La resa dei conti
Lizzy
Lunedì mattina. Sto aspettando l’ascensore e penso che potrei vomitare.
Di nuovo.
Ho passato l’intera notte del lancio nella mia stanza d’hotel, abbracciata al WC, liberandomi di tutta la tequila che ho bevuto e della bile. Al mattino, quando mi sono svegliata, mi faceva male il diaframma e non riuscivo ad alzarmi dal letto nemmeno per controllare il telefono. La domenica, quando ho iniziato a sentirmi meglio, ho guardato il cellulare e ho trovato un messaggio di mio padre.
TORNA A CASA COL PROSSIMO VOLO.
Solo questo, tutto maiuscolo.
E mi sono subito sentita ancora peggio.
Avevo gradualmente cominciato a rendermi conto del pasticcio che avevo combinato con la Banks Limited, la carriera di James, il rapporto con mio padre e la mia stessa dignità… In soli cinque minuti sul palco.
Ma onestamente la cosa mi ha toccato fino a un certo punto. Non mi è importato che tutta la gente nella hall dell’hotel mi guardasse e sussurrasse quando ho trascinato la valigia verso l’uscita. Non mi è importato quando in aeroporto ho viso la TV e mi sono resa conto che il mio breve discorso e la figuraccia di James avevano fatto il giro del mondo, arrivando persino alla CNN. E non mi importa il fatto che probabilmente verrò licenziata.
Davvero, che differenza fa? Finirò nella mia casa ben arredata ad aiutare un’organizzazione non profit in Uganda e mi sentirò vuota come ora.
Prendo l’ascensore per arrivare all’ultimo piano. Questa volta il mio appuntamento è alle undici, non sono certo la prima del mattino, perché è questa la posizione che occupo attualmente nella scala di priorità di Harold Banks.
Quando arrivo in sala d’attesa, la segretaria mi saluta: «Oh, ciao! Elizabeth!».
In ufficio sono tutti in fermento a causa di quello che ho fatto. Sembra stupita dal fatto che io abbia il coraggio di presentarmi qui.
«Tuo padre è un po’ in ritardo. Siediti pure. Vuoi del caffè?».
Scuoto la testa e mi accomodo, picchiettando le dita sul ginocchio. Mio padre è uscito dall’ospedale dopo solo un giorno di degenza, quindi nessuno ha scoperto nemmeno che era stato ricoverato. Proprio come voleva lui. A differenza mia, ha portato la sua menzogna fino in fondo.
Mentre me ne sto seduta, ripasso mentalmente quello che gli dirò. “Mi dispiace” non mi sembra abbastanza per il gran casino che ho combinato. Credo che potrei scusarmi fino alla fine dei miei giorni e comunque non riparerei il danno. Quindi forse è meglio non provarci nemmeno.
Dopo un po’ la segretaria mi guarda e dice: «Puoi entrare».
Annuisco e la ringrazio in un sussurro, mi avvicino alla pesante doppia porta e la apro.
Mio padre è seduto dietro la sua ampia scrivania di legno, le mani giunte di fronte a sé. «Lizzy».
Entro e mi rendo conto che c’è anche LB.
Certo.
Mi siedo accanto a lui, il più lontano possibile.
Il cipiglio di mio padre è più spaventoso e duro del solito. «Cos’hai da dire a tua discolpa, signorina?».
Tutte le scuse che avevo in mente si dissolvono.
Ho fatto tutto quello che ho fatto perché pensavo di dover fare i salti mortali per mio padre. Perché volevo che riconoscesse il mio valore.
Ma era davvero necessario?
Sollevo le mani. «Non riuscivo a trovare nessun altro e volevo dimostrarti che ero in grado di occuparmi del lancio. Che potevo creare un uomo di cui tutti si sarebbero innamorati, così ti saresti finalmente reso conto che sono brava a fare il mio lavoro, e non ho solo un bel visino».
«Brava a fare il tuo lavoro? È questo che ti sembra di essere?».
Mi si blocca il respiro in gola.
«Ero sotto pressione. Mi serviva un uomo e ne ho trovato uno».
Mio padre sbatte le mani sul tavolo. «Te lo sei scopato?».
Sono spiazzata. Deglutisco a fatica.
«Sono innamorata di lui», sussurro.
Alza gli occhi al cielo. «E credi che lui ti ami? Sei fuori di testa. Quella roba che hai trovato – non voglio nemmeno chiamarlo “uomo” – ti userà solo per il denaro».
Le sue parole non mi feriscono. «Non importa», mormoro. «Non mi ama, è finita».
Mi osserva per un lungo momento. «Lizzy, tu hai tutto. Quell’uomo non può offrirti nulla. Perché dovresti…».
«Perché lo voglio, papà!», gli grido. «Questo dovrebbe essere abbastanza! Sono tua figlia, ma non sono te! Quello che provo, quello che voglio e mi piace… perché non è mai abbastanza per te? Perché devo sempre desiderare quello che desideri tu, anche se mi fa star male? Perché?».
Inizio a singhiozzare col volto tra le mani.
Mio padre guarda LB. «Lasciaci soli».
«Ma…».
«Ne parleremo dopo».
Lo sento alzarsi e un attimo dopo la porta si chiude.
Quando sollevo lo sguardo, mio padre mi sta osservando. «Dimmi cosa vuoi, Lizzy».
«Voglio che tu veda che sto facendo del mio meglio. Forse non la penso come te, ma le mie opinioni sono comunque valide. Magari non sarò la migliore in questo campo, ma è un lavoro che adoro. E tutto quello che ho fatto l’ho fatto per te e per l’azienda. Non volevo pescare James da un tugurio. Sono stata costretta, perché tutti gli altri uomini della lista hanno declinato l’offerta e volevo che tu fossi fiero di me. Tutto qui».
Singhiozzo così forte che mi si appanna la vista.
Segue una lunga pausa. All’improvviso mio padre mormora: «Quello che volevo dire è… cosa vuoi quando si parla di questo tizio, di questo James».
Sbatto le palpebre. «Non importa. Mi ignora da quando siamo tornati da Los Angeles. Quando lo vedo, lui…».
«Per l’amore del cielo, Lizzy, lo fa perché l’ho minacciato».
Mi paralizzo. «Cosa?»
«Gli ho detto che se si fosse ancora avvicinato a te, gliel’avrei fatta pagare. Mi ha risposto che non gli importava nulla di quello che sarebbe accaduto a lui, ma che se qualcosa fosse andato storto, non avrei dovuto prendermela con te».
Sono sconvolta. «Davvero?».
Si alza, si scosta dalla scrivania e fa il giro per sedersi sul bordo.
Mi porge un pezzo di carta.
Lo guardo tra le lacrime. È un assegno da cinquecentomila dollari. Intestato a James Rowan.
«Cos’è questo?», domando. «Lo vuoi pagare perché mi stia lontano?»
«È questa la somma che gli hai promesso a fine contratto, vero?».
Annuisco. «Ma…».
«Credi che sarebbe interessato a stare con noi per… i prossimi tre anni?».
Sbatto le palpebre stupita. «Cosa?»
«LB mi ha appena informato degli incassi del weekend. La Banks Limited ha aumentato le vendite. La cattiva pubblicità non esiste. La gente non vuole James Bond, vuole la possibilità di trasformare un uomo ordinario in qualcosa di eccezionale. Le stime sulle vendite di quest’anno sono già quadruplicate».
Resto a bocca aperta.
«Parte di questo business è sapere quando correre un rischio. Tu hai fatto un enorme salto nel buio. E sei stata ricompensata».
Continuo a fissare l’assegno, poi mio padre. Non riesco a parlare.
«E sì, hai una testa tutta tua e sono contento che tu non abbia paura di usarla. Non posso dire lo stesso per tutti i miei dipendenti», dice, guardandomi e restando per un attimo in silenzio. «Sono fiero di te, Lizzy, ce l’hai fatta».
Mi stringe a sé in un abbraccio rigido e imbarazzante.
Ma è un abbraccio!
Mio padre mi sta abbracciando. Per la prima volta da… quando? Non me lo ricordo nemmeno.
«Ma…».
«Non posso dire di approvare James. Ma almeno ha avuto le palle di farsi avanti. E questo lo rispetto davvero tanto».
Mi scosto, tremando, gli occhi spalancati. «Papà?». Sta davvero dicendo quello che penso?
Annuisce e mi spinge verso la porta. «E ora vattene. Devo lavorare».
Esco con la testa che gira. No, non è una vera e propria approvazione da parte di Harold Banks, ma non credo sia in grado di darne.
E James ci si è comunque avvicinato moltissimo.
James
Batto le mani di fronte all’obiettivo quando Charlie inizia a registrare. «Bene, sono stato sfidato dall’utente sickkid09 a stare in piedi sul cassone di questo autocarro mentre il conducente sfonda un muro fatto di tubi di neon ai cinquanta all’ora». Mi sistemo gli occhiali e il casco in testa. «E cosa otterrò, Charlie? Cinquecento dollari?».
Charlie annuisce.
«Cinquecento. Soldi facili, andiamo!».
Siamo nel mezzo di un campo deserto a sud di Atlanta e il sole sta per tramontare. I vecchi tubi luminosi sono stati recuperati nell’immondizia ma ci abbiamo mezzo un’eternità a sistemarli per formare un muro. Ho una sola possibilità per questa acrobazia e non è dei tubi che mi preoccupo, anche se probabilmente ne uscirò con qualche taglio. È cadere dall’autocarro che mi spaventa.
Scompiglio i capelli di mio fratello e lo porto a una distanza di sicurezza, in modo che possa posizionare la telecamera. «Ci sei? Non ti muovere da questo punto, qualsiasi cosa succeda. Okay?».
Annuisce. «Sì, Jimmy».
Mi pulisco le mani sui jeans, infilo i guanti e li stringo all’altezza del polso.
Luke mi strizza l’occhio dalla cabina di guida dell’autocarro che abbiamo recuperato dallo sfasciacarrozze. Salgo in cima e divarico le gambe per avere una base più solida. «Pronto, Charlie?».
Annuisce.
Batto sul tetto del camion per segnalare a Luke di dare gas e partire.
Lo fa. Partiamo da lontano, così che possa accelerare e colpire i neon alla velocità prevista. Quando il veicolo è già in movimento, noto una macchina sportiva grigia che percorre la strada nella nostra direzione, avvolta da una nuvola di polvere.
Sembra l’Audi di Lizzy.
Ma non è lei, ovviamente. L’ultima volta che l’ho vista, una settimana fa a New York, mi ha dato del coglione, dell’impostore e del bugiardo.
Tutti appellativi che mi sono meritato.
Non ho capitalizzato il mio quarto d’ora di celebrità. Ho ricevuto chiamate da tutti i notiziari e i giornali del Paese, inclusi GMA e «USA Today». Volevano che parlassi di quello che mi ha ispirato nella trasformazione. Ho declinato ogni richiesta.
Cosa mi ha ispirato? Non i soldi, non i vestiti, non la possibilità di essere qualcuno che non sono.
A ispirarmi è stata Lizzy. L’ho seguita fuori dal Tim’s Bar perché avevo una bella sensazione riguardo a quella donna.
Mi ha convinto a essere qualcosa di più che un coglione, un impostore e un bugiardo.
A essere me stesso.
Anche se odia la persona che sono, per il momento è il meglio che possa offrire.
Sento la macchina fermarsi quando il camion raggiunge la velocità massima. Mi tengo al tetto del veicolo con le mani guantate e mi preparo all’impatto. Con la coda dell’occhio vedo il mio sogno dai capelli scuri scendere dall’Audi.
Perdo la presa.
Ed ecco lo schianto.
I vetri si infrangono sul mio viso. Un milione di piccole lame mi feriscono la pelle e il camion si ferma. Il mio corpo si muove ancora. Gli stivali perdono aderenza e vengo sbalzato oltre la cabina di guida, volando di testa nel fango.
«Jimmy!», grida un coro di voci.
Charlie. Lizzy.
LIZZY?
Tutto diventa nero.
Quando sbatto le palpebre, un minuto o un’ora più tardi, sento che Luke mi dice: «Ehi, Jimmy, tutto bene?».
Resto fermo nel pantano, stordito, girato di fianco. «Dammi un attimo».
Ancora Luke. «Conta fino a dieci. Uno, due… muovi le dita». Lo faccio. «Uno, due… muovi quelle dei piedi. Tu sei matto, amico». Poi sembra allontanarsi. «Sta bene, ha solo preso una bella botta».
«Grazie al cielo», esclama una voce femminile familiare.
Lizzy?
Apro gli occhi e mi aggrappo al braccio del mio amico per sollevarmi. Lizzy. È qui. Come se fossi morto e mi risvegliassi in paradiso. «Cosa ci fai qui?», gracchio, togliendomi schegge di vetro dai capelli e arrancando verso di lei mentre mi massaggio il collo.
«Stai sanguinando». Sembra preoccupata.
Mi pulisco il viso. Ho sangue e schegge sulle guance. «Allora dovresti essere contenta, no?».
Charlie si intromette: «Jimmy, sto ancora riprendendo».
Giusto, me n’ero quasi dimenticato. Gli faccio girare l’obiettivo verso di me e dico: «Be’, sickkid09, hai perso cinquecento dollari. A tutti quelli che mi seguono, grazie per essere stati con me. Ci vediamo la prossima volta».
Spegne la telecamera. Gli do una pacca sulla spalla e gli dico di andare ad aspettare nel pick-up di Luke per qualche momento.
«Così puoi parlare con la tua fidanzata?».
Gli tiro un altro buffetto sulla testa. «Vai, forza».
Obbedisce.
Guardo Lizzy. È estremamente fuori luogo qui, con il suo tailleur grigio e i tacchi che affondano nel fango. Ma è una visione celestiale per i miei occhi stanchi. «Be’, ereditiera, sei un po’ fuori dal tuo quartiere».
«Dov’è la tua Porsche?», domanda.
Agito una mano in aria. «Quel rottame continuava a incastrarsi nel fango. Mi sono preso un F-150 usato. E posso ancora permettermi di mandare Charlie alla Westminster. Non è il massimo, ma mi accontento».
«Mmm. Vedo che sei tornato alle tue acrobazie spericolate», commenta seccamente.
Alzo le spalle e mi tolgo il casco. «Sì. Be’, puoi togliere un topo dalla fogna, ma non puoi togliere la fogna dal topo, mi sbaglio?».
Sussulta. «A proposito… ero ubr…».
«Avevi ragione, Lizzy. È questo che sono. Il mio unico errore è stato fingere di essere qualcun altro».
Scuote la testa.
Io annuisco.
Smette di scrollare il capo e resta a guardarmi, mordendosi il labbro inferiore come a trattenere una frase che stava per dire. Cerca nella borsa e ne estrae una busta che mi porge. «Tieni».
La apro. È un assegno da cinquecentomila dollari intestato a me.
Glielo restituisco. «Non lo voglio».
«Cosa? Certo che lo vuoi, sono un sacco di soldi».
«No, Lizzy, non lo voglio. Ho già quello che mi serve».
Mi allunga di nuovo la busta e, con voce incerta, continua: «Sono tuoi. Hai portato a termine il lavoro. La Banks non ha mai avuto tanto successo. Mio padre mi ha chiesto di domandarti se ti andrebbe di firmare con noi per altri tre anni».
La guardo incredulo. «Dici sul serio, ereditiera?». Annuisce. «E tu cosa vuoi?». Questa è l’unica cosa che voglio sapere.
Sembra confusa. «Cosa intendi?». Prima che possa aggiungere altro, prosegue: «Ho sbagliato a dire quelle cose su di te, non avrei dovuto farlo. Anche io sono una bugiarda e un’impostora». Le si spezza la voce.
Mi tolgo i guanti, prendo l’assegno e lo infilo nella sua borsa costosa. «Ringrazia tuo padre, ma rifiuto. Sto bene così, quel mondo non fa per me».
Ci vuole tutto il mio coraggio per voltarle le spalle. Quando mi guardo indietro, lei è ancora lì, immobile.
Alla fine dice: «Okay, se è quello che desideri…».
Si gira per andarsene, barcollando un pochino, i tacchi che affondano nel fango.
La guardo allontanarsi di qualche passo e nella mia mente si affollano tutte le cose che vorrei sapesse.
«Non è nemmeno il tuo mondo, sai», urlo.
Si volta.
Respiro a fondo, strofinando la barba che non faccio da una settimana. «Nel tuo mondo ho visto solo persone di cui non ci si può fidare. Gente senza rispetto. Pronta a ricattare. Capace di guardare gli altri dall’alto in basso per come si guadagnano da vivere. Avrei dovuto dire a tutti loro di andare al diavolo, ma mi sono ritrovato a pensare di dovermi adeguare per ottenere quello che volevo. Ma tu non sei così. Per quanto mi riguarda, possono andare tutti a farsi fottere». Mi massaggio il collo e la guardo negli occhi. «Tranne te».
Un piccolo sorriso le tende le labbra. Sembra che voglia dire qualcosa. Sembra vulnerabile, incerta. Frustrata e ferita. Tutto allo stesso tempo. «Prenditi cura di te, James».
«Mi chiamo Jimmy. E non lasciare che quei coglioni ti mangino viva, okay? Sei migliore di loro».
Si avvia alla macchina e a ogni passo mi chiedo cosa cazzo sto facendo. Se lascio che se ne vada, non la rivedrò mai più. I nostri mondi sono troppo distanti.
Quando sale a bordo dell’Audi e si allontana, me ne sto già pentendo.
Sono furioso con me stesso. Con la vita. Di nuovo, con me stesso. Con tutto.
Infilo i guanti nelle tasche e sistemo sotto il braccio il casco per poi tornare al camion, dove Luke e Charlie mi stanno aspettando.
La mia solita fortuna. Mi sono innamorato di una cazzo di principessa troppo in gamba per me.
E mi odio per questo.
I ragazzi sono seduti nella cabina e mi guardano come se avessi appena sparato a Bambi.
«Cosa c’è?», borbotto arrabbiato, buttando le mie cose dietro. Faccio cenno a Charlie di spostarsi e prendo posto sul sedile.
Luke alza le spalle. «Non so perché tu l’abbia lasciata andare».
Charlie annuisce. «La ami, vero?».
Guardo entrambi. Prendo il cappellino e me lo calco in testa così che non vedano i miei occhi e la menzogna che celano. «Guida e basta».
Charlie mi toglie il cappello. «Rispondi alla domanda».
«Già», continua Luke. «Ascolta il ragazzo, rispondi alla domanda».
Mi infosso nel sedile. «Sì, e allora? È una principessa e io sono…».
«Un principe», finisce Luke per me. «Credimi. Lei lo pensa e anche noi».
«Un principe che non può darle nulla di ciò che desidera».
Charlie ride. «Ha già tutto, Jimmy. Forse vuole te e basta».
Appoggio il berretto sulla testa di Charlie mentre Luke insiste: «Per l’ultima volta, ascolta tuo fratello. Chiaramente è lui quello sveglio in famiglia».
Sì. Forse non appartengo al suo mondo.
Ma… credo che lei starebbe a pennello nel mio.
Lo farebbe?
Mollerebbe tutto per me?
«Mi state dicendo di…», mormoro. Gli ingranaggi nella mia testa continuano a muoversi mentre guardo la strada che si allunga tra i boschi verso l’autostrada. La sua Audi non si vede già più. «Cosa dovrei fare secondo voi? Seguirla?».
Entrambi annuiscono decisi.
Charlie solleva la telecamera. «Ti sfido».
Maledetto ragazzino. Sa che non c’è nulla che non farei per una scommessa.
«Va bene», gli dico. «Ma se hai intenzione di filmare tutto per il mio canale, voglio fare le cose per bene».