12.

SALVATORE.

 

Sei tu, Halmalo?

Io, monsignore. Vedete bene che le pietre girevoli esistono davvero, e che da qui dentro si può uscire. Arrivo in tempo, ma fate in fretta.

Fra dieci minuti sarete in piena foresta.

Dio è grande! - disse il prete.

Andatevene, monsignore! - gridarono tutte le voci.

Andatevene prima voi tutti, - disse il marchese.

Voi per primo, monsignore, - disse l'abate Turmeau.

Io per ultimo.

E il marchese riprese con voce severa:

Nessuna gara di generosità. Non abbiamo tempo di essere magnanimi.

Voi siete feriti. Vi ordino di vivere e di fuggire. Presto! e approfittate di questa uscita. Grazie, Halmalo.

Dovremo dunque separarci, signor marchese? - disse l'abate Turmeau.

Da basso sì, senza dubbio. Non si scappa mai che a uno a uno.

Ci dà un punto di convegno, monsignore?

Sì. Una radura nella foresta. La Pierre Gauvain. Conoscete il posto?

Lo conosciamo tutti.

Ci sarò domani. A mezzogiorno. Tutti quelli che possono camminare si trovino laggiù.

Ci saremo.

E ricominceremo la guerra, - disse il marchese.

Intanto Halmalo, premendo sulla pietra girevole, si era allora accorto che non si muoveva più. L'apertura non si poteva più richiudere.

La pietra, infatti, dopo una lunga dissuetudine, era come anchilosata nella sua cerniera. Impossibile, ormai, imprimerle un movimento qualsiasi.

Monsignore, - riprese Halmalo; -- io speravo di richiudere il passaggio, e che gli azzurri, entrando qua dentro, non trovassero più nessuno, e non ci capissero nulla e vi credessero andati in fumo. Ma la pietra non lo vuole. Il nemico vedrà l'uscita aperta e ci potrà inseguire. Non perdiamo un minuto, almeno. Presto, tutti giù per la scala.

L'"Imânus" posò la mano sulla spalla di Halmalo.

Camerata, quanto tempo ci vuole per uscire da questo passaggio e per essere al sicuro nella foresta?

Non c'è nessuno ferito gravemente? - domandò Halmalo.

Tutti risposero: - Nessuno.

In tal caso, basta un quarto d'ora.

Così, - riprese l'"Imânus", - se il nemico non entrasse qui che tra un quarto d'ora?...

Potrebbe inseguirci, ma non ci raggiungerebbe.

Ma quelli saranno qua dentro fra cinque minuti, - interruppe il marchese. - Quella vecchia cassapanca non li ostacolerà a lungo.

Basteranno pochi colpi col calcio dei fucili per venirne a capo. Un quarto d'ora! chi li fermerà per un quarto d'ora?

Io! - disse l'"Imânus".

Tu, Gouge-le-Bruant?

Io, monsignore. Ascoltate. Siete in cinque feriti su sei. Io, invece, non ho neppure una scalfittura.

Nemmeno io, - disse il marchese.

Voi siete il capo, monsignore. Io sono il soldato. Un conto è il capo e un altro conto è il soldato.

Lo so. Ciascuno di noi ha un suo proprio dovere.

No, monsignore, voi e io abbiamo entrambi lo stesso dovere; quello di salvare voi.

L'"Imânus" si voltò ai suoi compagni.

Camerati, tutto sta nel tenere in iscacco il nemico e nel ritardarne il più possibile l'inseguimento. Ascoltate. Io sono in possesso di tutta la mia forza, non ho perso una goccia di sangue. Siccome non sono ferito, resisterò più a lungo di ogni altro. Andatevene, voi.

Lasciatemi le vostre armi. Ne farò buon uso. Mi assumo di fermare il nemico per una buona mezz'ora. Quante pistole cariche ci sono?

Quattro.

Mettetele lì, per terra.

Fu fatto ciò che egli voleva.

Sta bene. Rimango. Troveranno con chi scambiare quattro chiacchiere.

Presto, adesso, andatevene.

Le situazioni precipitose escludono ogni convenevole. Fu tanto se si scambiarono una stretta di mano.

A fra poco, - gli disse il marchese.

No, monsignore. Spero di no. Non a fra poco giacché morirò.

Tutti si cacciarono, uno dopo l'altro, giù per l'angusta scala, per primi i feriti. Mentre quelli scendevano, il marchese prese la matita del suo taccuino e scrisse alcune parole sulla pietra che non poteva più girare e lasciava aperto il passaggio.

Venite, monsignore, - disse Halmalo. - Non mancate che voi.

E Halmalo cominciò a discendere.

Il marchese lo seguì.

L'"Imânus" rimase solo.

 


Novantatre'
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