Gli ho dato tutto, ho cambiato la sua vita e lui come mi ripaga? Mi scopa e mi abbandona?
Un piano perfetto.
Un’altra meravigliosa aggiunta alla mia vasta collezione di perdenti.
Immagino mio padre che mi dice “Te l’avevo detto”. Ma stavolta è ancora peggio. Non è laureato nelle università più prestigiose e nemmeno un uomo d’affari di successo. È un signor nessuno. L’ho tirato fuori dal letame e l’ho reso chi è ora. E in cambio lui mi ha usata e poi buttata via.
Forse sono io la nullità e lui l’ha capito.
Mi ha preso in giro fin dall’inizio? Aveva già in mente di lasciarmi? Stava solo ridendo di me, aspettando di farmela pagare per aver pensato di essergli superiore?
Sento le lacrime fare capolino. Non posso piangere qui, in questa stanza, con James. «Devo andare, ho bisogno di un po’ d’aria», mormoro alzandomi.
Ma non credo che una boccata d’aria sia quello che mi serve.
Superando la zona bar, dove vengono preparati cocktail fruttati, esotici e blu, vedo la risposta.
Quando il barman è voltato, afferro una bottiglia quasi piena di Patrón ed esco dalla sala.
James
Quando torno al tavolo, mancano quindici minuti alle venti. È quasi l’ora.
Ma non trovo Lizzy da nessuna parte.
La cerco nella sala, scansando alcune persone che mi chiedono un autografo, ma vedo arrivare la Vedova Nera in persona, Kim.
«Non stasera», le mormoro senza nemmeno guardarla. «Te l’ho detto. Quando vuoi ma non stasera. Non le rovinerai questo evento».
Alza le spalle. «Tra poco avremo il nostro momento. Non volevo parlarti di questo, comunque, James. Pensavo volessi sapere dov’è Lizzy. Sembri preoccupato».
Aggrotto la fronte. «Dov’è?»
«Be’, circa un quarto d’ora fa è uscita da quella porta con una bottiglia di tequila».
Una bottiglia di tequila? Merda. Ne ho abbastanza dei giochetti di Kim. A proposito di giochetti, prima, quando stavo salutando gli ospiti, ho visto Jeanine e Lizzy parlare e Lizzy aveva gli occhi incollati su Kim. «Cosa le hai detto?», ringhio, ricordando l’espressione terrorizzata di Lizzy mentre la guardava.
Batte le ciglia con fare innocente. «Niente! Non le ho nemmeno parlato!».
La afferro dalle spalle. «Cosa cazzo…». Mi fermo quando vedo i presenti voltarsi verso di me. La lascio andare. Mi sta sorridendo, come se sapesse di aver avuto la meglio. «Se le hai detto qualcosa, aiutami, io…».
Mi fermo di nuovo. Cosa posso fare? Ha lei il coltello dalla parte del manico.
Sistemo la sedia sotto il tavolo e mi affretto fuori dalla sala, cercando Lizzy per i corridoi. Corro nell’altro salone vuoto, nell’ingresso, supero il banco del check-in e il concierge, vado al bar, al ristorante dell’hotel… Di lei nessuna traccia.
Cazzo, dov’è?
Mi metto le mani tra i capelli, mi volto, mi chiedo dove altro possa essere andata. Fuori?
Kim mi ha seguito. Fa per prendermi la mano e io mi scosto in fretta.
Basta. Ne ho abbastanza di tutto. Di questa gente falsa che finge di apprezzarti ma vuole solo avere il sopravvento sugli altri. Se la ricercatezza e l’eleganza sono questo, che si fottano. Possono tenersele.
Mi cinge con le braccia. «Dai, Jimmy», cantilena prendendomi in giro. «So come farti sentire meglio».
Nasconde il viso nel mio collo e prima che possa spingerla via, vedo Lizzy che rientra da fuori, con in mano la bottiglia di tequila mezza vuota.
Si paralizza.
E l’occhiata che mi rivolge è da apocalisse, cazzo.
Una cosa da cui so che non mi riprenderò mai per il resto dei miei giorni.
Lizzy
Quando sono uscita con la mia bottiglia di Patrón, pensavo di non poter stare peggio di così.
Poi sono stata redarguita dall’usciere, che mi ha intimato di riportare la tequila al bar o avrebbe chiamato la polizia. A quel punto però ne avevo già bevuta metà. All’inizio bruciava, ma quando ne ho fatto un sorso proprio davanti al concierge, andava giù come acqua. Da vera stronza viziata, gli ho risposto: «Ma sai chi sono? Sono Elizabeth Banks. È la mia festa, quella lì dentro».
«Va bene, signorina Banks», ha detto in tono condiscendente, tenendomi per il gomito. «Perché non torniamo dentro e riconsegniamo la bottiglia al bar?».
Me lo sono scrollato di dosso. «Perché invece tu non rimani qua fuori e te ne vai a quel paese?».
E ho bevuto un altro sorso. In quel momento ho iniziato a sentire freddo. Freddo e caldo, in realtà, allo stesso tempo.
Sono tornata dentro e ho scoperto che in realtà potevo stare molto peggio.
Perché ora sto guardando Kim, la mia rivale, abbracciata al mio… qualsiasi cosa sia per me. Il mio niente? Il mio niente che sembra tutto?
Non appena mi vede, James si libera dalla stretta e cammina svelto verso di me. Lascio cadere a terra la bottiglia. Lo schianto è rumoroso, le schegge di vetro volano ovunque. Lui apre la bocca per dire qualcosa e io corro via, sul retro dell’hotel. Qualsiasi posto va bene, basta fuggire da qui.
Mi serve un luogo dove non possa seguirmi.
Il bagno.
Non ci arrivo, però, perché lui mi afferra prima che possa entrare. Mi prende per le spalle e mi stringe a sé. Per tre secondi mi abbraccia, ripetendo mille volte il mio nome, come se per lui avesse un valore.
Fa troppo male.
Lui mi fa troppo male.
«Ti sei scopato anche lei?», balbetto, liberandomi dalle sue braccia e cercando di smettere di piangere.
«No. NO».
«Be’, perché no?». Sembro isterica. Singhiozzo anche mentre mi divincolo. «Cosa ti ha fermato? Cosa ti impedisce di scoparti tutte le donne che ci sono qui? Ti vogliono tutte, signor Raffinatezza. Signor Peeerrrfezione».
Mi afferra di nuovo per le spalle e mi dà una stretta per attirare la mia attenzione, leggo la frustrazione nei suoi occhi blu puntati su di me. «No, Lizzy, c’è una cosa che mi blocca. Non lo capisci? È…».
«Oddio, ma quello è James Rowan!», grida una donna di mezza età nell’atrio, affrettandosi verso di lui. «Venite tutti! È quell’uomo bellissimo sui manifesti a Times Square!».
«Vai», mormoro, dandogli una spinta al petto. «Saluta il tuo pubblico adorante. Mostragli quanto sei peeerrrfetto, James», sibilo.
All’improvviso, un’orda di donne vola verso di lui. James si volta per un attimo, dandomi la possibilità di scappare alla toilette.
Forse cerca di seguirmi, ma non mi importa. Mi infilo in uno dei bagni e strappo quasi tutto il rotolo di carta igienica per fermare il mare di lacrime.
Sono troppo ubriaca, riesco a malapena a stare in piedi dritta. Le pareti si piegano e si muovono sotto ai miei occhi.
Passato un minuto o magari un’ora, sento bussare alla porta e qualcuno – credo LB – mi dice: «Lizzy? Tocca a te tra due minuti!».
La voce sembra provenire da sott’acqua. O filtrata da uno strato di cotone.
Due minuti. Per cosa?
Ah, già, il discorso.
Non so nemmeno come percorrere la sala. Apro la porta e sbatto le palpebre per cercare di vedermi riflessa nello specchio. È tutto annebbiato, come se mi guardassi attraverso un caleidoscopio, ma di certo non ho l’aspetto migliore del mondo. Ho i capelli arruffati e il viso rosso.
Ma chi se ne frega, tocca a me.
Si va in scena.
La rabbia inizia a rimpiazzare il dolore. Mi soffio forte il naso in un asciugamano, lo butto via ed esco dal bagno. Quando arrivo nella sala da ballo, inciampo nei miei stessi piedi mentre raggiungo il tavolo. Afferro la borsetta a tentoni e noto che LB mi sta guardando. «Stai bene, Lizzy?».
Gli faccio il saluto militare. «Mai stata meglio, stronzetto».
Ops, forse non avrei dovuto dirlo.
Che si fotta, gli passerà, mio padre lo paga abbastanza.
Salgo sul palco o, meglio, barcollo fino a raggiungerlo. Non mi importa. All’improvviso penso che potrei ridere di tutto questo perché non mi importa.
Il vestito ora sembra avere troppo tessuto e mi intralcia, cazzo. Così prendo quella stoffa in eccesso che sento tra i polpacci e me la carico su un braccio. Mi aggrappo al palco come fosse un’ancora di salvezza e faccio cenno alla band di smettere di suonare. Mi ritrovo davanti i volti stupiti degli invitati.
«Okay, gente!», grido. «Diamo il via alla festa!».
Questa frase ha fin troppo effetto e li placa sul serio. C’è tanto silenzio che non si sente volare una mosca. Ma nelle mie orecchie percepisco il battito accelerato del cuore. Suona stranamente attutito.
Sbatto le palpebre e abbasso gli occhi sui fogliettini del discorso. La grafia è troppo piccola. E poi, ho scritto questa merda in cinese?
Li butto via.
Sollevo il capo per assicurarmi che tutti stiano prestando attenzione. Sì, sono ancora lì. Dio, sono così silenziosi e immobili… è un pubblico o la fotografia di un pubblico?
«Bene», esclamo, cercando di pensare a cosa volessi dire. «Allora, perché siete qui stasera?». Indico persone a caso in platea, prendendo tempo. Sembrano cerbiatti spiazzati dai fari di un’auto. «Bella domanda».
Non mi ricordo un cazzo di niente.
Guardo LB, sperando che mi suggerisca qualcosa, ma quello stronzetto non fa altro che fissarmi in silenzio. Grazie, coglione.
Mi viene in mente qualcosa. «Ora mi ricordo, sono Lissy Banks». Il nome suona tutto sbagliato e so che con le prossime parole dovrò stare più attenta. Ma per qualche motivo, quello che dico subito dopo suona come: «Coshurewikbanslanc».
Qualcuno tossisce. Li sto perdendo.
Ma mi sento bene. Come se potessi affrontare il mondo, come se potessi cambiare le cose.
«Scusate, ricomincio». Afferro il microfono e decido che è meglio se cammino tra il pubblico, perché forse, muovendomi – anche con questo stupido abito – riuscirò a tenere il passo della stanza, che pare girare vorticosamente intorno a me. Vengo colta da un lampo di ispirazione mentre barcollo tra gli astanti. «Quando mio padre ha avviato quest’azienda, più di treeenta anni fa, voleva che la Bangs fosse simomino di stile, eleganza e raffinatessa. Il volto della nostra ultima collezione, James Rowan…».
Dovrei dire “incarna tutti questi elementi” e poi James dovrebbe fare il suo ingresso, con i riflettori puntati addosso, percorrendo la passerella con una piccola piroetta finale. E lo fa, trasudando sicurezza e controllo, ma io non riesco a pronunciare quelle ultime parole. James mi guarda, gli occhi carichi di preoccupazione.
Ma che falso, non gliene importa niente. Come a nessuno dei presenti.
Volevo creare l’uomo perfetto, ma ho semplicemente plasmato un altro personaggio fasullo.
Lo fisso. Mi trema la voce.
E qualcosa dentro di me si spezza.
«Il volto della nostra ultima collezione, James Rowan, è… un maledetto impostore».
Lo sguardo indurito di James mi si posa addosso. Cerco di evitarlo, ma anche i presenti mi stanno fissando.
«È la verità. Tutti credono che sia un…». Non riesco a parlare. «Una persona elegante, la personificazione dello stile e della grazia. Col cazzo! Non sapeva nemmeno che esistesse un coltello per il burro quando l’ho conosciuto. Tre mesi fa viveva praticamente in strada, in un locale, e accettava sfide sul suo canale di YouTube per pochi spiccioli. Non è nessuno e voi credete sia la cosa migliore dopo il pane in cassetta. Siete un branco di stupidi, pendete dalle sue labbra come fosse il messia – ma se metti un completo a un topo di fogna, sempre un ratto rimane».
Mi guardo intorno, tutti i volti degli ospiti sono pallidi per lo shock, ma a me non importa più.
«Vi presento il nuovo volto della Banks Limited, cazzo: ecco a voi quel bugiardo coglione di James Rowan».
Poi lascio cadere il microfono a terra e scappo via, più veloce e più lontano che posso, lasciandomi alle spalle la sala, dove regna un silenzio di tomba.
James
Non è così che immaginavo di passare la mia prima serata a New York.
Dopo che Lizzy è fuggita lasciandomi solo sul palco con duemila persone a fissarmi, ho lentamente lasciato il podio e l’ho seguita.
Ma era scomparsa.
Jeanine è arrivata poco dopo. «Ma guarda un po’», ha detto. «Sei di nuovo un signor nessuno. Pare proprio che vi abbia fottuti entrambi…».
Ho sollevato una mano e l’ho zittita con un’occhiata. «No. Non parlare mai più a me o a Lizzy».
E poi sono corso fuori, allentandomi la cravatta, ignorando gli sguardi delle persone per strada. Volevo vedere Lizzy, ma sapevo che aveva chiuso con me. Forse avrei potuto spiegarle alcune cose, ma ero stanco. Stanco di tutte queste stronzate.
Ho vagato senza meta per ore, fino a ritrovarmi nel mezzo di Times Square. Ed eccomi lì, sulla facciata di uno degli edifici – un manifesto gigante, alto dieci piani, su cui compaio io, appoggiato a un muro, con lo stesso smoking della Banks che indosso ora. Anche se tutt’intorno ci sono molti altri cartelloni, io sono il punto focale.
Porca miseria.
Tiro fuori il telefono perché vorrei fare una foto da mostrare a Charlie, poi mi fermo.
Mio fratello non vuole una mia foto, vuole me.
Vado su internet e sposto il mio volo a domani mattina. Ci sarebbe un’intera settimana piena di incontri programmati, ma dal modo in cui tutti mi hanno guardato credo di aver finito qui.
Visto che non porterò a termine l’incarico, non vedrò la seconda tranche di denaro.
E il mio contratto con la Quill salterà.
Devo anche duecentomila dollari a LB e dopo tutti gli acquisti che ho fatto appena dopo aver incassato il primo assegno, non credo di avere abbastanza credito in banca per saldare il mio debito.
Ma non importa.
Non mi importa della macchina, della casa o della tata, nemmeno della lussuosa scuola privata. Non mi importa di niente.
Solo di lei.
E ho fatto una stronzata colossale.
Era così difficile metterla al primo posto? Mandare al diavolo i soldi, l’immagine falsa che ho costruito? Lizzy sapeva chi ero dall’inizio e non le è mai importato; ma io ero comunque convinto che non sarei stato degno di lei, se non mi fossi trasformato nel coglione che sono attualmente. Ho trattato male la mia famiglia, Charlie e chiunque mi volesse bene. E tutto per questa idiozia.
Me lo merito.
«Ehi!», mi chiama qualcuno. «Ma tu non sei James Rowan?».
Alzo le spalle. James, Jimmy. Non ho la minima idea di chi io sia in questi giorni.
Non rispondo, quindi mi lasciano in pace. Volto le spalle al manifesto e chiamo Charlie. Quando risponde con la voce impastata dal sonno, mi rendo conto che è già passata la mezzanotte. «Ehi, sono io», esclamo.
«Jimmy? Ma che ora è?»
«Non importa. Volevo dirti che domani mattina sarò a casa. Okay?»
«Davvero?». Sento una punta di emozione nella sua voce. «Ma come…».
«Dimentica tutto il resto. Vengo a casa da te perché sei la cosa più importante che ho, ora e per sempre». Mentre cammino qualcuno mi urta ma non mi interessa. Mi sento già più forte. «Okay?»
«Sì, Jimmy. Ah, ascolta…».
«Dimmi».
«Non te l’ho detto perché ero arrabbiato con te, ma la scorsa settimana è passata Lizzy».
Davvero? Ora capisco perché si sentiva abbandonata. «Va bene, tigre».
«E… ancora una cosa. Non ho finito di fare le valigie».
«Non ci pensare. Che ne dici di andare a girare qualche video questo weekend?»
«Sul serio?»
«Sì. Controlla la mail e guarda se ci sono delle scommesse che credi dovrei accettare. Va bene?».
Me lo immagino darmi il pugno in segno d’intesa. «Va bene!».
«Buonanotte, ci vediamo domani».
«A domani, Jimmy».
Chi sono io? James? Jimmy?
Quando riattacco, so già la risposta.