Di buon auspicio
Elizabeth
Non ho quasi dormito. Ero troppo emozionata, in pieno flusso creativo: le idee per il lancio della nuova linea – che si terrà tra due mesi e mezzo – continuavano ad affollarmisi in testa. Per non parlare del ricordo di James Rowan sbarbato, con quell’adorabile fossetta invitante e la mascella squadrata. Cavolo.
E bisogna aggiungere anche quello di cui io e Jeanine abbiamo discusso. Potrei usare James e il suo corpo per una sveltina e nessuno lo verrebbe a sapere.
Una tentazione fortissima che mi ha portato a non chiudere occhio e a rigirarmi nel letto tutta la notte.
Mi sveglio carica di adrenalina e chiamo mio padre per sapere se è arrivato sano e salvo a Minneapolis.
«Certo che sono arrivato, perché non dovrei?».
Sembra infastidito dalla mia chiamata e mi rendo conto che sto interrompendo qualcosa. «Be’, a volte i voli…».
«Ho preso il jet privato». Segue un silenzio eloquente. «Ci vediamo quando torno».
«Papà, prendi la pastiglia per la pressione!», urlo prima che la chiamata si interrompa.
Un’altra lunga pausa. «Cosa?».
Mi si stringe lo stomaco.
«Le hai scordate, vero?».
Il suo silenzio conferma che è proprio così.
«Papà, come fai a ricordarti tutto quando si tratta di affari e allo stesso tempo dimenticarti di prenderti cura della tua salute, che è la cosa più importante? Quanto ti fermi lì?»
«Ancora un paio di giorni», borbotta.
«Te le faccio spedire».
Sospira infastidito. «Hai parlato con LB? Mi ha detto che non gli hai fornito nessun programma per la West Coast Fashion Week, che è un evento in cui è coinvolto anche lui».
«Oh, volevo farlo oggi», mento. Merda.
Concludo la telefonata e chiamo la segretaria per farmi dare l’indirizzo dell’hotel di Minneapolis, poi vado a casa sua.
Odio quando non prende le medicine. Gli viene mal di testa, non dorme bene e soprattutto… si mette in pericolo. Ed è diverso dal pericolo che corre James Rowan, perché quest’ultimo lo fa di proposito. So che mio padre se ne dimentica e basta, ma non va bene.
Mio padre vive in un meraviglioso appartamento ad Atlanta, nell’attico più lussuoso della città. Chiunque ucciderebbe per avere quel posto per sé, ma sarebbe mio padre ad ammazzare quel qualcuno piuttosto di cederlo. È diventato la persona che è dandosi un gran da fare. Non è nato così ricco, ma si è arrampicato sulla scala sociale con cautela e metodicità, fino a far credere alla gente di essere l’uomo più importante della città.
Vado direttamente all’armadietto delle medicine nel bagno padronale.
Mentre le tiro fuori controllo tutte le etichette e metto i contenitori in una busta di plastica. A parte le scritte sulle boccette, aggiungo dei post-it con “mattino” e “sera” – deve prendere due pillole, due volte al giorno, per tenere a bada i valori sistolici e diastolici. Aggiungo un altro bigliettino con scritto: “Queste prendile tutti i giorni”.
Una volta sistemato tutto chiudo la borsa, la infilo dentro una busta imbottita e segno l’indirizzo dell’hotel. Sono quasi pronta per andarmene, ma passando davanti alla sua stanza mi fermo.
Sulle mensole accanto alla TV a schermo piatto, tra i libri e gli oggetti da collezione, è nascosta una foto che ritrae noi due. Non ricordo chi l’abbia scattata ma è una delle poche che abbiamo insieme.
La prendo in mano, attraverso la camera e gliela appoggio sul comodino, poi faccio un passo indietro per vedere come sta. La sistemo finché è perfetta. Metto a posto anche le altre cose sul comodino – un orologio di Tiffany, un taccuino e una penna e un’alta lampada da lettura. Soddisfatta dell’ordine, spengo le luci e mi dirigo alla posta.
Tiro fuori il cellulare e scrivo una mail a LB:
Un aggiornamento sul lancio della linea maschile. Sto studiando tutti i dettagli per la West Coast Fashion Week e te li manderò più tardi. Sto preparando il modello e a breve avrò le foto e una piccola biografia da inviarti.
Controllo il testo e lo invio. Bene. Così dovrebbe lasciarmi in pace.
Invece mi risponde subito.
Hai davvero un modello o stai solo prendendo tempo?
Sono infuriata e decido di non rispondere. Le immagini di me che entro alla Banks Limited con un James Rowan bellissimo e perfettamente curato mi passano davanti agli occhi mentre rincaso appena in tempo per l’appuntamento con James – trenta minuti dopo, però, lui non c’è ancora.
Sono le 9:48 e sto ancora aspettando Sua Maestà, il re James Rowan, a casa mia. Prendo il cellulare e provo a chiamarlo per la decima volta. Parte subito la segreteria.
Wow. “Aspetta un attimo”. Non mi avrà piantata in asso?
Ha incassato l’assegno?
Dopo aver controllato il conto online e aver avuto una risposta negativa, prendo le chiavi dell’Audi e vado in centro, sperando di ricordarmi come raggiungere il Tim’s Bar.
Non appena entro, Luke mi indica un angolo del locale, dove noto subito un paio di gambe lunghe avvolte nei jeans stese su un divanetto.
Mi fermo per sospirare di sollievo.
«Ieri ha fatto tardi. È arrivato un paio d’ore fa, dopo aver lasciato a scuola Charlie. Due minuti e lo sveglio, okay?».
Controllo il telefono, non abbiamo tempo da perdere. «Avevamo un appuntamento alle dieci».
«Come ti ho detto…».
«Ti ho sentito», esclamo. Non volevo usare un tono tanto scorbutico, ma abbiamo un appuntamento con Michael e non posso arrivare in ritardo. «Va bene, lo sveglio io», dico avvicinandolo.
«Non ne dubito», mormora Luke.
Il rumore dei tacchi sul pavimento di cemento è l’unico rumore nel locale vuoto. Probabilmente gli ubriaconi in zona hanno gli stessi ritmi di James, immagino stiano ancora dormendo per smaltire la sbronza della sera prima.
Mi chino per scuoterlo ma mi fermo quando noto una foto sul tavolo. Ritrae James e un ragazzino che gli somiglia. “Dev’essere Charlie”, penso, tornando a guardare James. Mi si ferma il respiro in gola quando poso di nuovo gli occhi sul suo volto rasato.
Lo osservo per un attimo.
Perché mi piace guardarlo mentre dorme?
Mi avvicino, aguzzo lo sguardo e in quel momento lo vedo.
Un cerchio nero intorno all’occhio sinistro.
No, no, no. Non ci credo. Sa quanto è importante quel viso per me. È nel contratto.
A quanto pare, James tende a scordare molti dettagli del nostro accordo.
Vorrei prenderlo a pugni. Aggrotto la fronte e osservo il livido con attenzione. «Cos’è successo?».
Spalanca gli occhi. Sono più azzurri che mai. Mi afferra il polso e mi tira in avanti. «Nessun litigio», esclama con la voce assonnata.
«E allora come te lo sei fatto?»
«Intendo dire che non voglio litigare con te».
Lo guardo in cagnesco e mormoro: «Sicuro di saper leggere? Perché c’è una clausola nel contratto che dice che la faccia deve restare intatta, Diavolo».
Mi tira sopra di sé come se non pesassi nulla.
Merda, non era così che avevo in mente di cominciare la giornata.
“Non solo vi baciate in macchina, Elizabeth – a quanto pare adesso vi strusciate anche nei bar?”.
Rimango ferma sopra di lui.
Cerco di respirare ma mi è difficile. Soprattutto perché contro la pancia sento…
JAMES.
«Già, proprio così», mi dice guardandomi negli occhi, come se mi leggesse nella mente.
Un sorriso beffardo compare lentamente sul suo viso.
Quel ghigno raggiunge i suoi maliziosi occhi azzurri. L’ultima volta che ci siamo visti erano perfetti.
Uno dei due lo è ancora.
«Lasciami». Lo spingo via. «James, cos’è successo?»
«Questo?». Tocca il gonfiore sul viso. «Non è niente».
«Sei finito in una rissa», esclamo. «Ti ho detto di sistemare le cose, che mi serviva che…».
«Ho sistemato tutto, ma forse…». Si porta la mia mano alla bocca e bacia la punta delle dita. «Forse devi tenermi d’occhio».
Cercare di alzarmi e sistemare il vestito allo stesso tempo è quasi impossibile. Ovviamente James se ne accorge.
«Un bacio e potrei lasciarti andare». La voce è roca ma maliziosa.
Gli do un bacetto veloce per accontentarlo. Invece di liberarmi, mi lecca il labbro inferiore e mi guarda con desiderio. Con un lamento gli faccio notare: «Pensavo fossi un uomo di parola, Diavolo».
«Piccola… ho usato il condizionale per un motivo».
«E quale sarebbe?»
«Dipende tutto dal tipo di bacio». Mi abbassa il viso tenendomi il mento tra pollice e indice. I suoi occhi non lasciano mai i miei. Il suo sguardo è fin troppo esplicito per un tizio che ieri sera deve aver bevuto troppo. «Riproviamo?».
Il cuore sobbalza.
«Io devo… devo… tirarmi su, grazie».
«Oh, io lo sono già».
Mi sforzo di non ridere. «Non mi riferivo a quello».
«Ma io sì». Ride alzandosi lentamente. Mi cinge la nuca con la mano. «Baciami di nuovo».
«Tanto per cominciare, non ti ho mai baciato».
«Non dire stupidaggini», replica, guardandomi con tanta bramosia da rendermi nervosa. «Saremo perfetti insieme, vedrai».
«No, non vedrò perché non succederà. Te l’ho detto».
«Perché no? Ti piace la situazione, ti piaccio io. Vorresti negarlo?»
«James, sono la tua…».
«Io in questo posto mi chiamo Jimmy. Vieni qui». Si mordicchia un labbro e mi osserva sotto quelle lunghe ciglia nere, gli occhi profondi come piscine. «Voglio dirti una cosa». Il suo sorriso è carnale, pericoloso. «È un segreto».
Non posso non spostare lo sguardo sul rigonfiamento che ha sotto i jeans. «Sei pieno di sorprese, eh?». Cerco di scostarmi quando allenta la presa, ma mi rendo conto in fretta che è una trappola. Ha già capito che sono curiosa per natura?
«Vieni più vicino», dice facendomi un cenno.
«Non ho tempo per i tuoi…».
Mi cinge il collo con una mano e avvicina il mio orecchio alla bocca, poi sussurra: «Se non fossimo nel locale, ti avrei portata dai sussurri ai gemiti in meno di un minuto. La prossima volta che mi svegli, pensaci».
«Lo farò». Voglio sembrare professionale, ma il suo respiro caldo sul collo mi fa venire la pelle d’oca.
Sorride. «Bene. Ora che ne dici se, tanto per cambiare, ti porto io in un posto?», domanda.
«Dove?»
«A mangiare. Ho fame».
Oh, mi piacerebbe vedere cosa intende James con cibo. Probabilmente qualcosa di schifoso come la tequila del bar. «Mi dispiace, abbiamo un appuntamento con Michael. Ti prenderò un bagel strada facendo».
«E Michael sarebbe…».
«Un genio. Lo conoscerai a breve. Andiamo, Diavolo. Vedrai, ti adorerà».
Lo attiro fuori dal locale e da quello che lui reputa “il suo ufficio” ondeggiando i fianchi; le sue lunghe falcate fanno sì che mi segua in fretta.
«E tu», canticchia mentre apre la porta del bar e mi fa passare, «anche tu mi adorerai. Piccola».
Gli brillano gli occhi.
Distolgo lo sguardo da lui il più velocemente possibile, perché non so se la luce nei suoi occhi azzurri mi entusiasmi o mi spaventi.