Il marchese era infatti ridisceso nel sepolcro.
Fu condotto via.
La cripta segreta del pianterreno della Tourgue fu immediatamente riaperta sotto il severo occhio di Cimourdain. Vi fu messa una lampada, una brocca d'acqua e una pagnotta da soldato; vi fu gettata una balla di paglia, e, meno di un quarto d'ora dopo il minuto in cui la mano del prete aveva afferrato il marchese, la porta della segreta si richiudeva su Lantenac.
Fatto questo, Cimourdain andò a trovare Gauvain; in quel momento alla lontana chiesa di Parigné scoccarono le undici di sera. Cimourdain disse a Gauvain:
Ora convocherò la corte marziale. Tu non ne farai parte. Tu sei un Gauvain, e un Gauvain è Lantenac. Gli sei troppo prossimo parente per essergli giudice, e io biasimo Egalité di aver giudicato il Capeto. La corte marziale sarà composta da tre giudici, un ufficiale, il capitano Guéchamp, un sottufficiale, il sergente Radoub, e io, che presiederò.
Non c'è più nulla che ti riguardi, in tutto questo. Ci conformeremo al decreto della Convenzione; ci limiteremo a constatare l'identità dell'ex marchese di Lantenac. Domani la corte marziale, dopo domani la ghigliottina. La Vandea è morta.
Gauvain non ribatté parola, e Cimourdain, preoccupato di ciò che aveva da fare di più importante, lo lasciò. Doveva fissare un orario e scegliere la località. Aveva, come Lequinio a Granville, come Tallien a Bordeaux, Challier a Lione, e Saint-Just a Strasburgo, l'abitudine, ritenuta di buon esempio, d'assistere di persona alle esecuzioni. Il giudice andava a veder lavorare il boia; usanza che il Terrore del '93 prese a prestito dai parlamenti di Francia e dalla inquisizione di Spagna.
Anche Gauvain era preoccupato.
Soffiava sulla foresta un vento freddo. Gauvain, lasciando che Guéchamp desse gli ordini necessari, si recò nella sua tenda, rizzata nel prato al margine del bosco, ai piedi della Tourgue, e vi prese il mantello a cappuccio, che indossò, avvolgendosene. Quel mantello era orlato dal semplice nastrino, che, secondo la moda repubblicana, sobria di fregi, indicava il comandante in capo. Si mise a passeggiare avanti e indietro in quel prato insanguinato, dove aveva avuto inizio l'assalto. Era solo. L'incendio, cui più nessuno, ormai, faceva caso, continuava. Radoub era accanto ai bimbi e alla madre, quasi materno quanto lei. Il castelletto del ponte terminava di ardere; gli zappatori sorvegliavano il fuoco; si scavavano fosse, si seppellivano i morti, si medicavano i feriti. La ridotta era stata demolita. Camere e scale venivano sgombrate dai cadaveri. Si pulivano i luoghi della carneficina. Si spazzava via l'orribile mucchio d'immondezze della vittoria. I soldati sbrigavano con militare rapidità, quelle che si potrebbero chiamare le faccende di dopo la battaglia. Di tutto questo, Gauvain non vedeva nulla.
Era tanto se, tratto tratto, nel mezzo della sua meditazione, gettava uno sguardo al posto di guardia della breccia, raddoppiato per ordine del Cimourdain.
La scorgeva, quella breccia, dal cantuccio di prato dove si era come rifugiato, a circa duecento passi. Vedeva quella nera apertura.
L'attacco era cominciato di là, e non erano trascorse tre ore. Di là era entrato, lui, Gauvain, nella torre. Era quello il pianterreno dove sorgeva la ridotta; ed era in quel pianterreno che si apriva la porta della segreta dove era il marchese. Quel posto di guardia della breccia sorvegliava quella segreta.
Al tempo stesso che il suo sguardo scorgeva vagamente quella breccia, il suo orecchio udiva confusamente risuonare, come un bicchiere che tintinna, queste parole: "Domani la corte marziale, dopo domani la ghigliottina".
L'incendio, che era stato isolato, e sul quale gli zappatori lanciavano tutta l'acqua che avevano potuto procurarsi, non si spegneva senza riluttanza e gettava fiamme intermittenti. Tratto tratto si udivano scrosciare i soffitti e precipitarsi l'uno sull'altro i piani crollanti. Turbini di faville se ne volavano allora via come da una torcia agitata; una fulminea vampata rendeva visibile l'estremo orizzonte, e l'ombra della Tourgue, subito ingigantita, si allungava fino alla foresta.
Gauvain andava e veniva a lenti passi in quell'ombra e davanti alla breccia dell'assalto. A tratti, incrociava le mani dietro la testa coperta dal cappuccio di guerra. Meditava.