L'aula di giustizia era ridiventata corpo di guardia. Il posto era raddoppiato come la notte precedente, due sentinelle custodivano la porta della cella chiusa.
Verso mezzanotte, un uomo, che reggeva una lanterna, attraversò il corpo di guardia, si fece riconoscere, e si fece aprire la cella.
Era Cimourdain.
Entrò. Dietro di lui la porta rimase semiaperta.
La cella era tenebrosa e silente. Cimourdain mosse un passo in quella oscurità, posò la lanterna a terra, e si fermò. Si udiva nel buio il respiro uguale d'un uomo addormentato. Cimourdain ascoltò, pensoso, quel tranquillo rumore.
Gauvain era in fondo alla cella, sulla balla di paglia. Il respiro che si udiva era il suo. Dormiva profondamente.
Cimourdain avanzò facendo il minor rumore possibile. Si avvicinò a Gauvain e prese a osservarlo. Una madre che guardasse il suo lattante addormentato non avrebbe uno sguardo più tenero e più ineffabile. Era forse più forte dello stesso Cimourdain, quello sguardo; egli si premette, come fanno talvolta i bambini, ambo i pugni sugli occhi, e rimase un momento immobile. Poi si inginocchiò, sollevò pian piano la mano di Gauvain, e vi premette sopra le labbra.
Gauvain ebbe un movimento. Aprì gli occhi con l'incerto stupore di chi è svegliato di soprassalto. La lanterna rischiarava debolmente la cantina. Egli riconobbe Cimourdain.
Ah! - disse; - siete voi, maestro!
E soggiunse:
Sognavo che la morte mi baciava la mano.
Cimourdain ebbe quella scossa che ci dà, talvolta, la brusca invasione di un'ondata di pensieri; tale ondata, a volte è così alta e tempestosa, che sembra stia per spegnere l'anima. Nulla uscì dal profondo cuore di Cimourdain. Non poté dire che:
Gauvain!
Si guardarono l'un l'altro. Cimourdain con occhi pieni di quelle vampe che bruciano le lacrime; Gauvain con il suo più dolce sorriso.
Gauvain si sollevò sul gomito, e disse:
Questo sfregio che vi scorgo in faccia, è la sciabolata che avete buscato al mio posto. Ancora ieri eravate al mio fianco in quella mischia, per causa mia. Se la provvidenza non vi avesse posto accanto alla mia culla, dove sarei, io, oggi? Nelle tenebre. Se ho la nozione del dovere, mi viene da voi. Io ero nato fasciato, poiché i pregiudizi sono fasciature. Quelle fasce, voi me le avete tolte, avete rimesso in libertà la mia crescita, e avete rifatto, di colui che già non era più che una mummia, un fanciullo. Avete messo una coscienza nel probabile aborto. Senza di voi, io sarei cresciuto meschino. Io esisto in grazia vostra. Non ero che un signore; avete fatto di me un cittadino. Non ero che un cittadino, avete fatto di me un cervello. Mi avete fatto idoneo, come uomo, alla vita terrestre, e, come anima, alla vita celeste. Mi avete dato, per entrare nella realtà umana, la chiave della verità, e per andarne al di là, la chiave della luce. Ve ne ringrazio, maestro. Siete stato voi a crearmi.
Cimourdain si sedette sulla paglia, a fianco di Gauvain, e disse:
Vengo a cenare con te.
Gauvain spezzò il pane nero e glielo presentò. Cimourdain ne prese un pezzo; poi Gauvain gli porse la brocca d'acqua.
Bevi per il primo, - disse Cimourdain.
Gauvain bevve e passò la brocca a Cimourdain, che bevve dopo. Gauvain non aveva bevuto che una sorsata, Cimourdain bevve a garganella.
In quella cena, Gauvain mangiava, Cimourdain beveva. Indizio di calma nell'uno e di febbre nell'altro.
C'era in quella cella un non so che terribile serenità. Quei due uomini conversavano. Gauvain diceva:
Grandi cose si delineano. Quello che fa la rivoluzione in questo momento è misterioso. Dietro l'opera visibile c'è l'opera invisibile.
L'una nasconde l'altra. L'opera visibile è selvaggia, l'opera invisibile è sublime. In questo momento distinguo tutto con grande chiarezza. E' strano e bello. Fu giocoforza valersi dei materiali del passato. Da ciò questo straordinario '93. Sotto una impalcatura di barbarie, si va costruendo un tempio di civiltà.
Sì, - rispose Cimourdain. - Da questo provvisorio scaturirà il definitivo. Il definitivo, che è quanto dire il diritto e il dovere paralleli, l'imposta proporzionale e progressiva, il servizio militare obbligatorio, il livellamento, nessuna deviazione, e, al di sopra di tutti e di tutto, quella linea retta che è la legge. La repubblica dell'assoluto.
Io preferisco, - disse Gauvain, - la repubblica dell'ideale.
S'interruppe, poi continuò:
E dove, maestro, collocate, in tutto quello che avete detto or ora, la dedizione, il sacrificio, l'abnegazione, il magnanimo intreccio delle benevolenze, l'amore? Mettere tutto in equilibrio è una gran bella cosa; mettere tutto in armonia è ancora meglio. La cetra sta sopra alla bilancia. La vostra repubblica dosa, misura e regola l'uomo; la mia lo innalza in pieno azzurro. E' la stessa differenza che esiste tra un teorema e un'aquila.
Ti perdi nelle nuvole, tu.
E voi nei calcoli.
C'è del sogno nell'armonia.
Ce n'è anche nell'algebra.
Vorrei l'uomo fatto da Euclide.
E io, - disse Gauvain, - lo preferirei fatto da Omero.
Il severo sorriso di Cimourdain si fermò su Gauvain, come per tenere a freno quell'anima.
Poesia. Diffida dei poeti.
Sì, lo conosco questo detto. Diffida degli zefiri, diffida dei raggi, diffida dei profumi, diffida dei fiori, diffida delle costellazioni.
Nulla di tutto questo dà da mangiare.
Che ne sapete voi? Anche l'idea è un nutrimento. Pensare è mangiare.
Niente astrazioni. La repubblica è due e due fanno quattro. Dato che io abbia a ciascuno quanto gli spetta...
Vi rimane da dare a ciascuno ciò che non gli spetta.
Che intendi con questo?
Intendo l'immensa concessione reciproca che ciascuno deve a tutti e che tutti debbono a ciascuno, e che è tutta la vita sociale.
Non c'è nulla, all'infuori dello stretto diritto.
C'è tutto, invece.
Io non vedo che la giustizia.
Guardo più in alto, io.
E che c'è, dunque, al di sopra della giustizia?
L'equità.
Tratto tratto, facevano delle pause, come se passassero dei lampi.
Cimourdain riprese:
Ti sfido a precisare.
Sia. Voi volete il servizio militare obbligatorio. Contro chi?
contro altri uomini. Io, invece, di servizio militare non ne voglio.
Voglio la pace, io. Voi volete che i poveri siano aiutati, io voglio che sia soppressa la miseria. Voi volete l'imposta proporzionale. Io di imposte non ne voglio affatto. Voglio la spesa comune ridotta alla sua più semplice espressione e pagata dal plus-valore sociale.
Che intendi con questo?
Questo. Sopprimete innanzitutto il parassitismo; il parassitismo del prete, il parassitismo del giudice, il parassitismo del soldato.
Cavate poi un profitto dalle vostre ricchezze; voi gettate il concime nelle fogne, gettatelo nel solco. I tre quarti del suolo nazionale sono incolti; bonificate la Francia, sopprimete i pascoli inutili; dividete le terre comunali. Che ogni uomo abbia un pezzo di terra, e che ogni pezzo di terra abbia un uomo. Centuplicate la produzione sociale. La Francia, in questo momento, non dà ai suoi contadini che quattro giorni di carne all'anno; coltivata a dovere, nutrirebbe trecento milioni d'uomini, tutta l'Europa. Utilizzate la natura, immensa ausiliaria disprezzata. Fate lavorare per voi ogni soffio di vento, ogni cascata d'acqua, ogni effluvio magnetico. Il globo ha una rete di vene sotterranee, dentro questa rete c'è una circolazione prodigiosa di acqua, di olio, di fuoco; bucate le vene del globo, e fatene zampillare quell'acqua per le vostre fontane, quell'olio per le vostre lampade, quel fuoco per i vostri focolari. Riflettete al movimento delle onde, al flusso e riflusso, all'andirivieni delle maree. Che cos'è l'oceano? una enorme forza perduta. Come è stupida la terra, a non valersi dell'oceano!
Eccoti in pieno sogno.
Che è quanto dire in piena realtà.
Gauvain riprese:
E della donna, che cosa ne fate?
Cimourdain rispose:
Quello che è. La serva dell'uomo.
Sì, a una condizione.
Quale?
Che l'uomo sia il servitore della donna.
Ci credi tu? - esclamò Cimourdain. - L'uomo servitore! Mai. L'uomo è padrone. Non ammetto che una regalità, quella del focolare. L'uomo, in casa sua, è re.
Sì, a una condizione.
Quale?
Che la donna vi sarà regina.
Sarebbe come dire che tu vuoi per l'uomo e per la donna...
L'uguaglianza.
L'uguaglianza! ci pensi? sono due esseri diversi.
Ho detto l'uguaglianza, non l'identità.
Ci fu un'altra pausa; una specie di tregua tra quei due cervelli che si scambiavano lampi. La ruppe Cimourdain.
E il figlio, a chi lo dai, tu?
Dapprima al padre che lo genera, poi alla madre che lo mette al mondo, poi al maestro che lo educa, poi alla città che lo virilizza, poi alla patria, che è la madre suprema, poi all'umanità, che è la grande avola.
Non parli di Dio, tu.
Ciascuno di questi gradi, padre, madre, maestro, città, patria, umanità non è che uno scalino della scala che sale a Dio.
Cimourdain se ne stava zitto; Gauvain proseguì:
Giunti che si sia in cima alla scala, si è arrivati a Dio. Dio si spalanca. Non c'è che da entrare.
Cimourdain ebbe il gesto d'un uomo che ne richiama un altro.
Torna sulla terra, Gauvain. Intendiamo attuare il possibile, noi.
Cominciate col non renderlo impossibile.
Il possibile si attua sempre.
Non sempre. Se si maltratta l'utopia, la si uccide. Non c'è nulla di meno difeso dell'uovo.
Eppure, l'utopia, è indispensabile acciuffarla, imporle il giogo della realtà, e inquadrarla nel fatto. L'idea astratta si deve trasformare in idea concreta. Ciò che perde in bellezza, lo riguadagna in utilità. E' più piccola, ma migliore. Bisogna che il diritto entri nella legge; e quando il diritto si è fatto legge, è assoluto. Appunto questo io chiamo il possibile.
Il possibile è più di questo.
Ah! Rieccoti nel sogno.
Il possibile è un misterioso uccello sempre alitante al di sopra degli uomini.
Bisogna afferrarlo.
Vivo.
Gauvain continuò:
Ecco il mio pensiero: sempre avanti. Se Dio avesse voluto che l'uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa.
Guardiamo sempre dalla parte dell'aurora, dello sboccio, della nascita. Quello che cade incoraggia quello che sale. Lo schianto del vecchio albero è un richiamo per l'albero nuovo. Ogni secolo compirà la propria opera, civica oggigiorno, umana domani. Oggi la faccenda del diritto, domani quella del salario. Salario e diritto sono, in fondo, un vocabolo solo. L'uomo non vive per non essere pagato. Dio, dando la vita, contrae un debito; il diritto è il salario innato; il salario, è il diritto di acquisto.
Gauvain parlava con il raccoglimento d'un profeta. Cimourdain ascoltava. Le parti erano invertite; pareva che fosse il discepolo a essere il maestro, adesso.
Cimourdain mormorò:
Vai lesto, tu.
E' che ho un po' di fretta, forse, - disse Gauvain sorridendo.
E riprese:
Ecco qual è la differenza fra le nostre utopie, maestro. Voi volete la caserma obbligatoria, io voglio la scuola. Voi sognate l'uomo soldato, io sogno l'uomo cittadino. Voi lo volete terribile, io lo voglio pensoso. Voi fondate una repubblica di spade, io fondo...
Si interruppe:
Io fonderei una repubblica di cervelli.
Cimourdain guardò il pavimento della cella, e disse:
Che cosa vuoi, frattanto?
Quello che c'è.
Assolvi dunque il momento presente, tu?
Sì.
Perché?
Perché è una tempesta. Una tempesta sa sempre quello che fa. Per una quercia fulminata, quante foreste risanate! La civiltà era affetta di peste, questo grande vento ne l'ha liberata. Forse non sceglie abbastanza; ma può fare diversamente? E' incaricato di una così dura scopata! Davanti all'orrore del miasmo, comprendo il furore del soffio.
E Gauvain continuò:
E che importa, del resto, a me, la tempesta, se ho la bussola? che importano, a me, gli avvenimenti se ho la mia coscienza?
Poi soggiunse con voce bassa, che è anche la voce solenne:
C'è qualcuno cui bisogna sempre lasciar fare.
Chi? - domandò Cimourdain.
Gauvain alzò il dito al di sopra del proprio capo. Cimourdain seguì con lo sguardo la direzione di quel dito, e, attraverso la volta della cella, gli parve di scorgere il cielo stellato.
Tacquero di nuovo.
Cimourdain riprese:
Società più grande della natura. Non è più il possibile, ti ripeto; è il sogno.
E' la meta. A che pro la società, altrimenti? Rimanete nella natura.
Siate selvaggi. Tahiti è un paradiso. Solo, in quel paradiso non si pensa. Sarebbe ancora preferibile un inferno intelligente a un paradiso stupido. Ma no, niente inferno. Siamo la società umana. Più grande della natura. Sì. Se non aggiungete nulla alla natura, perché uscire dalla natura? Accontentatevi del lavoro, allora, come la formica, e del miele, come l'ape. Rimanete la bestia operosa invece d'essere l'intelligenza regina. Se aggiungete qualche cosa alla natura, sarete necessariamente più grande di essa; aggiungere è aumentare; aumentare è ingrandire. La società è la natura sublimata.
Voglio tutto quello che manca agli alveari, tutto ciò che manca ai formicai, i monumenti, le arti, la poesia gli eroi, i geni. Non è legge dell'uomo portare eterni fardelli. No, no, no, non più paria, non più schiavi, non più forzati, non più dannati! Voglio che ciascuno degli attributi dell'uomo sia un simbolo di civiltà e un modello di progresso; voglio la libertà per la mente, l'uguaglianza per il cuore, la fraternità per l'anima. No, niente più gioghi! L'uomo è fatto per spalancare ali, non per trascinare catene. Non più uomo rettile.
Voglio la trasfigurazione della larva in lepidottero. Voglio che il verme si trasformi in un vivo fiore, e prenda il volo. Voglio...
Si fermò. L'occhio gli sfolgorava.
Le labbra gli si agitavano. Smise di parlare.
La porta era rimasta aperta. Qualcosa dei rumori esterni entrava nella cella. Si udivano vaghi accenti di tromba; era la sveglia, molto probabilmente. Poi si udirono calci di fucile battuti a terra: il cambio delle sentinelle. Poi, molto vicino alla torre, da quanto si poteva opinare nell'oscurità, un non so che simile a un rimuovere di assi e di travi, con rumori sordi e intermittenti, che parevano colpi di martello.
Cimourdain, pallido, ascoltava. Gauvain non udiva nulla.
La sua fantasticheria si faceva sempre più profonda. Si sarebbe detto che non respirasse più, tanto era attento a ciò che scorgeva sotto la visionaria volta del suo cervello. Dolci sussulti lo scuotevano, di tanto in tanto. Il bagliore d'aurora che aveva nella pupilla ingrandiva.
Passò così un certo tempo. Cimourdain gli domandò:
A che pensi?
All'avvenire, - disse Gauvain.
E ricadde nella sua meditazione. Cimourdain si alzò dal letto di paglia sul quale erano seduti entrambi. Gauvain non se ne accorse.
Cimourdain, covando con gli occhi il giovane meditabondo, indietreggiò pian piano fino alla porta e uscì. La cella si richiuse.