5.

LA GOCCIA D'ACQUA FREDDA.

 

Erano molti anni che non si vedevano più; ma i loro cuori non si erano mai staccati l'uno dall'altro. Si riconobbero come se si fossero separati il giorno prima.

Un'ambulanza era stata improvvisata nel municipio di Dol. Cimourdain vi fu ricoverato su un letto in una cameretta contigua alla grande corsia comune dei feriti. Il chirurgo, che aveva ricucito lo sfregio, mise termine alle reciproche effusioni dei due, e dichiarò che Cimourdain doveva essere lasciato dormire. Gauvain, d'altra parte, era richiesto dalle mille preoccupazioni che costituiscono i doveri e i grattacapi della vittoria. Cimourdain rimase solo; ma non dormì. Aveva addosso due febbri: quella della ferita e quella della gioia che provava.

Non dormì. Nondimeno, non gli sembrava d'essere sveglio. Era mai possibile? Il suo sogno si era avverato. Cimourdain era di quelli che non credono alla buona sorte, eppure l'aveva. Ritrovava Gauvain.

L'aveva lasciato giovinetto e lo ritrovava uomo; lo ritrovava grande, temibile, intrepido. Lo ritrovava trionfante, e trionfante per il popolo. Gauvain era, in Vandea, il sostegno della rivoluzione; ed era stato lui, Cimourdain, a erigere quella colonna alla repubblica. Quel vittorioso era il suo discepolo. Attraverso quel giovane aspetto, forse riservato al pantheon repubblicano, egli vedeva raggiare il suo proprio pensiero, di lui, Cimourdain. Il suo discepolo, il figlio del suo spirito, era già da allora un eroe, e tra non molto sarebbe stato una gloria. A Cimourdain sembrava di rivedere la sua propria anima fatta Genio. Aveva appena visto coi suoi propri occhi come Gauvain faceva la guerra. Era come Chirone che avesse visto combattere Achille. Misterioso rapporto tra il prete e il centauro: il prete, infatti, non è uomo che fino a mezzo corpo.

Tutti gli episodi di quella avventura, frammisti all'insonnia provocata dalla sua ferita, colmavano Cimourdain di una specie di misteriosa ebbrezza. Spuntava, magnifico, un giovane destino, e, cosa che aumentava ancor più la profonda sua gioia, lui, Cimourdain, aveva pieni poteri su quel giovane destino. Ancora un risultato come quello che aveva appena visto, e Cimourdain non avrebbe avuto che da dire una parola perché la repubblica affidasse a Gauvain un esercito. Nulla abbacina quanto lo stupore di veder riuscire ogni cosa. A quel tempo, ciascuno aveva il suo sogno militare, ciascuno voleva creare un generale: Danton voleva creare tale il Westermann; Marat, il Rossignol; Hébert, il Ronsin; Robespierre voleva destituirli tutti.

"Perché non Gauvain?", si diceva Cimourdain; e sognava. Aveva davanti a sé lo sconfinato; passava da una ipotesi all'altra; gli ostacoli svanivano uno dopo l'altro; messo che si abbia il piede su quella scala, non ci si ferma più; ascesa senza fine: si parte dall'uomo e si arriva alla stella. Un grande generale non è che un comandante di eserciti; un grande condottiero è al tempo stesso un capo di idee.

Cimourdain sognava Gauvain grande condottiero. Gli pareva, poiché la fantasticheria va in fretta, di vedere Gauvain sull'Oceano, inteso a dare la caccia agli inglesi; sul Reno, a castigare i re del Nord; sui Pirenei, che faceva indietreggiare la Spagna; sulle Alpi, che faceva segno a Roma di risorgere. In Cimourdain c'erano due uomini, uno tenero e uno tetro: entrambi erano contenti. L'inesorabile essendo il suo ideale, al tempo stesso che vedeva Gauvain superbo, lo vedeva infatti anche terribile. Cimourdain pensava a tutto ciò che si doveva distruggere prima di costruire, e si diceva certo che non era ora da intenerimenti quella. Gauvain sarebbe stato "all'altezza", come allora si diceva. Cimourdain si immaginava Gauvain che schiacciava col piede le tenebre, corazzato di luce, con un bagliore di meteora in fronte, spalancando le grandi ali ideali della giustizia, della ragione e del progresso, con una spada in pugno. Angelo, ma sterminatore.

Nel pieno di questa fantasticheria, che era quasi un'estasi, udì, dall'uscio dischiuso, parlare nella grande corsia dell'ambulanza, attigua alla sua camera. Riconobbe la voce di Gauvain. Quella voce, malgrado gli anni di distacco, egli l'aveva sempre avuta nell'orecchio e la voce del fanciullo si ritrova nella voce dell'uomo. Ascoltò. Si udì uno stropiccio di passi; poi qualcuno disse:

Questo, comandante, è l'uomo che vi ha sparato addosso.

Approfittando del momento che nessuno lo guardava, si era trascinato in una cantina. Ve l'abbiamo trovato. Eccolo qui.

Allora Gauvain udì questo dialogo tra Gauvain e l'uomo:

Sei ferito?

Sto bene abbastanza, per essere fucilato.

Mettetelo a letto, quest'uomo. Medicatelo, curatelo, guaritelo.

Voglio morire, io.

Tu vivrai. Hai tentato di uccidermi in nome del re; io ti faccio grazia in nome della repubblica.

Un'ombra passò sulla fronte di Cimourdain. Ebbe come una specie di brusco risveglio, e mormorò con un certo qual sinistro accasciamento:

E' davvero un clemente.


Novantatre'
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