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Ormai conosceva la strada a memoria. Arrivava alla Gare de Lyon e, in bicicletta, raggiungeva il Quartiere Latino passando per Boulevard Saint-Germain e costeggiando la Senna – le piaceva molto il fiume.
Era una bella giornata autunnale, e lei indossava un vestito leggero; in una borsa di tela sistemata nel portapacchi c’era la busta che Pal le aveva affidato un mese prima. Si era arresa: aveva deciso di consegnarla nonostante tutto. Non poteva tenerla per sé solo per vendicarsi di lui: erano in guerra e quelle informazioni andavano consegnate. Sapeva che le parole contenute in quella busta, sicuramente banali, nascondevano un codice insospettabile che annunciava un bombardamento o forniva qualche informazione cruciale. Non consegnare quella lettera avrebbe significato diventare una traditrice, forse addirittura compromettere le operazioni della Resistenza. Allora si era arresa. Ma la prossima volta che Pal fosse tornato, l’avrebbe minacciato: avrebbe preteso di svolgere compiti più importanti. Era in grado di fare molto più di quelle ridicole consegne. Aveva grandi qualità: era discreta, affidabile, e aveva persino un’arma.
Pedalando lungo il Boulevard Saint-Germain, si sfiorò con una mano la coscia destra, coperta dalla gonna, lì dove aveva agganciato la fondina con la piccola pistola che Faron le aveva regalato.
Kunszer aveva passato parte del pomeriggio a rimuginare sulla fotografia della sua Katia. L’aveva anche incorniciata, affinché non si rovinasse. Aveva benedetto la sua amata e maledetto gli inglesi. Aveva utilizzato mille espedienti per distrarsi, invano, e ora cominciava a sentirsi soffocare nel suo ufficio. Non sopportava più il Lutetia. Voleva uscire, camminare un po’. Sì, camminare gli avrebbe fatto bene. Imboccò il Boulevard Raspail e scese fino all’incrocio con Saint-Germain. Si allentò la cravatta, sbottonò il colletto della camicia. Decise che avrebbe oziato un po’ lì, approfittando della frescura assicurata dall’ombra degli alberi; era vestito troppo pesante, settembre era mite. Sudava.
Trovò un bar con terrazza e si sedette a un tavolino. Aveva sete. Ordinò una bevanda fresca e si mise a osservare i passanti. Pensava a Katia. Si sentiva solo.
Marie aveva appena lasciato la busta nella cassetta delle lettere. Completata la missione, si affrettò a risalire sulla bici. Riprese a pedalare sul Boulevard Saint-Germain, in direzione della Torre Eiffel, come le aveva consigliato Pal: il viale era sempre gente affollato ed era facile mescolarsi alla gente.
Sulla terrazza del bar, Kunszer osservava l’agitazione sul boulevard. Era una piacevole distrazione. Gli passò davanti una ragazza molto carina, in bicicletta. Doveva avere più o meno venticinque anni e assomigliava a Katia. Il cuore di Kunszer iniziò a battere più velocemente: gli venne voglia di inseguirla, di amarla, di dimenticare fingendo che fosse la sua amata. Lui parlava francese senza alcun accento, poteva attaccare discorso tranquillamente, senza remore: la ragazza non si sarebbe mai resa conto che era uno sporco crucco. Potevano andare al cinema. Aveva voglia di sentirsi apprezzato. Si alzò dalla sedia, con l’intenzione di offrirsi a quella giovane francese.
Una leggera folata di vento attraversò il viale, facendo fremere le foglie dei platani E poi, combinandosi con lo slancio della bicicletta, sollevò per una frazione di secondo la gonna di Marie. Kunszer, il cui sguardo non aveva lasciato neanche per un istante la ragazza, vide spuntare la canna di una pistola.