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Nel corso del mese, lo stato maggiore assegnò le nuove consegne. Nessuno ne era ancora al corrente, ma quella sarebbe stata la loro ultima missione in Francia.
Denis, il canadese, che non era mai tornato nel gruppo, aveva trascorso una breve licenza a Londra in un alloggio di transito e aspettava di raggiungere una rete del Nord-Est.
Claude sarebbe partito per unirsi a un gruppo di partigiani del Sud.
Gros sarebbe stato paracadutato nel Nord all’inizio di febbraio. Doveva unirsi a una cellula di propaganda “nera”, incaricata di confondere le idee ai tedeschi, facendogli credere che presto sarebbe avvenuto uno sbarco alleato in Norvegia.
Key e Rear erano stati inquadrati in un gruppo interalleato. Entrambi si apprestavano a seguire un corso speciale nella regione delle Midlands, prima di partire per la missione.
Doff, che talvolta andava a trascorrere una serata con gli altri nell’appartamento di Bloomsbury, era stato intercettato dalla Gestapo a Bordeaux, in novembre, ma era riuscito a dileguarsi e a mettersi in salvo in Inghilterra. L’ufficio di sicurezza del SOE aveva deciso di non inviarlo più in Francia; pertanto, all’inizio del mese, era stato assegnato al controspionaggio – che in quel periodo era più attivo che mai. Si trattava di impedire che le spie nemiche riuscissero a scoprire i dettagli dell’operazione Overlord diffondendo false informazioni tramite agenti dell’Abwehr arrestati in Gran Bretagna e costretti a mantenere i contatti con Berlino. Così gli uomini del SOE inondavano i servizi tedeschi con messaggi che fornivano alle spie catturate. La tecnica era valida, ma gli inglesi erano sicuri che i crucchi facessero altrettanto.
Laura si decise a informare i superiori a Portman Square della sua gravidanza; poi, una sera, riunì i compagni nel soggiorno della casa di Bloomsbury. “Sono incinta di Pal,” annunciò loro, con gli occhi gonfi di lacrime. Stanislas, Key, Rear, Doff, Claude e Gros la soffocarono con i loro abbracci: il loro amico era resuscitato. Gros, fiero di essere già al corrente della notizia, raccontò a tutti di come fosse riuscito a tenere a freno la lingua.
Gli agenti della Sezione F, commossi, cominciarono a fantasticare sul nascituro: c’era chi gli avrebbe insegnato a leggere, chi a pescare, chi a giocare a scacchi, chi a sparare e a maneggiare gli esplosivi… Più tardi quella sera, Laura andò a trovare Key in camera. Stava facendo la consueta ginnastica.
“Avevo quasi paura della vostra reazione,” gli confidò.
Key si alzò dal pavimento, a torso nudo, con i muscoli gonfi. Indossò una camicia.
“Perché?”
“Perché Pal è morto.”
“Ma questo significa che i tedeschi non hanno vinto. C’è tutto lo spirito di Pal in questo: mai lasciarsi abbattere. L’hai amato così tanto…”
“Lo amo ancora.”
Key sorrise.
“Avere un figlio da lui significa che non vi lascerete mai. Anche se un giorno dovessi conoscere un altro uomo, e…”
“Non ci sarà mai un altro uomo,” lo interruppe lei, seccamente.
“Ho detto: ‘Un giorno…’ Sei ancora giovane, Laura. Si può amare più volte, in maniera diversa.”
“Non credo.”
Key la abbracciò per darle coraggio e per tagliar corto quella conversazione che non voleva affrontare.
“Cosa ne pensano i tuoi genitori?”
“Non gliel’ho ancora detto.”
Lui abbassò lo sguardo sul ventre di Laura: era impossibile notare che fosse incinta.
“Non sono ancora pronta a dirglielo,” aggiunse lei.
Key annuì: la capiva.
I servizi amministrativi del SOE inviarono Laura alla Northumberland House per una valutazione psichiatrica – una normale routine in seguito ai recenti avvenimenti. Avevano in programma di inquadrarla in Baker Street. Entrando nell’ufficio dov’era stata convocata, non poté trattenere un sorriso. Davanti a lei c’era l’uomo che l’aveva reclutata: il dottor Calland.
La riconobbe immediatamente: non rammentava il nome di battesimo, come gli capitava spesso, ma si ricordava perfettamente di quella ragazza. Era diventata ancora più bella.
“Laura,” si presentò lei, per evitargli di doverle chiedere il nome.
“Ma guarda un po’…”
“Ne è passato di tempo… Ormai ho il grado di tenente.”
Calland fece una smorfia ammirata; poi la invitò a sedersi e diede una rapida scorsa a un incartamento sulla sua scrivania.
“Una valutazione, eh?” disse.
“Sì.”
“Cos’è successo?”
“La guerra, signore. In settembre è morto un agente. Era il mio… fidanzato. Lui e io… Insomma, aspetto un figlio da lui.”
“Come si chiamava?”
“Paul-Émile. Noi lo chiamavamo Pal.”
Calland osservò la ragazza, e subito nella sua mente riaffiorarono i ricordi. Quel gruppo di aspiranti agenti era l’ultimo che avesse reclutato, prima di essere assegnato a un altro incarico. Tra l’altro, gli era succeduto uno scrittore. E di tutti quei nomi, solo uno gli era rimasto impresso nella memoria: Paul-Émile. Ricordava la poesia che il ragazzo aveva dedicato al padre mentre passeggiavano insieme per strada. Se ne sarebbe ricordato per sempre.
“Paul-Émile…” ripeté Calland.
“Lo conosceva?” domandò Laura.
“Io li conosco tutti. Vi conosco tutti. A volte, posso scordare un nome, ma il resto non lo dimentico. Non dimentico di avere una qualche colpa per quelli che sono morti.”
“Non dica così…”
Quel pomeriggio non ci fu nessuna valutazione: Calland ritenne inutile l’esame. La ragazza era lucida e consapevole. Per tutto il colloquio parlarono solo di Pal. Laura gli disse del loro primo incontro, dei corsi di formazione, della loro notte a Beaulieu; gli raccontò di quanto si fossero amati a Londra. Lasciò la Northumberland House solo la sera, anche se il loro incontro doveva durare al massimo un’ora.
Ritenuta idonea al servizio, Laura venne trasferita al quartier generale di Baker Street; la assegnarono al Servizio Codice, le comunicazioni criptate, per la Sezione F. Lì, in un ufficio accanto al suo, ritrovò le norvegesi di Lochailort.
Una decina di giorni dopo, Claude partì per la Francia. Poi arrivò febbraio: l’operazione Overlord sarebbe scattata nel giro di qualche mese. Per la Sezione F, l’inizio dell’anno si annunciava difficile quanto la fine del precedente: il maltempo sulla costa meridionale inglese era durato fino a metà gennaio, compromettendo gravemente le operazioni aeree, al punto che diversi agenti paracadutati nel Nord della Francia erano stati intercettati dalla Gestapo. I tedeschi erano più attivi che mai: il loro servizio di radiogoniometria si stava dimostrando particolarmente efficace. In previsione dell’operazione Overlord, il comando generale del SOE stava per varare l’operazione Ratweek, che consisteva nell’eliminazione di ufficiali della Gestapo in tutta l’Europa, ma la Sezione F non era coinvolta.
Poi toccò a Key e Rear lasciare Londra. Prima di raggiungere un gruppo di commando nei pressi di Birmingham, nella regione delle Midlands, vennero mandati a Ringway per un breve corso di aggiornamento, poiché la tecnica di lancio era stata leggermente modificata. Adesso i paracadutisti si lanciavano con una sacca da gamba: il materiale di missione era contenuto in un sacco di tela agganciato a una gamba tramite una lunga corda raccolta a spirale. Al momento del lancio, la corda si srotolava e il sacco penzolava nel vuoto; appena toccava terra, la fune si allentava e l’agente si preparava all’atterraggio imminente.
Infine toccò a Gros essere chiamato per la partenza. Si preparò all’immutabile rito, che era quasi diventato una routine: un ultimo passaggio in Portman Square, poi la partenza per un alloggio di transito dove sarebbe rimasto fino al decollo del bombardiere dalla pista di Tempsford, appena le condizioni meteorologiche l’avessero consentito. Non aveva paura di ripartire, ma lo angosciava l’idea di lasciare Laura da sola: chi avrebbe protetto l’amica e il bambino, se lui non c’era? Certo, c’era Stanislas, ma il ragazzone si chiedeva se l’ex pilota sarebbe riuscito a voler bene al piccolo come aveva deciso di fare lui: era molto importante volergli bene fin d’ora. Si rassicurò pensando che a Londra ci sarebbe stato anche Doff: Gros lo stimava molto. Spesso gli ricordava Pal: era soltanto più maturo – doveva essere sulla trentina.
Il giorno prima di lasciare Londra, mentre preparava il bagaglio nella sua stanza di Bloomsbury, Gros fece le ultime raccomandazioni al marconista: adesso toccava a loro.
“Abbi cura di Laura, mio caro Adolf,” disse Gros in tono solenne.
L’altro annuì, divertito dal compagno. Laura era al quarto mese di gravidanza.
“Perché non mi chiami mai Doff?”
“Perché Adolf è un bel nome. Non è che bisogna cambiarlo perché quell’Hitler del cavolo te l’ha rubato! Lo sai quanti uomini ci sono nella Wehrmacht? Milioni. Lì dentro ci sono quasi tutti i nomi del mondo. Se poi aggiungi i collaborazionisti e la Gestapo, il conto è infinito. Allora, secondo te, dovremmo chiamarci con nomi che nessuno ha sporcato, come ‘Pane’, ‘Insalata’ o Carta igienica’? Ti piacerebbe che tuo figlio si chiamasse ‘Carta igienica’? ‘Carta igienica, mangia la minestra! Carta igienica, hai fatto i compiti?’”
“A te, però, ti chiamano ‘Gros’…”
“Non c’entra, Gros è un nome di battaglia. Tu sei come Denis e Jos, non puoi sapere: non eri con noi a Wanborough Manor.”
“Tu non meriti di essere chiamato così.”
“Ti ho detto che è un nome di battaglia.”
“E qual è la differenza?”
“La differenza è che, dopo la guerra, cambia tutto. Lo sai perché mi piace la guerra?”
“No.”
“Mi piace perché, quando finirà, avremo tutti una seconda possibilità.”
Doff guardò il ragazzone con affetto.
“Abbi cura di te, Gros. Torna presto tra noi: il bambino avrà bisogno di te. Tu sarai un po’ suo padre…”
“Suo padre? No. Al massimo, potrò essere il suo padre segreto, quello che veglia nell’ombra. Ma nulla di più. Mi hai guardato bene? Io non sarei un padre: sarei un animale da circo, con questi capelli orrendi e il doppio mento. Il mio finto figlio passerebbe il tempo a vergognarsi di me. E non è giusto essere un genitore che fa vergognare il proprio figlio.”
Seguì un lungo silenzio. Gros guardò Doff – era un bell’uomo – e sospirò, amareggiato. Gli sarebbe piaciuto essere come lui. Con le donne sarebbe stato tutto più semplice.