3.

DOVE SI VEDONO RISVEGLIARSI I BIMBI CHE SI SONO VISTI RIADDORMENTARSI.

 

I tre piccini, frattanto, avevano finito per riaprire gli occhi.

L'incendio, che nella sala della biblioteca non era entrato ancora, proiettava sul soffitto un roseo riflesso. Era una specie di aurora, quella, che i bimbi ancora non conoscevano. La guardarono. Giorgina la contemplò.

L'incendio spiegava tutti i suoi splendori. L'idra nera e il dragone scarlatto apparivano nella deformità del fumo superbamente cupo e vermiglio. Lunghe faville saettavano lontano, solcando l'ombra. Si sarebbero dette le comete in lotta, rincorrentisi a vicenda. Il fuoco è una prodigalità. I bracieri sono colmi di scrigni, che spargono al vento. Non per nulla il carbone è identico al diamante. Nel muro del terzo piano s'erano prodotte delle crepe, attraverso le quali la brace versava nel burrone cascate di pietre preziose. I mucchi di paglia e di avena che ardevano nella soffitta cominciavano a scorrere giù per le finestre in cascate di polvere d'oro: i chicchi d'avena diventavano ametiste, i fuscelli di paglia diventavano carbonchi.

Bello! - esclamò Giorgina.

Si erano, tutt'e tre, messi a sedere.

Ah! - gridò la madre. - Si svegliano!

Gian Renato si alzò. Allora si alzò Alano. E allora si alzò Giorgina.

Gian Renato si stirò le braccia, andò verso la finestra, e disse: - Ho caldo.

"Callo", - ripeté Giorgina.

La madre li chiamò:

Figli miei! Renato! Alano! Giorgina!

I bimbi si guardavano attorno. Cercavano di capire. Là dove gli uomini sono atterriti, i bimbi sono curiosi. Chi è facile a stupirsi, difficilmente si spaventa. L'ignoranza ha in sé una certa qual dose d'intrepidezza. Hanno così poco diritto all'inferno, i bambini, che, se lo vedessero, lo ammirerebbero.

La madre ripeté:

Renato! Alano! Giorgina!

Gian Renato volse la testa. Quella voce lo tolse dalla sua distrazione. Hanno la memoria corta, i bimbi, ma il ricordo rapido.

Per loro, tutto il passato è ieri. Gian Renato vide sua madre. Trovò la cosa semplicissima, e, circondato com'era di cose strane, avvertendo un vago bisogno di sostegno, gridò:

Mamma!

Mamma! - disse Alano.

"Mam", - disse Giorgina.

E sporse le minuscole braccia.

E la madre urlò: - Figli miei!

Tutti e tre si accostarono alla finestra. Per fortuna, il braciere non era da quella parte.

Ho troppo caldo, - disse Gian Renato.

E soggiunse:

Scotta.

Poi cercò con gli occhi sua madre.

Ma vieni, dunque, mamma!

"Dunte, mam!" - ripeté Giorgina.

La madre, scapigliata, lacera, sanguinante, si era lasciata rotolare di cespuglio in cespuglio nel burrone. Qui erano Cimourdain e Guéchamp, non meno impotenti, là sotto, che Gauvain in alto. I soldati, esasperati d'essere inutili, formicolavano loro attorno. Il calore era insopportabile; nessuno lo avvertiva. Tutti osservavano lo strapiombo del ponte, l'altezza degli archi, l'elevazione dei piani, l'inaccessibilità delle finestre e la necessità di agire senza indugio. Tre piani da superare, e nessun mezzo per arrivarci. Radoub, ferito, una sciabolata alla spalla, un orecchio strappato, grondante di sudore e di sangue, era accorso. Vide Michelina Fléchard. - Toh! - disse. - La fucilata! Siete dunque resuscitati? - I miei figlioli! - disse la madre. - E' giusto, - rispose Radoub. - Non abbiamo il tempo di occuparci dei resuscitati. - E si mise a scalare il ponte. Inutile tentativo. Cacciò le unghie nel sasso, si arrampicò qualche momento; ma le pietre erano lisce, non c'era una rottura, non un'emergenza; la muraglia era perfettamente levigata come un muro nuovo. Radoub ricadde. L'incendio continuava, spaventoso. Nel riquadro della finestra, ormai tutto arroventato, si scorgevano le tre bionde testoline. Allora Radoub squadrò il pugno al cielo, quasi vi cercasse qualcuno con lo sguardo: - Che bel modo d'agire, questo, buon Dio! - La madre, ginocchioni, abbracciava e baciava le pile del ponte, gridando: - Grazia!

Sordi schianti si aggiungevano al crepitìo del braciere. I vetri degli armadi della biblioteca si spaccavano e cadevano fragorosamente. Era evidente che l'ossatura dell'edificio cedeva; ma non c'era forza umana che potesse farci alcunché. Ancora un momento, e tutto si sarebbe inabissato. Non si attendeva più altro che la catastrofe. Si udivano le vocine ripetere: - Mamma! Mamma! - Tutti erano al parossismo dello spavento.

D'un tratto, alla finestra vicina a quella dove stavano i tre piccini, sullo sfondo purpureo del fiammeggiamento, apparve un'alta figura di uomo.

Tutte le teste si alzarono. Tutti gli occhi si fecero fissi. C'era un uomo, lassù, c'era un uomo nella sala della biblioteca; c'era un uomo nella fornace. Quella sagoma spiccava in nero sulla vampa; ma aveva i capelli canuti. Tutti riconobbero il marchese di Lantenac.

Questi scomparve; poi ricomparve.

Lo spaventevole vecchio si mostrò davanti alla finestra, maneggiando una scala enorme. Era la scala di salvataggio, deposta nella biblioteca, che era andato a cercare lungo l'altra parete, e che aveva trascinata fino alla finestra. L'afferrò per una estremità, e, con la magistrale agilità di un atleta, la fece scivolare fuori della finestra sull'orlo del davanzale, fino a toccare il fondo del burrone.

Radoub, là sotto, smarrito, tese le mani, ricevette la scala, la strinse fra le braccia, e gridò: - Viva la repubblica!

Il marchese rispose: - Viva il re!

E Radoub brontolò: - Puoi ben gridare quello che ti garba, e dire anche sciocchezze, se vuoi: tu sei il buon Dio!

La scala era collocata. Tra la sala incendiata e la terra era stabilita la comunicazione. Venti uomini accorsero, Radoub prima di tutti, e in un batter d'occhio si scagliarono dall'alto in basso, con la schiena agli scalini, come i manovali quando hanno da trasferire in alto o in basso delle pietre. Sulla scala di legno si stabilì in tal modo una scala di uomini. Radoub, in cima alla scala, toccava la finestra, ed era, egli solo, con la faccia rivolta all'incendio.

Il piccolo esercito, sparso nelle brughiere e sui pendii, si accalcava, sconvolto da tutte quelle emozioni, sul pianoro, nel burrone, sulla piattaforma della torre.

Il marchese scomparve, per riapparire subito dopo portando uno dei bimbi.

Ci fu un immenso battere di mani.

Era il primo che il marchese aveva acciuffato a caso: Alano.

Alano gridò: - Ho paura.

Il marchese passò Alano a Radoub, che lo passò, dietro e di sotto a sé a un soldato, che a sua volta lo passò a un altro; e mentre Alano, spaventatissimo e urlante arrivava così di braccia in braccia fino in fondo alla scala, il marchese, scomparso di nuovo un istante, ritornò alla finestra con Gian Renato, che ributtava e piangeva, e che batté Radoub nel momento in cui il marchese lo passava al sergente.

Il marchese rientrò nella sala piena di fiamme. Giorgina era rimasta sola. Andò da lei. Lei sorrise. Quell'uomo di granito avvertì qualche cosa di umido che gli saliva agli occhi. Domandò: - Come ti chiami, tu?

"Orgina!" - disse lei.

La prese in braccio; ella sorrideva sempre, e, nel momento in cui la consegnava a Radoub, quella coscienza così alta e così oscura provò l'abbagliamento dell'innocenza. Il vegliardo diede alla bimba un bacio.

E' la frugolina! - dissero i soldati, e anche Giorgina discese, di braccia in braccia, fino a terra, fra grida di adorazione. Tutti applaudivano, battevano i piedi. I vecchi granatieri singhiozzavano, e lei sorrideva loro.

La madre era ai piedi della scala, anelante, fuori di sé, ebbra di tutto quell'inatteso, gettata senza transizione dall'inferno in paradiso. L'eccesso di gioia fa male al cuore a suo modo. Protese le braccia. Ricevette da prima Alano, poi Gian Renato, poi Giorgina, e li coprì alla rinfusa di baci; poi scoppiò a ridere, e cadde svenuta.

Si alzò un grande grido:

Tutti sono salvi!

Tutti erano salvi infatti, eccezion fatta del vecchio.

Nessuno, però, ci pensava; forse nemmeno lui.

Rimase qualche secondo, sovrappensiero, al davanzale della finestra, quasi volesse lasciare al vortice di fuoco il tempo di prendere una decisione. Poi, senza affrettarsi, lentamente, fieramente, scavalcò il davanzale della finestra, e, senza voltarsi, diritto in piedi, voltando il dorso agli scalini, con l'incendio alle spalle e davanti a sé il precipizio, si mise a discendere la scala in silenzio, con fantomatica maestà. Coloro che erano sulla scala si precipitarono giù, tutti i presenti trasalirono, attorno a quell'uomo che arrivava dall'alto, tutti diedero indietro, come respinti da un sacro orrore, quasi fosse una visione. Egli, intanto, si sprofondava gravemente nell'ombra che aveva innanzi. Mentre gli altri indietreggiavano, egli si accostava loro. Il suo marmoreo pallore non aveva una grinza, il suo sguardo da spettro non aveva un barbaglio; a ogni passo che faceva verso quegli uomini le cui pupille sbigottite si fissavano su di lui nelle tenebre, egli sembrava più grande. La scala vibrava e risuonava sotto il lugubre suo passo: si sarebbe detto la statua del Commendatore che ridiscendesse nel sepolcro.

Quando il marchese fu giù, quando ebbe toccato l'ultimo gradino e posto il piede a terra, una mano gli si abbatté sul bavero. Egli si voltò.

Ti arresto! - disse Cimourdain.

Ti approvo! - disse Lantenac.


Novantatre'
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