Servizio fotografico

Elizabeth

«Be’, LB, non so cosa dirti», borbotto al telefono mentre cammino su e giù per il corridoio.

«Sei stata tanto impegnata da non riuscire nemmeno a portarlo in ufficio? Mi sembra incredibile», esclama LB.

«Non ho avuto tempo. Avevo molto da fare», spiego, sbirciando nello studio, dove ho lasciato James con il fotografo. «Se vuoi davvero vederlo, vieni allo studio fotografico».

«Non posso. Ho troppe cose da preparare per lo show di New York».

Lo sapevo. «Peccato. Ma fidati. Ogni cosa è sotto controllo. Tutti rimarranno sbalorditi all’evento, inclusi quelli che credono io non abbia le competenze necessarie per rendere meraviglioso lo show», gli dico, punzecchiandolo, perché so che vuole vedermi fallire. Coglione.

Termino la chiamata e apro la porta.

«Ancora una, signor Rowan», comunica il fotografo.

Stiamo facendo un servizio per la campagna pubblicitaria della linea di abiti e James è stupendo. Sexy da morire. Per poco non mi metto a sbavare. Sono certa che le foto saranno perfette. Immagino già la ressa che causeranno quando saranno affisse su un edificio a Times Square.

Ma siamo qui da ore. James sembra esasperato, si allenta la cravatta come se volesse arrendersi e venire nell’angolo da cui lo osservo in piedi il più in fretta possibile.

«Non sono il signor Rowan», ringhia rivolto a me. «Sto diventando matto».

Anche io non vedo l’ora di uscire da qui dopo questa lunga giornata, così lo afferro dalle spalle e lo sposto davanti allo specchio. Faccio capolino dietro il suo corpo imponente e incontro il suo sguardo nel riflesso. «Guarda quest’uomo. Non è il signor James Rowan? Jimmy per gli amici? James… per Elizabeth?».

Il suo ghigno compare sul volto. Lentamente si volta, gli occhi azzurri fissi nei miei. «E per Lizzy?».

Mi sta sfidando.

Dio, come gli piace sfidarmi.

Gli schiocco un bacio veloce sulla bocca, poi mi scosto e sorrido tranquilla, come se fosse mia usanza baciare i modelli. Certo.

«Tu sei il mio bambolotto», sussurro sfrontata, «ma non è necessario che qualcuno lo venga a sapere».

Mentre un sorriso si dipinge lentamente sul volto, esclama: «E questo fa di te la mia bambola». Torna sul set, e il fotografo impazzisce di gioia quando James Rowan gli rivolge il suo ghigno diabolico.

Mi volto e vedo Jeanine in piedi sulla porta. Mi sorride.

Jeanine è bionda e formosa mentre io sono scura e minuta, ma siamo pappa e ciccia da una vita. Due stronze ricche e viziate, come abbiamo sempre ripetuto per prenderci in giro. Se c’è qualcuno che sa come ostentare il proprio denaro, quella è Jeanine.

«Cavoli». Guardando James, ha l’espressione soddisfatta del gatto che ha appena mangiato il canarino. Mi si avvicina e mi abbraccia. «Mio Dio, ce l’hai fatta. È fighissimo».

Annuisco e sorrido in direzione del modello che sta posando davanti alla macchina fotografica, chiedendomi se Jeanine mi abbia visto baciarlo.

«Quindi… a giudicare da come siete a vostro agio, suppongo tu te lo sia portato a letto».

Scuoto la testa. «No».

«Dio, Lizzy, ma sei matta? Nemmeno una bottarella? Ma come fai a lavorare con lui giorno e notte senza saltargli addosso?».

Lo sta guardando mentre posa e si mordicchia il labbro come se volesse azzannare James.

«Ci riesco», le rispondo. «Come ho detto, è lavoro. Il lancio deve andare bene, al resto non posso pensare».

«Be’, se io gli stessi accanto, non potrei pensare al resto. Pensi di potermelo presentare?»

«Ma vi siete già conosciuti…», inizio. La mente si riempie subito di terrore puro. Jeanine è la migliore amica che di solito conquista tutti i ragazzi, mentre io sono la spalla carina e single. Lei fa strage di uomini senza fatica.

È gelosia quella che provo?

Sono così assorta nei miei pensieri che non me ne accorgo nemmeno: James è arrivato alle mie spalle e Jeanine gli sta tendendo la mano. «Oh, ciao, James! Sono contenta di conoscerti finalmente di persona», si presenta allegra.

«Quindi è lei la tua migliore amica, quella che è riuscita a chiudere un contratto da mille e una notte», commenta lui con voce profonda e sicura. Le prende la mano e la stringe piano come un vero gentiluomo.

«Esatto, James, lei è la mia migliore amica, Jeanine», dico, cercando di non essere acida.

Sembra quasi che Jeanine stia per svenire dall’emozione. Come se avesse davanti James Bond.

Ecco il primo indizio.

Il primo indizio che mi fa capire quanto sono messa male. E che ho creato un dannato mostro.

Dopo aver sopportato che la mia amica sparasse tutte le sue munizioni fascinose addosso a James, ci dirigiamo agli ascensori verso la sala riunioni per rivedere i dettagli.

«Abbiamo un volo che parte da Atlanta domani», gli dico in tono secco. «L’obiettivo è far in modo che ogni singolo acquirente compri da noi».

«C’è qualcosa che non va?», mi domanda.

«No», replico. Non dovrebbe esserci nulla che non va. Jeanine non si è risparmiata nel mostrargli il décolleté e lui è stato cordiale, ma non ha risposto al flirt. Be’, non sul serio. Con un uomo che ha uno sguardo tanto intenso e una sensualità così spiccata, anche una chiacchiera innocente sembra un tentativo di seduzione.

Non dovrei sentirmi così.

Come se stessi per perdere una cosa a cui tengo. Qualcosa di cui non sopporterei la mancanza.

«Non ti preoccupare, Lizzy». Sembra sicuro. Quasi più sicuro di me. «Ce la faremo».

Mi meraviglio di quanto sappia entrare ed uscire facilmente dal mio mondo. Sembra nato tra la gente come me. «Oh, lo so. Sarai perfetto».

«Lo saremo», mi rassicura con un sorriso che mi fa sciogliere il cuore. «Quindi quella era la tua migliore amica, eh?».

Mi si stringe lo stomaco. «Sì, da una vita», spiego. Respiro a fondo, so che dovrei tirare fuori la questione spinosa che mi opprime. «Pensa davvero che tu sia speciale».

«Ah, sì?». Non ci crede, oppure non gli importa. E sono davvero pochi gli uomini che rimangono indifferenti davanti alle attenzioni di Jeanine.

«Sì».

Aspetto che aggiunga altro, ma rimane in silenzio.

Dopo esserci accomodati a un tavolo nella sala riunioni vuota, passiamo un po’ di tempo a rivedere le domande che potrebbero rivolgergli e a come vorrei che rispondesse a ognuna. Poi gli porgo una piccola scatola. «Questo è per te».

La guarda prima di togliere il fiocco. Dentro c’è un cellulare nuovo di zecca. «Cos’ha che non va il mio?», chiede.

«Non puoi usare quel rottame. Il telefono riflette la personalità del proprietario».

Solleva il vecchio cellulare sporco con il vetro rotto. «Quindi una volta ero rotto e lurido?».

Scuoto la testa. «Quello è di Jimmy. A te serve il telefono di James. Assicurati che sia pronto per Los Angeles».

Lo apre e lo osserva. È elegante, luccicante e sofisticato. Tutto ciò che James dovrebbe essere. Annuisce e lo accende, poi inizia a giocarci. «Grazie».

Interrompiamo il discorso quando Charlie chiama sul suo vecchio telefono per raccontare a James della giornata a scuola. James sembra fiero di sé e io sono troppo ansiosa di sapere cosa si sono detti per ignorare la fitta che sento allo stomaco.

Non so perché, ma ho sete di lui. Voglio di più. Desidero conoscere ogni minimo dettaglio che lo riguardi. «Buone notizie?», domando.

Scuote la testa. «No, niente di che».

«Non sembrava. Dimmi».

Alza le spalle. «Dovremmo concentrarci su altro».

Lo guardo. «Possiamo parlare anche di altre cose che non riguardino il lavoro».

«Va bene. Ha preso il punteggio massimo in un test di matematica oggi». Mi rivolge un sorriso malizioso. «Dimmi qualcosa di te che non so».

Ci penso per un attimo, cerco di farmi venire in mente qualcosa che non sia legato al lavoro. Ma, tristemente, non c’è altro nella mia vita. Effettivamente sono sempre stata legata alla Banks Limited, fin da piccola. Ho investito talmente tanto sul lavoro che James non immagina nemmeno. «Ho sempre sognato di essere il CEO della società».

«Dopo domani potrebbe succedere».

«Papà non è tipo da cedermi le redini dell’azienda a meno che non dimostri di meritarle».

Mi guarda negli occhi. «Questo lancio è davvero così importante per te?»

«Più di ogni altra cosa. Se questa linea non sarà un successo enorme, allora sarà stato uno sforzo inutile, per quanto mi riguarda».

«Per quanto riguarda te o tuo padre?»

«Per entrambi. Lui vorrà vedere i numeri e io voglio che superino le sue aspettative».

«Questo spiega perché hai obiettivi così alti».

«Posso sempre alzare il tiro», gli dico.

«Fidati, dolcezza… sono già alti così».

Mi paralizzo. «Dolcezza». Deglutisco. «No. No».

«Cosa c’è che non va se ti chiamo “dolcezza”?». Ride. «Preferisci “zuccherino”?»

«Mi fai venire la carie». Indico la porta. «E adesso rivediamo alcuni dettagli del viaggio prima di partire».

Mi schiocca un bacio sulle labbra. «Se potessi scegliere, ti chiamerei “sexy”. E faresti meglio a rispondere quando ti chiamo».