14
Le undici sagome strisciavano nella notte. Nelle stanze, avevano infilato i cuscini sotto le coperte per dissimulare la fuga. Ora erano tutti riuniti davanti al Dunham Lodge.
“Prendiamo una camionetta,” sussurrò Faron.
Key annuì, Aimé rise in silenzio e Claude, pallido, si fece il segno della croce: perché diavolo si era lasciato trascinare in quell’avventura? Senza fare il minimo rumore, pur essendo eccitatissimi per quella piccola diserzione, gli undici fuggiaschi si ammassarono a bordo di un veicolo militare. Faron si mise al volante – le chiavi erano, come sempre, dietro il parasole. Si affrettò a mettere in moto prima che qualcuno potesse notarli, e il veicolo si dileguò sulla stradina deserta.
Appena si furono allontanati dal Dunham Lodge, nell’abitacolo esplose un allegro baccano.
“È fantastico quello che state facendo per me,” gridò Gros ai suoi compagni, pieno d’amore.
“È fantastico che tu ti sia trovato una ragazza,” ribatté Jos.
“L’unica cosa fantastica sarebbe non farsi sbattere in cella!” gemette Claude, che aveva i crampi allo stomaco dalla paura.
Grazie alle precise indicazioni del ragazzone innamorato, il gruppo raggiunse in pochi minuti il pub. Parcheggiarono davanti all’ingresso. Gros aveva il batticuore. Gli altri, entusiasti per quella scappatella, si rammaricarono di non aver preso quell’iniziativa qualche giorno prima. Entrarono nel pub in processione, come un’allegra fanfara, e si sedettero a un tavolo mentre Gros si accomodò al bancone, con dieci paia di occhi puntati sulla schiena. Quando si voltava, tutti gli rivolgevano dei cenni d’incoraggiamento.
Il ragazzone scrutò la sala, ma non vide la sua amata. Si sforzò di dissimulare l’inquietudine che già lo tormentava: e se quella sera non fosse stata in servizio?
Al tavolo, i compagni studiavano la situazione.
“Dov’è la ragazza?” domandò Frank, impaziente.
“Non la vedo,” rispose Pal.
“E Gros, viene qui tutte le sere?” domandò Aimé, ancora sbalordito per quella storia.
“Tutte le sere…”
“E non ci siamo mai accorti di niente…”
Rimasero in silenzio. Della ragazza, nessuna traccia.
Con i gomiti poggiati sul bancone, Gros ordinò una birra per farsi coraggio; poi un’altra, e un’altra ancora. Non succedeva niente: lei non c’era. Infine Aimé andò verso di lui, ambasciatore di quella smaniosa delegazione.
“Allora, dov’è la tua ragazza?” domandò.
Gros scrollò le spalle: non ne aveva idea. Voltò la testa di qua e di là nella speranza di scorgerla sbucare dal fumo delle sigarette, ma invano. Sentì il sudore che cominciava a imperlargli la fronte; si asciugò rapidamente con il bordo della manica e strinse i pugni. Non doveva disperare.
Dopo un quarto d’ora, Key e Stanislas lo raggiunsero al banco per dargli man forte nell’attesa; qualche minuto più tardi, si offrirono di cercarla nella folla degli avventori.
“Dicci com’è fatta, te la troviamo noi.”
“Non c’è. Non è venuta,” gemette Gros.
Il suo viso sembrava sul punto di andare in pezzi.
Dopo mezz’ora, toccò a Claude provare a risollevargli il morale:
“Gros, spicciati a trovarla. Se non ci sbrighiamo a tornare, ci scopriranno.”
Un’ora più tardi, poiché non succedeva ancora niente, i compagni si sparpagliarono per il locale, stufi dell’attesa: alcuni restarono al tavolo a giocare a carte, altri andarono al biliardo, altri ancora alle freccette. Pal era inquieto.
“Non riesco a capire, Pal. Non c’è. Ma, di solito, è sempre qui!”
Passarono così altre due ore. Bisognava arrendersi all’evidenza: la piccola cameriera non sarebbe venuta. Gros artigliava il bancone, si aggrappava alla speranza, ma vedendo avvicinarsi Key, Frank, Stanislas e Aimé, fu pervaso da una tristezza tremenda: era il momento di tornare al Lodge.
“Non ancora,” implorò. “Non adesso.”
“Dobbiamo proprio andare,” disse Key, “mi dispiace.”
“Se ce ne andiamo, non la rivedrò mai più.”
“Non è vero. Tornerai qui in licenza e la vedrai. Ti daremo una mano noi. Ma stasera non verrà, ormai è chiaro.”
Gros sentì il suo cuore contrarsi, contorcersi, prosciugarsi.
“Dobbiamo andare. Se il tenente ci scopre…”
“Lo so. Grazie per quello che avete fatto.”
Laura, in disparte, assisteva alla scena. Si sentì straziare il cuore. Andò a sedersi accanto al ragazzone per consolarlo. Lui abbandonò l’enorme testa sulla spalla esile della ragazza; lei gli passò una mano tra i capelli sudati.
“Tanta fatica per niente…” sospirò Gros. “Non so neanche come si chiama: non la ritroverò mai più.”
A quel punto, gli occhi di Laura s’illuminarono.
“Nulla ci impedisce di sapere come si chiama!”
Si alzò di scatto. Si fece largo in mezzo alla folla di ubriachi, e quasi montò sul bancone per farsi sentire dal cameriere occupato ad asciugare bicchieri.
“Sto cercando Becky,” gli disse Laura.
Si era inventata un nome qualsiasi.
“Chi?”
Per riuscire a sentire qualcosa in mezzo a quel baccano, il cameriere dovette portarsi una mano all’orecchio.
“È una ragazza che lavora qui,” si sforzò di scandire Laura.
“L’unica ragazza che lavora qui si chiama Melinda. È lei che cerchi?”
“Sì, Melinda! C’è?”
“No. Oggi è malata. Per cosa la cercavi?”
Laura farfugliò una spiegazione, ma l’uomo, non riuscendo a capire, riprese ad asciugare i bicchieri senza fare altre domande.
I compagni avevano osservato la scena da lontano, senza poter udire la conversazione. Laura tornò verso di loro, sorridente.
“Melinda,” sussurrò all’orecchio di Gros. “Si chiama Melinda.”
Il ragazzone s’illuminò di gioia.
“Hai scoperto qualcos’altro?”
Laura rifletté per qualche istante. Gros aveva un’aria così felice che non riuscì a evitare di mentirgli.
“Mi ha detto che gli ha parlato di te.”
Gros esultò.
“Di me? Di me!”
Laura si morse il labbro, pentita: forse avrebbe fatto meglio a non dire niente.
“Cioè… Melinda si è accorta di te.”
“Ne ero sicuro!” gridò il ragazzone, che non l’ascoltava già più.
Pazzo di gioia, abbracciò Laura, poi Aimé, e Pal, e Key e tutti gli altri, e persino Faron.
Uscirono dal pub in preda all’euforia e si ammucchiarono di nuovo sulla camionetta. Gros traboccava d’amore e di felicità.
“Ne ero sicuro,” continuava a ripetere. “Sapete, certe sere i nostri sguardi si incrociavano, ed era una cosa… speciale. Insomma, avete capito cosa voglio dire. C’era della chimica.”
“Dell’alchimia,” lo corresse Aimé.
“Sì, dell’alchimina, un’alchimina fantastica!”
Al volante, Faron osservava Gros nello specchietto retrovisore e sorrideva. Sospettava che Laura avesse mentito, e lo riteneva un bel gesto: sapendo ciò che poteva succedergli in Francia, pensò che mentire per regalare una manciata di felicità in quella situazione era una buona azione.
A un centinaio di metri dal Dunham Lodge, Faron spense il motore; tutti scesero e si misero a spingere in silenzio la camionetta. Poi, dopo un’ultima raccomandazione di Key, entrarono nell’edificio senza fare rumore e si diressero verso le stanze. Mentre attraversavano il refettorio, si accese una luce. Davanti a loro, con il dito sull’interruttore, c’era il tenente Peter.
A testa bassa, gli aspiranti agenti cercavano di trattenere il sorriso. L’ufficiale urlava a piena voce, e David, in camicia da notte e con gli occhi ancora semichiusi, traduceva grossolanamente le sue parole. “Il tenente dice che non è affatto contento,” farfugliò, tra due scoppi di urla furiose.
“In realtà, ci sta insultando,” lo corresse Stanislas.
“È proprio ciò che pensavo,” bisbigliò Aimé.
Peter continuava a sbraitare, muovendosi freneticamente e sferzando l’aria con le sue lunghe braccia esili.
Key spiegò in inglese che erano andati a cercare l’innamorata di Gros, e che quindi si trattava di un caso di forza maggiore.
La spiegazione sembrò non avere alcun effetto sulla collera dell’ufficiale.
“Ma vi rendete conto? Se vi fosse successo qualcosa, là fuori, in pieno oscuramento… Io sono responsabile di quello che fate!”
David riferì quelle parole in un francese approssimativo.
“Non rischiavamo niente,” disse ingenuamente Claude. “Abbiamo preso una camionetta.”
Terminata la traduzione, la faccia di Peter diventò paonazza.
“Una camionetta? Una camionetta! Hanno preso una camionetta! Quale camionetta?”
Accostandosi a una finestra, Claude indicò il corpo del reato.
“Tutti fuori!” strepitò il tenente.
Le reclute lo seguirono in fila indiana. Nel freddo pungente della notte, l’ufficiale si sedette al volante e David, tremando e sospirando nella sua camicia da notte, prese posto accanto a lui.
“Siete fortunati: potrei sbattervi tutti in cella! E ora spingete! Portatemi lontano! Anch’io ho voglia di uscire e divertirmi!”
Gli aspiranti agenti della Sezione F, addossati al retro del veicolo, iniziarono a spingere.
“Più veloce!” gridò il tenente, che aveva abbassato il finestrino. “Voglio sentire il vento tra i capelli!”
Nascosti dall’oscurità, sorridevano tutti. Era stata una fuga memorabile. Qualcosa che avrebbero rifatto alla prima occasione.
Anche il tenente sorrideva. Erano usciti senza permesso e avevano rubato una camionetta, il tutto per andare a trovare l’innamorata di Gros. ‘Sono fantastici,’ pensò. ‘Sono proprio fantastici.’ Pescando tra le poche parole francesi che aveva imparato, in tono autoritario gridò nella gelida e buia notte inglese:
“Manica di coglioni! Manica di coglioni!”
E continuò a sorridere. Erano le persone più incredibili che avesse mai conosciuto.