La corvetta, invece di puntare verso il sud e di dirigersi dalla parte di Santa Caterina, aveva messo la prua a nord, poi aveva virato a ovest e si era risolutamente cacciata tra Serke Jersey, in quel braccio di mare che viene chiamato il Passaggio del Disastro. A quei tempi non c'era alcun faro né sull'una né sull'altra di quelle due coste.
Il sole era tramontato del tutto, la notte era buia più di quanto lo siano, di solito, le notti estive. Era una notte di luna, ma grandi nuvole, da equinozio più che da solstizio, coprivano il cielo, e, secondo ogni apparenza, la luna non sarebbe stata visibile che quando, li lì per tramontare, avrebbe toccato l'orizzonte. V'erano nubi che pendevano fin sul mare, coprendolo di nebbia.
Tutta favorevole, quella oscurità.
L'intenzione di Gacquoil, il pilota, era di lasciarsi Jersey a sinistra e Guernesey a destra e di raggiungere, con una audace traversata tra Hanois e Dover, una qualunque baia del litorale di Saint-Malo. Era una rotta meno breve di quella dei Minquiers, ma più sicura, in quanto la squadra francese, d'ordinario, aveva per consegna di fare soprattutto la ronda tra Saint-Hélier e Granville.
Se il vento secondava, se nulla sopravveniva, Gacquoil sperava, coprendo la corvetta di vele, di raggiungere la costa di Francia sul far del giorno.
Tutto procedeva ottimamente; la corvetta aveva appena oltrepassato Gros-Nez. Verso le nove, il tempo fece finta di imbronciarsi, come dicono i marinai, e ci fu vento, e il mare si agitò. Ma quel vento era buono, e quel mare era mosso senza essere violento. Comunque, a certi colpi di mare, la prua della corvetta si ricopriva d'acqua.
Il "contadino", che lord Balcarres aveva chiamato "generale", e al quale il principe di La Tour d'Auvergne aveva detto "cugino mio", aveva il piede da marinaio e passeggiava con tranquilla gravità sul ponte della corvetta. Pareva non accorgersi nemmeno che era molto scossa. Di tanto in tanto tirava fuori dalla tasca della sua casacca una tavoletta di cioccolata, spezzandone e masticandone un pezzo, ché i suoi bianchi capelli non gli impedivano per nulla di avere tutti i suoi bravi denti.
Non parlava con nessuno, salvo che, ogni tanto, a bassa voce e brevemente, col capitano, che lo ascoltava con deferenza e pareva considerare quel passeggero come più elevato in grado a bordo di lui stesso.
La "Claymore", abilmente pilotata, rasentò, inosservata nella nebbia, la dirupata costa settentrionale di Jersey, serrandosele sotto, per via del pericoloso scoglio Pierres-de-Leeq, che sporge nel mezzo del braccio di mare tra Jersey e Serk. Gacquoil, in piedi alla barra, segnalava di volta in volta la Grève de Leeq, Gros-Nez, Plémont, e faceva scivolare la corvetta fra quelle catene di scogli, a tastoni, in certo qual modo, ma con sicurezza, come uno che sia di casa e conosca i sentieri dell'oceano. La corvetta non aveva fanale di prua, per timore di denunciare il suo passaggio in quei mari sorvegliati.
Tutti si felicitavano della nebbia. All'altezza di Grande-Etape, la nebbia era così fitta, che l'alto profilo del Pinnacolo si discerneva appena appena. Fu udito scoccar le dieci al campanile di Saint-Ouen:
segno che il vento si manteneva di poppa. Tutto continuava a procedere ottimamente; il mare diventava sempre più ondoso, per via della vicinanza della Corbière.
Poco dopo le dieci, il conte di Boisberthelot e il cavaliere di La Vieuville riaccompagnarono l'uomo dalle vesti da contadino fino alla sua cabina, che era l'alloggio dello stesso capitano. Quando fu lì per entrarvi, il vecchio disse loro abbassando la voce:
Signori, voi sapete che importanza abbia il segreto. Silenzio fino al momento dell'esplosione. Qui, il mio nome lo conoscete soltanto voi.
Lo porteremo con noi nella tomba, - rispose Boisberthelot.
Quanto a me - riprese il vecchio - fossi pure davanti alla morte, non lo direi di sicuro Ed entrò in cabina.