55
Luglio era agli sgoccioli. Stavano approfittando di un pomeriggio di tregua per passeggiare in Hyde Park, con l’animo sereno nonostante le V1 che minavano il morale dei londinesi. Laura spingeva la carrozzina con Philippe; una decina di metri più indietro, Doff e Stanislas discutevano animatamente. Si tenevano a distanza per non farsi sentire dalla ragazza: parlavano della guerra, come sempre. Laura non aveva ancora ripreso il lavoro in Baker Street, e i due uomini erano convinti che, se non li avesse sentiti, avrebbe potuto ignorare i combattimenti in Francia, le gravi perdite alleate e anche i missili V1 che minacciavano la città. Non tenevano conto dei giornali, della radio, delle sirene dell’allarme antiaereo, delle conversazioni nei caffè… S’illudevano, ingenuamente, che parlare a bassa voce avrebbe tenuto Laura al riparo dalla furia del mondo.
Lei era radiosa sotto il sole, con una gonna da tennis bianca che le donava molto, e sembrava danzare con grazia al ritmo del suo passo. Era al corrente degli sviluppi della guerra e ci pensava in continuazione. Pensava a Gros, a Key, a Claude. Anche a Faron: tutti i giorni, riviveva la fuga dal suo appartamento. Pensava a Pal, in ogni istante: si sentiva condannata a farlo per tutta la vita. Pensava anche al padre del suo amato, a Parigi: alla fine della guerra sarebbe andata a trovarlo per mostrargli il suo meraviglioso nipote. Insieme a lei, la presenza del piccolo Philippe l’avrebbe consolato per la sua orribile perdita. E Laura gli avrebbe chiesto di raccontarle di Pal, per giorni interi, affinché potesse continuare a tenerlo in vita. Era stanca di essere l’unica a mantenere viva la sua memoria: gli altri non lo nominavano mai, per non farla soffrire. E voleva anche che Philippe, un giorno, conoscesse la storia di suo padre.
I tre camminavano lungo un viottolo che costeggiava il Serpentine Lake; il parco era deserto. La popolazione era terrorizzata dalle bombe volanti che da metà giugno si abbattevano su Londra e sul Sud dell’Inghilterra; le V1, die Vergeltungs Waffen – le “Armi della Vendetta” –, erano una delle ultime speranze di Hitler per riprendere il controllo della guerra. Venivano lanciate da rampe installate lungo le coste francesi sulla Manica: velocissime e silenziose, si abbattevano sul suolo inglese a qualsiasi ora del giorno e della notte, fino a duecentocinquanta al giorno – a volte, erano quasi cento sulla sola città di Londra. I morti si contavano già a migliaia, e si cercava di evacuare quantomeno i bambini nelle campagne, fuori dalla portata degli ordigni. Una squadriglia di Spitfire attraversò rumorosamente il cielo; Laura non ci fece caso. Stanislas e Doff, preoccupati, seguirono gli aerei con lo sguardo.
I servizi non riuscivano a individuare l’ubicazione delle rampe delle V1: le vedette avvistavano i missili quando erano già in volo sopra la Manica. La contraerea ne abbatteva alcuni, e la RAF era relativamente impotente di fronte a quegli attacchi, ben diversi da quelli condotti dagli stormi di bombardieri durante il Blitz: i caccia potevano sparare sui missili in volo, ma lo spostamento d’aria causato dall’esplosione degli ordigni costituiva un pericolo per gli intercettori stessi. Diversi aerei da combattimento erano stati persi proprio così. Esisteva, tuttavia, un modo spettacolare e pericoloso per evitare che i missili cadessero su zone abitate: alcuni piloti di Spitfire riuscivano a deviarne la traiettoria infilando la punta di un’ala sotto l’aletta laterale dell’ordigno volante, facendolo precipitare.
Laura lasciò il viottolo per mostrare a Philippe le anatre del laghetto; divertita, posò lo sguardo su Doff e Stanislas, che avevano prudentemente interrotto la conversazione – stavano parlando dell’operazione Overlord, ne era sicura. Ringraziò il cielo per aver mandato quei due uomini nella sua vita e in quella del figlioletto. Senza di loro, non sapeva che fine avrebbe fatto.
Stan osservò le onde placide del laghetto. Gli Alleati avanzavano inesorabilmente in Francia, ma le conquiste militari, che avrebbero portato sicuramente alla vittoria, non cancellavano gli antagonismi tra i combattenti. Le relazioni erano tese. Le unità dell’FFI erano state tenute all’oscuro dei preparativi di Overlord – De Gaulle era stato informato della data dello sbarco solo all’ultimo momento, e si era reso conto che alla Francia non sarebbe stata garantita un’amministrazione autonoma dopo la liberazione: si era infuriato con Churchill e Eisenhower, rifiutandosi addirittura di partecipare all’operazione Overlord e di trasmettere via radio il suo appello per chiamare a raccolta tutte le forze della Resistenza. Si era convinto a farlo soltanto la sera tardi. Adesso il problema era il destino degli agenti della Sezione F del SOE dopo la guerra. Il gruppo SOE/SO era impegnato a discutere con i vertici dell’FFI circa lo status da riconoscere, dopo la liberazione, ai francesi che avevano combattuto nei ranghi del SOE: il problema era stato sollevato prima dello sbarco ed era insoluto ormai da mesi. Con grande rammarico di Stanislas, le discussioni non avevano portato ancora a nessun risultato. Alcuni pensavano addirittura di considerare gli agenti francesi del SOE come traditori della patria per aver collaborato con una potenza straniera.
Laura prese in braccio il figlioletto. Con la mano libera, raccolse una manciata di sassolini e la lanciò nell’acqua; le anatre, pensando che fosse cibo, vi si avventarono. Laura e i due uomini dietro di lei sorrisero.
Poi gli agenti andarono a sedersi su una panchina per proseguire la loro conversazione.
“Ho fatto quello che mi hai chiesto,” disse Doff.
Stanislas approvò con un cenno del capo.
“Il controspionaggio che spia,” sbuffò il marconista. “Vuoi che mi impicchino, eh?”
L’ex pilota sorrise.
“Hai semplicemente consultato un fascicolo. C’è qualcuno che se ne occupa?”
“Per ora, più nessuno: la pratica è in sospeso. Con Overlord ci sono altre priorità.”
“E cos’hai scoperto?” domandò Stanislas, impaziente.
“Poca roba. Penso che il caso verrà archiviato. Sono stati arrestati, come altre decine di agenti. Avranno fatto un passo falso, o qualcuno li ha denunciati.”
“Ma chi può essere stato?”
“Non lo so. Non necessariamente un traditore: magari un partigiano arrestato e torturato. Lo sai cosa gli fanno…”
“Lo so. E una talpa interna?”
“Non credo. A quanto pare, nessuno conosceva l’esistenza dell’appartamento di Faron. Quindi non vedo come avrebbe potuto una talpa…”
“A Baker Street non conoscono neanche i nascondigli degli agenti!”
“L’avevano paracadutato da solo?”
“Sì, un marconista doveva raggiungerlo in seguito.”
“Già. Ma Faron aveva detto a Laura che quello era ufficialmente un appartamento sicuro. La Sezione F avrebbe dovuto esserne al corrente.”
“Che altro?”
“Pal era a Parigi. Senza motivo, visto che l’avevano paracadutato nel Sud. Che diavolo ci faceva lassù? Non era un tipo da disobbedire agli ordini…”
Stanislas annuì.
“Doveva avere un buon motivo per andare a Parigi, ma quale?… Nel fascicolo si fa riferimento agli interrogatori di Laura?”
“Sì. A quanto pare, Faron stava preparando un attentato al Lutetia,” disse Doff.
“Al Lutetia?”
“Già, sembra che abbia mostrato degli appunti a Laura. Ti risulta che fosse prevista un’operazione del genere?”
“No, non che io sappia…”
“Stando all’ordine di missione, Faron era stato mandato a Parigi per individuare obiettivi da bombardare.”
“Forse pensava di far colpire il Lutetia dal cielo?” suggerì Stan.
“No. Stava preparando un attentato con l’esplosivo.”
“Cavolo!”
“Secondo te, cosa significa tutto questo?” domandò Doff.
“Non ne ho idea.”
“Appena posso, voglio andare a Parigi per indagare,” disse il marconista. “Il padre di Pal sa che suo figlio è…”
“No, non credo. Suo padre… Sai, durante i corsi di formazione ne parlava spesso. Era un figlio affettuoso, quel Pal.”
Doff annuì e chinò il capo, intristito.
“Appena sarà possibile informarlo, lo faremo,” disse.
“È il minimo che possiamo fare.”
“Già.”
Non avevano visto che Laura si era avvicinata, sempre con Philippe in braccio.
“Stavate parlando di Pal, vero?”
“Dicevamo che suo padre non sa che è morto,” rispose Stanislas.
Laura li guardò con tenerezza e si sedette in mezzo a loro.
“Allora bisognerà andare a Parigi,” commentò.
I due uomini annuirono e le passarono entrambi un braccio dietro la schiena. Poi, senza che lei se ne accorgesse, si guardarono. Ne avevano parlato più volte nel segreto di Baker Street: volevano capire cosa fosse successo a Parigi quel giorno d’ottobre.
Seduto alla sua scrivania, Kunszer fissava il telefono, raggelato dalla notizia: Canaris, il capo dell’Abwehr, era stato arrestato dal controspionaggio del Sicherheitsdienst. Dopo l’attentato contro Hitler, otto giorni prima, gli alti ufficiali tedeschi erano tutti sorvegliati: qualcuno aveva tentato di uccidere il Führer piazzando una bomba in una sala riunioni della Wolffsschanze*, il suo quartier generale nei pressi di Rastenburg. La repressione in seno all’esercito era stata durissima: tutti erano sospettati, e il controspionaggio aveva messo sotto controllo i telefoni. Canaris era stato arrestato. Faceva parte dei cospiratori? Cosa ne sarebbe stato dell’Abwehr?
Kunszer era impaurito. Eppure non aveva partecipato alla cospirazione. Non aveva fatto nulla, ed era proprio per questo che aveva paura: da mesi non lavorava più attivamente per l’Abwehr: se qualcuno avesse analizzato il suo operato, avrebbe preso la sua passività per tradimento. La sua inerzia aveva una causa ben precisa: da tempo non credeva più alla vittoria tedesca. Gli Alleati stavano avanzando in Francia e, nel giro di qualche settimana, sarebbero arrivati alle porte di Parigi. Presto l’orgoglioso esercito germanico sarebbe stato in rotta – ne era sicuro. Le armate sarebbero state costrette a ripiegare e, a quel punto, il Reich avrebbe perso tutto: i propri figli e il proprio onore.
Temeva di essere arrestato con l’accusa di alto tradimento. Ma lui non aveva mai tradito. Al massimo, aveva avuto le proprie opinioni. Se fosse stato per lui, si sarebbe barricato nel suo ufficio al Lutetia, con la Luger in pugno, pronto a uccidere gli uomini delle SS venuti a prelevarlo, o a spararsi alla tempia appena gli Alleati – che aveva combattuto così aspramente – fossero entrati con i carri armati a Parigi. Ma c’era il vecchio: non si abbandona un padre. Se usciva ancora, era solo per lui.
* “La tana del lupo” [N.d.T.].