Vestirsi bene
Elizabeth
La mia pancia è in subbuglio.
Sono nervosa perché lui è… così irresistibile?
Perché i suoi baci sono deliziosi?
Perché è un colosso pieno di muscoli?
Sì.
È in piedi davanti a me e mi guarda in silenzio. Ha detto che possiamo dimenticare il bacio ma… i suoi occhi la pensano diversamente. Dio, è così grezzo.
Sembra anche sovrappensiero, possessivo. Un predatore a caccia.
«Resta immobile». Tiro fuori il cellulare dalla tasca e gli faccio una foto.
James aggrotta la fronte.
«Proprio così!», esclamo, scattandone un’altra. Non riesco a smettere. Ne faccio altre.
Quando mi rendo conto di come mi sta guardando James, abbasso il telefono e penso al mio comportamento sciocco.
«Se avessi voluto una mia foto, sarebbe stato sufficiente chiedere. Non è necessario ingegnarsi tanto e fingere che servano per lavoro». I suoi occhi azzurri brillano scherzosi.
«Sono davvero per il lavoro, James», mormoro, rivolgendogli un’occhiata di rimprovero.
«Sì, sì. Cosa vuoi farci davvero con quelle foto?
«Postarle sui miei account social dopo il lancio», scherzo. In realtà, devo dare qualche scatto a LB perché mi lasci in pace.
«E dirai ai tuoi amici che sono il tuo toyboy?»
«No, perché non lo sei». Sono io ad aggrottare la fronte ora, pensando a Jeanine.
«Non ancora».
«Come vuoi», esclamo, concentrandomi sugli abiti.
«Scommetto che ti masturberai guardandole».
«Cosa?». Mi volto, sconvolta dalla sua sfacciataggine. Devo però ricordarmi dove l’ho trovato. James è un ragazzo che viene dalla strada, un attaccabrighe. È quello il suo mondo.
La strada è parte di lui.
«Io lo farei». La sua voce roca è sexy da morire.
«Ti masturberesti sulle tue foto?». Cerco di buttarla sul ridere. «Dai al narcisismo una definizione tutta nuova».
«Sai cosa intendevo».
Lo so, e questa consapevolezza mi rende molto vulnerabile. Perché il pensiero di James Rowan con l’uccello in mano, il fiato corto, che mormora il mio nome… be’, diciamo che mi fa eccitare da impazzire. Ma provare questa sensazione è l’ultima cosa di cui ho bisogno.
«Stiamo lavorando». Indico i vestiti e afferro il primo completo che vedo. Mentre sbottono la giacca, lo osservo togliersi la camicia.
Pessima idea.
Distolgo lo sguardo, lo poso sulla finestra e gli porgo l’abito. Poi mi siedo e inizio a creare una biografia per James Rowan.
Nato ad Atlanta, James Rowan è un vero uomo rinascimentale. Che sia in spiaggia o in ufficio, crede nel vivere la vita al massimo e non resisterebbe mai alla tentazione di lasciare la propria impronta nel mondo. Nel lavoro e nel tempo libero, incarna alla perfezione l’idea di forza, vitalità e potere della Banks. Per questo abbiamo selezionato James Rowan come volto della nuovissima linea di abbigliamento maschile della Banks Limited.
Mmm.
Può andare. La invio in fretta a LB insieme a due delle foto che ho scattato, scrivendo “Ti presento James Rowan!” come oggetto della mail.
James si veste senza aggiungere altro. Quando immagino sia pronto, mi volto e osservo l’uomo nello specchio. «Carino. A me piace, tu che dici?»
«Non è tra i miei preferiti».
Almeno è sincero. «Peccato, perché invece è uno dei miei».
«Quanto costa un completo del genere?»
«Perché? Ti ho già detto che puoi tenere gli abiti che indossi».
«Pura curiosità. Magari ne comprerò uno per Charlie».
Sta cercando di ricavare il più possibile da questo accordo o è davvero intenzionato ad acquistare un completo per suo fratello?
«Che ne diresti se ti dessi una carta regalo per Charlie?»
«Perché dovresti farlo?»
«Perché no?». Prendo un’altra giacca. «Scrivo alla mia assistente e faccio in modo che mandi a Charlie il codice. Qual è la sua mail?».
James ha un’espressione vuota ora. «Compro io i vestiti a mio fratello».
«Come vuoi», esclamo, mettendo in tasca il cellulare e guardandolo. «E già che ci sei, scegli anche il prossimo completo».
Voglio vedere cosa gli piace, cosa sceglie. Per fortuna, prende l’abito che avrei preso anch’io.
«Questo ti piace?»
«Sì».
«E la cravatta?». Ne sceglie una rosso acceso con dei disegni blu scuro.
«Bella».
«E io? Ti piaccio anche io?»
«Ecco che ricominci». Devo mettere dei paletti per poter lavorare con lui. «Hai detto che avremmo ignorato quello che è successo».
«Eppure siamo qui… soli nel tuo appartamento… l’hai fatto di proposito?». È divertito. I suoi brillanti occhi azzurri lo tradiscono sempre.
«Io non… non ho organizzato questo per stare sola con te. L’ho fatto per non farti vedere al mondo prima che fossi pronto!».
Mi si secca la bocca mentre si sfila la camicia. Incollo gli occhi al suo bellissimo petto. Guardo i peli che gli stanno già ricrescendo. Il modo in cui muove le lunghe dita, come si spostano per allacciare i bottoni dell’altra camicia da provare.
Copre la distanza tra noi ma non mi tocca. Anzi, aspetta che io aneli il suo tocco.
Lo bramo.
«Posso essere professionale, se è questo che vuoi». La promessa sottintesa nelle sue parole sfiora la pelle delle mie braccia come una carezza. Come la carezza che desidero di più ogni secondo che passa.
«Questa linea di abiti… per me è importante, davvero». Vorrei dirgli che mio padre… che mio padre è l’unica persona che mi abbia mai amato e sentire il suo affetto – percepire che mi accetta ed è orgoglioso di me – è fondamentale.
«Lo capisco, Lizzy», commenta piano. «Ma non si possono avere entrambe le cose?».
Non so come rispondere, perciò lascio che il silenzio ci avvolga. È una rete di sicurezza, una coperta di calore e protezione. Perché se non gli rispondo, non gli sto dando il permesso e al contempo non lo sto rifiutando. Restiamo quindi in questa terra di nessuno e per ora va bene così. L’ignoto potrebbe intrappolarci in acque pericolose, ma io non mi sono spinta troppo al largo. Non ancora. Ma temo che presto questo diavolo mi farà annegare.
Schiocca la lingua e si guarda allo specchio con il nuovo completo. «Okay, allora. Facciamo a modo tuo».
«Perfetto», commento, rivolta alla sua schiena, sollevata ma allo stesso tempo sorpresa, perché provo anche un senso di delusione. «Abbiamo molto da lavorare».
I minuti volano e poco dopo è di nuovo di fronte a me ad allacciare i bottoni di una camicia azzurra. Sistema agevolmente i gemelli, come se li portasse da sempre.
«Perfetta, si intona ai tuoi occhi». Mi sforzo di sorridere ma so che la mia espressione mi tradisce.
Sento le guance più calde che mai e il resto del mio corpo non è da meno.
Il suo petto largo, gli addominali scolpiti, le braccia forti, il modo in cui questa camicia lo avvolge mi fanno stringere lo stomaco. Distoglie lo sguardo proprio quando sto per crollare, si sfila la camicia e mette di nuovo in mostra il torso.
«Okay», esclamo, legandomi i capelli mentre lo osservo togliere i pantaloni. L’uccello preme contro le mutande bianche e mi viene l’acquolina in bocca quando penso alle nostre domande.
«Su gli occhi, signorina Banks».
Deglutisco e cerco di pensare a qualsiasi cosa che non sia il suo corpo, quel lungo e bellissimo…
Mi schiarisco la gola e in qualche modo riesco ad afferrare una giacca vicina, gliela porgo e dico: «Questa è la giacca da brunch della Banks. Che ne pensi?».
Controlla il collo e la scarta senza nemmeno provarla. «Mi piace il nero tinta unita».
Afferra una camicia bianca semplice e l’abbottona in fretta, poi ci infila sopra una giacca. Sfioro con le dita la sua schiena per controllare come vesta mentre gli giro intorno. «Muovi le braccia».
Le allunga in avanti e io ammiro la cedevolezza del materiale, come si tira dolcemente sulle spalle e sulla figura imponente.
Ha un buon profumo.
Mi stupisce quanto il suo odore mi attragga.
Lo guardo. «Stai benissimo con questo colore».
«Il bianco e il nero sono l’essenza dell’eleganza maschile, no?», mi chiede. Invece di osservarsi allo specchio, sta guardando me.
«Su di te sì», mormoro, maledicendo la mia sfrontatezza. Se si parla solo d’affari, non posso fare commenti del genere. «Proviamo quello color carbone».
Gli sta benissimo.
Passiamo un paio d’ore a provare tutto, dalle camicie ai pantaloni alle giacche, dalle cravatte ai gemelli e ai calzini.
Lui ha cercato di flirtare, io ho provato a non farci caso e a concentrarmi sui vestiti. Ora indossa una camicia azzurra, del colore dei suoi occhi, insieme a dei pantaloni eleganti neri, su misura. Mi guarda con la fronte aggrotta mentre abbottona i polsini. «Sai, potremmo divertirci in questa situazione».
«Io mi sto divertendo», rispondo assente, già pensando all’abito successivo.
«Non dobbiamo forzare le cose». Mi si avvicina e appoggia i palmi sulla camicia che stavo osservando. Alzo gli occhi su di lui, che ricambia il mio sguardo e mi dice: «Ti voglio. Sono follemente attratto da te. E ho intenzione di averti. Non male come frase per rompere il ghiaccio, no?».
Sussulto. «Io…».
«Non dire nulla, va bene così. Ma almeno l’ho detto. Posso lo stesso essere professionale, Lizzy». Resta in attesa, forse aspetta che ricambi.
Invece mi sto sciogliendo.
Per come mi guarda.
Perché ha detto di essere attratto da me.
Perché i suoi occhi ardono di desiderio.
Perché lo voglio come non ricordo di aver mai voluto nulla.
Non sapendo come comportarmi in una situazione del genere, gli porgo un altro completo, spingendolo contro il suo petto con fare giocoso. «Okay, vuoi divertirti. Cos’è spassoso per uno come te?»
«Potresti provare dei vestiti anche tu». Si passa il pollice sul labbro, pensieroso. «E magari potremmo andare a bere qualcosa quando avremo finito. Sarebbe divertente, no?».
Deglutisco a fatica. Sarebbe divertente ma anche stupido, da parte mia.
«Che ne dici, Lizzy?»
«Non possiamo uscire, non ancora, non sei pronto».
«Okay, facciamo finta allora. Vestiamoci di tutto punto e ordiniamo qualcosa a casa».
«Come vedi, qui non ci sono vestiti per me».
«Non hai un vestito da sera chiuso nell’armadio?»
«Forse un paio».
«Va’ a cambiarti. Dai, ti aspetto qui».
Non mi muovo, quindi aggiunge: «Stiamo lavorando da un po’. Lascia che ti faccia divertire, stasera, poi sarò l’uomo perfetto».
«Perché è così importante?»
«Perché forse devo far in modo che tu esca dalla mia testa».
«E il fatto che mi vesta da sera ti aiuterebbe?»
«Forse».
«Okay». Come posso rifiutare? Adoro vestirmi in modo elegante e poi abbiamo tante cose su cui fare pratica, quindi posso impersonare il ruolo.
Un minuto più tardi sono in piedi nella cabina armadio e passo in rassegna gli abiti da sera, cercandone uno elegante e alla moda.
In quel momento ci penso. Cosa indosserò per il lancio della linea? Forse dovrei decidere ora, per abbinarlo a quello di James. Dobbiamo essere perfetti: la sera dell’evento arriveremo insieme. Lavoreremo per conquistare la folla insieme.
Nelle prossime settimane saremo spesso molto vicini.
Il mio corpo sembra apprezzare l’idea ed è molto più sensibile ora. Stare così a stretto contatto come influirà sul nostro rapporto? E non parlo solo dell’ambito professionale.
Lo scopriremo.
Trovo un abito nero con delle borchie e uno spacco discreto che arriva al fianco. La scollatura profonda è meravigliosa e mette in risalto il décolleté. Sottolinea il punto vita e la parte superiore è decisamente aderente.
“No, Lizzy, no”.
“Sii sexy, non volgare; indossa qualcosa che tenda all’inappropriato ma sia allo stesso tempo carino. No. Bello e di classe”.
Opto per un abito rosso di seta pieno di lustrini che lascia la schiena scoperta. Il tessuto morbido mi avvolge il seno ed esalta le curve dei fianchi. L’apertura a V sulla schiena termina con una gonna che mi sta a pennello e che seguirà alla perfezione i movimenti del corpo.
Super. Mi sento una sirena. Purtroppo l’abito è talmente aderente che sembra dipinto addosso.
Uno sguardo allo specchio e metto in discussione i miei obiettivi.
Che stronzata.
So esattamente cosa voglio. E qual è la mia meta. Se non fosse così, dovrei cambiare abito.
Non posso e non voglio farlo.
Voglio che James mi guardi come se non vedesse l’ora di strapparmi il vestito. E io accetterei volentieri che mi rovinasse l’abito per una notte di passione, una gloriosa nottata di James ed Elizabeth, due persone totalmente diverse ma in grado di completarsi. Solo una notte. Diverse ore di sesso meraviglioso che si conclude senza promesse, senza aspettative.
“Svegliati, Elizabeth”.
Inspira, espira.
Che siano maledetti i sogni a occhi aperti e le fantasie.
Torno in salotto.
«James?». Fantastico. E ora dov’è andato? «Ti nascondi di nuovo?»
«Sono qui».
Sobbalzo sentendo la sua voce e mi volto lentamente; sta sorseggiando del vino accanto alla zona bar, e a quanto pare dev’essere davvero buono, vista l’espressione del suo viso – ma non è il vino a interessarlo.
Mi guarda come se potesse fare di me quello che vuole, quando vuole.
Mi mangia con gli occhi. Si è irrigidito. La mascella è serrata, immobile.
«Cosa fai?»
«Guardo una bellissima donna. Tu?»
«Adulare il tuo capo non ti permetterà di bere sul posto di lavoro…».
Mi avvicino al bancone e gli prendo il bicchiere dalla mano. Ha tirato fuori il mio Château Margaux del 1980: una bottiglia non proprio economica, ma forse vuol dire che ha gusto. Ovviamente a casa mia non ci sono liquori di bassa lega. Alzo gli occhi e noto che il suo sguardo arde ancora una volta; finisco in un attimo il vino. «Ma ti ringrazio». Poso il bicchiere. «Per il drink e il complimento». Batto le mani. «Ora torniamo a lavorare».
«Che tu ci creda o no, posso bere e lavorare».
«Bene, perché ti serve una lezione su come beve un uomo vero. Sicuramente non assaggia quello schifo di Montezuma del Tim’s Bar».
Solleva il calice. «Ho aperto questa. Non è male. Costa molto?»
«Sì», rispondo superando il bancone. «Ma un Banks a cena beve solo vino. Quando esci per un drink, devi ordinare bene».
«La tequila non è adatta?».
Scuoto la testa.
«Non mi meraviglio che l’uomo Banks non scopi».
Gli rivolgo una smorfia e proseguo: «Quando vai al bancone, devi ordinare un Macallan 25 liscio. Ora, non tutti i bar hanno questo scotch, ma quelli che appartengono al mondo della moda sì, perché sanno che è il drink preferito di mio padre».
Inarca le sopracciglia. Tiro fuori il bicchiere e verso un goccio di scotch. So bene come fare, l’ho preparato un milione di volte per mio padre.
James lo prende e se lo porta alle labbra.
Scuoto la testa. «Prima agita leggermente il bicchiere».
Lo fa, ma poi mi guarda in attesa del permesso di bere. Annuisco. «Ma non scolartelo. Bevi un sorso e fallo girare sulla lingua. Assaporalo».
Mi guarda mentre fa esattamente quello che ho detto. Quando deglutisce un po’ troppo presto per i miei gusti, mormora: «Cosa c’è? Dovevo fare anche i gargarismi?»
«Com’era?».
Alza le spalle e guarda dentro il bicchiere. «Non male. Ma io sono un tipo da tequila. Questo quanto lo paghi in un bar?»
«Duecento, forse qualcosa in più».
Se è impressionato non lo dà a vedere. Dice solo: «Meglio non sprecarlo», e si scola il resto.
Non ci siamo…
Apro il portasigari dove tengo una scorta dei preferiti di mio padre per quelle rare sere, una volta ogni tre o quattro mesi, in cui viene a cena qui. Gli porgo la scatola.
Lui scuote la testa. «Ho smesso di fumare a diciotto anni».
«Fumare è umano. Fumare sigari è divino». Ne prendo uno, gli apro la giacca e lo infilo nella tasca interna. «Quello e un bicchiere di scotch sono un singolare piacere del dopocena. Hanno il potere di calmare».
«Io preferisco scopare». Fa spallucce. «Sarà perché costa meno?».
Lo fulmino con lo sguardo e scuoto la testa. «James…», borbotto.
«Allora dopo di te», esclama. Sembra deluso quando mi mette la mano sulla parte bassa della schiena.
Faccio un passo, poi mi fermo. «Non è così che entriamo in una stanza».
Inarca un sopracciglio. «Perché no?»
«Troppo intimo».
«Metterti una mano sulla schiena è intimo?»
«Sì. Quando entriamo nella sala da ballo, devi porgermi il braccio così». Gli mostro il gesto appropriato. «Io accetto e tu mi fai strada. Saremo accolti da giornalisti, blogger, persone differenti che saranno sul posto per scoprire la nuova linea e conoscere meglio la Banks Limited. E soprattutto saranno lì per vedere te».
«Se indosserai quel vestito…». Emette un fischio con gli occhi che brillano. «Non vedranno me».
Arrossisco e il mio corpo reagisce: capezzoli turgidi, un calore tra le cosce, lo stomaco che si stringe, un sussulto. Dannato traditore di un corpo.
Sospiro e spero che non sembri uno di quei sospiri sognanti.
«Ti piace che ti faccia i complimenti, vero, Elizabeth?».
Non so cosa sia peggio: quando mi chiama Lizzy o quando sceglie Elizabeth.
«Mi piace fare complimenti a te. E stai benissimo con quell’abito color carbone», dico, cercando di cambiare argomento.
«Ti dona molto il rosso».
“Che Dio mi aiuti”.
«Grazie». Vorrei dirgli che dovrebbe anche essere cortese, ma al galateo penseremo dopo.
Piega la testa di lato e mi porge il braccio. «Che figo vederti stasera, signorina Banks».
«“Figo” non va proprio bene», gli dico, sperando che continui a interpretare i miei consigli come critiche costruttive. «Cerca di evitare le espressioni gergali. E se mi chiami “signorina Banks”, dammi del lei. E poi dobbiamo lavorare sulla pronuncia e sul lessico. Ma prima… il galateo, soprattutto a tavola».
Rozzamente sistema il mio braccio sul suo. «Allora camminiamo insieme… così?»
«Sì». Sono di nuovo senza fiato.
Mi rilasso fino a quando la sua mano libera non accarezza la mia. Mentre avanziamo il mio corpo reagisce alla sua presenza, ogni nervo sembra teso, scoperto.
Ci fermiamo davanti agli specchi.
«E ora?». Sorride al riflesso. «Ci spogliamo qui e proviamo qualcos’altro o…».
«Io rimango col mio abito».
James mi accarezza con quegli occhi brillanti e maliziosi. «Davvero, il rosso ti sta benissimo».
«Grazie». Sono contenta che gli piaccia, ma sto cercando di controllarmi. «Puoi provare un altro completo».
«Che ne dici se provo te, invece? Sarà perfetto, giuro».
Deglutisco a fatica e scoppio a ridere senza riuscire a trattenermi.
Con un sorriso lui si china in avanti. Sono a un respiro dalle sue labbra.
«Sei tentata». Le sue parole sono un mormorio cupo e allettante.
Lo sono. Ma scuoto la testa.
«Lo sei». Indica il mio petto con un cenno del capo. «Quei capezzoli turgidi?». Mi bacia all’angolo della bocca. «Quelli ti tradiscono». Si scosta. Con questa distanza tra noi, abbasso lo sguardo e lui se ne accorge. «E quando fai così?». Sorride. «Mi lanci segnali contrastanti». Mi rivolge un’occhiata sfacciata. «Mi piace».
«Non puoi continuare così. Noi…».
«A me sembra normale».
Ha un modo di rigirare la frittata che mi impedisce di avere la meglio in una discussione. E non ha senso provarci ora. Non farei altro che peggiorare la situazione.
«E anche tu vorresti. Perché quelle mani strette a pugno? Vuoi evitare di toccarmi. E quelle gambe, quel lembo di pelle che si scopre quando l’abito si muove? È per me. Non c’è nessun altro qui». La sua voce è carica di desiderio. «Tutto, tutto questo è per me, Lizzy».
Fatico a parlare.
«Forse ho scelto il vestito sbagliato», mormoro, sentendomi la testa leggera. «Torno subito».
Mi ferma prima che possa allontanarmi. Mi porta una mano al viso, con l’altra mi accarezza il busto. Ora è una lotta ad armi pari e in qualche modo questa situazione si è trasformata in un gioco proibito molto provocante e abbastanza elettrizzante. «Suppongo che per oggi abbiamo finito».
«Con il lavoro sì».
«Ah». Dovrei avere il controllo ma non riesco. Nelle braccia di James, non comando io. «Quindi ti sono piaciuti i vestiti».
Abbassa gli occhi. «Quello che indossi tu».
«Non il mio», esclamo, conscia della sua presa che si stringe. «Voglio che ti piaccia ciò che indossi tu».
«Sarei più felice nudo». Sorride. «Lo saresti anche tu».
«Be’, non possiamo lavorare nudi, lo sai».
«Però dovremmo, fidati».
“Riprenditi, torna in te, Banks”.
«Ascolta, finiamo domani. Se vuoi, puoi rimetterti i tuoi abiti». Indico gli indumenti che indossava quando è arrivato. «Ci vediamo nella sala da pranzo. La prossima lezione è importantissima».
«Non devi mostrarmi come mangiare, piccola».
«Scommettiamo? E non chiamarmi “piccola”».
«Perché non lasci che ti porti fuori? Un appuntamento vero e proprio».
«Non… non possiamo uscire insieme».
«Invece lo faremo. Piccola».
«Continua a illuderti, Diavolo», ribatto mentre percorro il corridoio per andare a cambiarmi. Mi sforzo di non voltarmi a guardare il suo bel corpo mentre si rimette gli abiti di prima.