Ma che ne sarebbe stato della corvetta?
Le nubi, che per tutta la notte si erano confuse con i cavalloni, avevano finito con l'abbassarsi a tal punto, che non c'era più orizzonte e tutto il mare era come sotto un mantello. Non c'era altro che nebbia. Congiuntura sempre pericolosa, anche per una nave in piena efficienza. Alla nebbia si aggiungevano i cavalloni.
Tempo, non se ne era perso affatto. La corvetta era stata alleggerita gettando in mare tutto ciò che era stato possibile spazzar via del disastro causato dalla carronata: i cannoni smontati, gli affusti stritolati, le ossature contorte e schiodate, le strutture di legno o di ferro fracassate. Erano stati aperti i portelli, e cadaveri e resti umani avvolti in grosse tele incatramate erano stati fatti scivolare su delle assi dentro le onde.
Il mare cominciava ad essere insostenibile. Non che la tempesta si fosse fatta proprio imminente; sembrava anzi di udir decrescere l'uragano che rumoreggiava dietro l'orizzonte e la raffica si spostava verso il nord; ma i cavalloni si mantenevano altissimi, indizio d'un cattivo fondo del mare. E la corvetta, ammalata come era, resisteva poco alle scosse; le grandi ondate potevano riuscirle funeste.
Gacquoil, al timone, era pensoso.
Fare buon viso a cattiva sorte è un'abitudine, per chi comanda in mare.
La Vieuville, che era, nei disastri, un temperamento piuttosto allegro, si avvicinò a Gacquoil.
E allora, pilota, - disse; - l'uragano fa fiasco. La voglia di starnutire gli è rientrata. Ce la caveremo. Avremo vento, ecco tutto.
Serio, Gacquoil rispose:
Chi ha vento, ha onde.
Né ridente né triste: così è il marinaio. La risposta aveva un senso inquietante. Per una nave che imbarca acqua, avere onde significa riempirsi in breve. Gacquoil aveva sottolineato questo pronostico con un vago aggrottar di sopracciglia. Forse, dopo la catastrofe del cannone e del cannoniere, La Vieuville aveva avuto un po' troppo fretta di dir parole gioviali e leggere. Ci sono cose, che, quando si è al largo, portano disgrazia. Il mare è segreto; non si sa mai che cosa abbia. Bisogna stare in guardia.
La Vieuville sentì il bisogno di ridiventare grave.
Dove siamo, pilota? - domandò.
Il pilota rispose:
Siamo dove Dio vuole.
Un pilota è un padrone. Si deve sempre lasciarlo fare, e spesso si deve lasciarlo dire. Quel tipo d'uomini, del resto, non dice un gran che. La Vieuville si allontanò.
Aveva fatto una domanda al pilota; gli rispose l'orizzonte.
Il mare si schiarì di colpo.
Le nebbie che radevano le onde si squarciarono; tutto l'oscuro sconvolgimento delle onde si spiegò a perdita di vista in una mezza luce crepuscolare: ed ecco che cosa si vide.
Il cielo aveva come un coperchio di nubi; ma le nubi non toccavano più il mare; a est compariva un chiarore, che era lo spuntare del giorno; a ovest illividiva un altro chiarore, che era il tramonto della luna.
Quei due chiarori formavano all'orizzonte, uno di fronte all'altro, due sottili strisce di luce pallida tra il mare cupo e il cielo tenebroso.
Su quelle due luminosità si disegnavano, diritte e immobili, nere sagome.
A ponente, contro il cielo rischiarato dalla luna, spiccavano tre alte rocce, ritte come celtici "menhir".
A levante, sul pallido orizzonte del mattino, si drizzavano otto vele disposte in ordine e spaziate fra loro in modo temibile.
Le tre rocce erano uno scoglio; le otto vele erano una squadra.
Avevano a tergo i Minquiers, una roccia di pessima reputazione, e di fronte la squadra francese. A ovest l'abisso, a est la carneficina; erano tra un naufragio e una battaglia.
Per far fronte allo scoglio, la corvetta disponeva di uno scafo forato, di una attrezzatura sgangherata, di un'alberatura scossa alla radice; per fronteggiare la battaglia disponeva di un'artiglieria di cui ventun pezzi su trenta erano smontati, e i migliori cannonieri della quale erano morti.
L'alba trapelava appena appena; avevano ancora davanti un po' di notte. Quella notte poteva anzi durare ancora abbastanza a lungo, essendo prodotta specialmente dalle nubi, che erano alte, dense e profonde, e avevano il solido aspetto di una volta.
Il vento, che aveva finito con lo spazzar via le nebbie più basse, spingeva la corvetta sui Minquiers.
Eccessivamente stanca e malconcia com'era, la nave non obbediva quasi più al timone; rullava più che non navigasse, e, schiaffeggiata dall'onda, non le resisteva affatto.
I Minquiers, tragico scoglio, erano allora ancora più aspri d'oggigiorno. Parecchie torri di quella cittadella dell'abisso sono state spianate dall'incessante sbriciolamento provocato dal mare; la configurazione degli scogli si modifica; non per nulla le onde si chiamano "lame" in francese; ogni marea è un colpo di sega. Toccare i Minquiers, a quel tempo, significava perire.
Quanto alla squadra, era quella di Cancale, divenuta poi celebre sotto il comando di quel capitano Duchesne, che Lequinio chiamava "padre Duchène".
La congiuntura era critica. Senza saperlo, la corvetta, durante lo scatenamento della carronata, aveva dirottato, procedendo piuttosto verso Granville che verso Saint-Malo. Quand'anche le fosse stato possibile navigare e spiegar vele, i Minquiers le sbarravano il ritorno verso Jersey e la squadra le impediva di giungere in Francia.
Niente tempesta, del resto; ma, come aveva detto il pilota, l'onda non mancava. Agitandosi su un fondo irto di scogli sotto un vento impetuoso, il mare era selvaggio.
Il mare non dice mai subito che cosa voglia. C'è di tutto nella voragine, anche un po' di cavillo. Si potrebbe quasi dire che il mare segua una procedura; avanza e indietreggia, propone e si disdice, abbozza una burrasca e vi rinuncia, promette l'abisso e non lo mantiene, minaccia il nord e colpisce il sud. La "Claymore" aveva avuto nebbia e temuto la tormenta tutta la notte; ora il mare si era smentito; ma in modo feroce: aveva abbozzato la tempesta e dato corpo allo scoglio. Era sempre, sotto un'altra forma, il naufragio.
Alla rovina sui frangenti, si aggiungeva poi lo sterminio in combattimento. Un nemico completava l'altro.
Di qui il naufragio, di là la battaglia! - esclamò in una coraggiosa risata La Vieuville; - abbiamo cinquina d'ambo i lati.