26

«Poppy ha mangiato troppo gelato» disse Elsie, chiudendo la chiamata. «Mia madre non ha tempo di parlare prima della cena di prova perché Poppy sta vomitando.»

«Mi dispiace» disse Kate, guardando con cautela la ragazza. «Sei arrabbiata perché tua madre non può passare a fare due chiacchiere? Deve essere difficile avere fratelli e sorelle. Io sono figlia unica.»

«Per quello?» Elsie scoppiò a ridere. «Naa. Sono arrabbiata solo perché mi fa andare comunque a quella cosa della cena, quando invece Poppy e Tom possono stare con papà.»

Kate guardò la ragazza rimettersi a leggere il suo vecchio tascabile consumato, un libro così pieno di solchi che Kate si mise a pensare alla sua storia. Quanti altri l’avevano letto? Chi altro l’aveva tenuto in mano e si era lamentato dei suoi genitori, mentre piegava l’angolo delle pagine o si leccava il dito per passare alla successiva? Il modo in cui Elsie era sprofondata nel libro pochi secondi dopo averlo aperto fece pensare a Kate che avrebbe dovuto ricominciare a leggere per piacere. La gioia sul volto di Elsie, l’attenzione infallibile con cui i suoi occhi si spostavano da una riga all’altra, stimolò qualcosa in lei.

Purtroppo, fu lo stesso stimolo che la fece correre in bagno per chinarsi sul gabinetto ed espellere il contenuto del suo stomaco. «Ma che diavolo?» mormorò, tirando l’acqua per non dover vedere il vomito, che la faceva stare ancora peggio.

Dopo essersi pulita e lavata i denti, Kate tornò in soggiorno. «Non bevete troppo champagne, ragazzi» disse con voce sdolcinata a Elsie. «Ho dei postumi pazzeschi.»

«Forse sei incinta» disse Elsie senza distogliere lo sguardo dalla pagina. «Mia madre vomitava sempre con Poppy. Ogni tanto prendo in giro Poppy perché faceva star male la mamma anche quando era ancora nella pancia.»

«No» disse Kate automaticamente. «Non è possibile.»

Elsie alzò lo sguardo. «Perché sei così sicura?»

«Perché io e il mio ex abbiamo provato tutto il possibile per concepire un bambino» disse Kate. «Prima che ci lasciassimo, ovviamente. In realtà, ci abbiamo provato così a lungo, e così intensamente, che ha rovinato il nostro rapporto. Qualche mese fa abbiamo deciso di prenderci una pausa da tutto questo nella speranza di rimetterci in carreggiata. Infatti, ecco perché…» Kate si interruppe, strinse gli occhi. «Sei abbastanza grande per sentirlo?»

Elsie alzò gli occhi al cielo. «A scuola ne sento di ogni.»

«Ma non hai mai fatto sesso.»

«Certo che no!» esclamò Elsie. «Non ho nemmeno… Voglio dire, l’unica volta che ho visto un preservativo è stato quando…» Arrossì. «Oh, non importa.»

«Ma no, dimmi» la esortò Kate. «Dio sa che non giudico.»

«Voglio dire, ne ho visto uno.» Le guance di Elsie diventavano sempre più rosa. «Ma la prima volta che ne ho toccato uno è stato ieri sera.»

Kate cercò di non mostrarsi sorpresa. «Ah, sì?»

Elsie alzò gli occhi al cielo. «Non è come pensi. Dopo che mia madre è scesa al bar, sono andata in bagno e ho aperto uno di quegli stupidi pacchetti per vedere com’era. Voglio dire, è stata la causa di tutto questo casino; ho pensato che almeno avrei dovuto capire di che cosa si trattava.»

Kate alzò una mano, la tenne davanti alla bocca per non mostrare alcuna reazione. «E quindi?»

«Sì, insomma… sembra un palloncino. E puzza. L’ho riempito con un po’ d’acqua e poi l’ho lanciato a Tom quando mio padre è andato a prendere il ghiaccio.»

Kate aveva le lacrime agli occhi, e non riusciva a capire se il motivo fosse l’ilarità per l’innocenza di Elsie o perché quella era una cosa che Ginger avrebbe potuto fare ai tempi del college: intrufolarsi nella stanza di Kate e Whitney con Emily come complice per tirarsi preservativi pieni d’acqua.

«Okay. Be’,» disse Kate «non ti sei mai dovuta preoccupare di fare un test di gravidanza. Io l’ho fatto e ti assicuro che non sono mai tesa, il risultato lo conosco già.»

«Va beeene» disse Elsie, aggiungendo altre vocali per dimostrare che l’aveva ascoltata ma che adesso avrebbe gradito poter tornare a leggere in pace.

Tuttavia, mentre Elsie sprofondava di nuovo nel suo romanzo, qualcosa scattò in fondo alla mente di Kate. Qualcosa che la fece arrabbiare. Con orrore, si rese conto che Max l’aveva manipolata per mesi. Era stata sua la decisione di prendersi una pausa, suo l’ultimatum che aveva costretto Kate a scegliere tra un fidanzato e un bambino.

L’aveva convinta a sentirsi in colpa per aver voluto continuare a provare, per aver voluto iniziare subito il sesto giro di fecondazione assistita. Perché potevano permetterselo, perché erano due persone (presumibilmente) innamorate, perché avevano i mezzi e la spinta e quel sottile filo di speranza che era l’unica cosa veramente importante.

Kate ora vedeva più chiaramente il desiderio di Max di prendersi una pausa, lo vedeva per quello che era stato veramente fin dall’inizio. Era stato un modo per prendere le distanze dalla relazione. Anche se magari era stato inconscio, tuttavia era un segnale, e lei avrebbe dovuto riconoscerlo. Max si era lasciato alle spalle la loro relazione da un po’ di tempo. Solo che non aveva ritenuto opportuno porvi fine se non mesi dopo, sprecando minuti preziosi della vita di Kate mentre si avviavano insieme verso un vicolo cieco.

Tuttavia, anche durante la loro cosiddetta pausa, Kate non era riuscita a spegnere la mente. Anche quando aveva fatto del suo meglio per collaborare. Aveva cercato di non prestare attenzione al suo ciclo quando ritardava o si faceva irregolare. Aveva cercato di non fare i test di gravidanza che teneva nascosti in ogni cassetto della casa. Ma adesso si era resa conto che aveva ignorato segnali che ormai non riconosceva neanche più come tali. E che forse… forse…

Kate andò in bagno, lasciando un’ignara Elsie a leggere in pace, e prese un test dalla borsa. Lo guardò. Doveva averne fatti a centinaia nell’ultimo anno. Anche due al giorno, tanto per essere sicuri. Questa volta poteva essere diverso? Mentre Kate terminava il test e si lavava, girando il bastoncino a faccia in giù per non vedere i risultati, chiuse gli occhi e respirò profondamente. Poteva essere incinta del figlio di Max?

Kate rifletté attentamente. Aveva avuto la nausea per tutto il giorno. Pensava che fossero i postumi di una sbornia, ma col senno di poi, potevano essere i primi segni di nausea mattutina.

Si appoggiò al piano del lavabo, con un sospiro tremante.

La risposta era sì. Tecnicamente, poteva essere incinta. La finestra dell’ovulazione, insieme alla tempistica dei loro rapporti sessuali nelle ultime settimane, lo rendeva possibile. Ma voleva rimanere incinta? Valeva la pena legarsi a Max fino alla fine dei tempi per il bene di un bambino? Kate prese il test, con il cuore a mille, anche se sapeva già la risposta.

.

Con la mano che tremava, Kate girò il bastoncino e lo appoggiò sul ripiano. Lo fissò, ancora e ancora. Sentì il cuore cadere verso le ginocchia. Poi lo prese, ci rimise il coperchio e gettò tutto nel cestino. Il bastoncino atterrò a faccia in giù.

«Tutto bene lì dentro?» disse Elsie.

«Bene» rispose Kate.

Ma mentre si guardava allo specchio, con gli occhi rossi ed esausti, sapeva che non andava tutto bene. Il test era negativo. E nonostante le complicazioni che una gravidanza avrebbe causato in queste circostanze, il risultato le aveva spezzato il cuore.

Era tutto nella sua testa. Voleva così tanto rimanere incinta da trasformare i postumi di una sbornia in nausea mattutina, quando la realtà era che Kate stava semplicemente invecchiando. Non poteva bere come quando era all’università, né, a quanto pare, poteva far avverare i sogni ingenui del suo passato.

Kate respirò profondamente per ricomporsi. Aveva un matrimonio a cui partecipare, un’adolescente sconvolta nella sua camera da letto e un ex fidanzato da affrontare prima della fine della settimana. Poteva rimandare il suo dolore per qualche altro giorno: l’aveva già fatto prima.

«Sei sicura di stare bene?» chiese Elsie, alzando lo sguardo dal suo libro mentre Kate appariva sulla porta. «Sembri un po’, non so, stanca.»

«Sto bene. Ma dovresti andare a quella cena, signorina.» Kate si ravviò una ciocca di capelli dal viso. «Torni nella tua stanza per cambiarti?»

Elsie guardò in basso i suoi pantaloncini sportivi e la canottiera. «Devo proprio?»

«Ti do qualcosa io.»

«I tuoi vestiti non mi vanno bene» disse Elsie, ma c’era un chiaro luccichio nei suoi occhi quando finalmente staccò quel libro magnetico dalle mani e lo mise sul letto. «I tuoi vestiti sono, boh, per le top model.»

«Sei molto carina, Elsie. Un po’ più bassa e più magra di me, ma niente che qualche spillo non possa risolvere. Ho un abito fluido che ti farà sembrare una regina. Che ne dici? Non ne posso più di pensare alla mia relazione fallita e voglio una distrazione.»

«Pensavo che lo amassi.»

«Sì» disse Kate, ma era anche vero che non voleva più parlare di lui. Era vero, Kate amava Max, ma amava di più l’idea di avere un bambino. Se non avesse voluto così disperatamente una famiglia, avrebbe visto Max per lo stronzo che era già da molto tempo. «Penso che il fatto che lui mi abbia mollato proprio adesso sia stata una benedizione sotto mentite spoglie. Ora posso andare avanti.»

«Be’, non ho dubbi che troverai qualcun altro. Oppure si può adottare un bambino, se si vuole stare da soli. A volte penso che sarebbe più facile.»

«Anch’io» sussurrò Kate prima di rendersi conto di aver detto qualcosa.

«Dovresti pensarci» disse Elsie nel modo sicuro di sé che solo gli adolescenti sanno avere. «So che saresti una mamma fantastica.»

«Lo dici solo per essere gentile.»

«No, dico sul serio.» Elsie sfiorò uno degli abiti, accarezzando i tessuti costosi. Sembrava sorpresa di toccare qualcosa che non venisse da Target. «Ti conosco solo da, boh, un giorno, e già sei una specie di sorella maggiore figa con cui non sono imparentata per davvero. Vorrei che tu fossi mia madre, anche se probabilmente non sei abbastanza grande per esserlo.»

«Non dire sciocchezze.» Kate si schiarì la gola. «Ho la stessa età di tua madre. E ci rimarrebbe male se ti sentisse parlare così. Ti vuole davvero tanto bene, Elsie.»

«Ehm, okay» disse Elsie, a disagio. «Voglio dire, so che mia madre mi vuole bene, e anche mio padre. Ma mio padre non si accorge mai di niente, e mia madre si preoccupa per qualsiasi cosa, e tu mi sembri la giusta via di mezzo. E mi ascolti, e mi parli come se fossi un normale essere umano, non una cretina.»

Kate si schiarì di nuovo la gola, infastidita dal solletico improvviso che le tormentava l’esofago. Si passò una mano sulla fronte e fece qualche respiro profondo nel tentativo di riprendersi. Questa scarica di emozioni non aveva precedenti per lei, e non le piaceva particolarmente.

«Okay, scegliamo un vestito per te.» Kate si concentrò su Elsie per distrarsi. «Sarai la star dello spettacolo.»

«Non dovrebbe essere la sposa?»

«Non se io dico il contrario» disse Kate. «Ho la tonalità perfetta di rossetto per far risaltare i tuoi occhi.»

Quando Kate finì di sistemarle i capelli e il trucco, l’aiutò a infilarsi nel bel vestito francese che Max aveva insistito per farle indossare. Kate si rese conto, all’improvviso, che era perfetto per Elsie.

Il vestito le arrivava giusto ai piedi, e aveva delle sottili spalline che ricadevano morbidamente. La scollatura non mostrava niente di particolare (Kate era solo un po’ preoccupata dalla reazione di Ginger davanti al fatto che Kate aveva vestito Elsie come una bambola). Ma Ginger non poteva certo opporsi alla bellezza di Elsie Adler. Sembrava la reginetta del ballo. Ma più adulta, più matura in qualche modo.

E quando Kate vide Elsie guardarsi allo specchio e sorridere, fu l’unica conferma di cui aveva bisogno per sapere che aveva fatto una buona azione. Le fece quasi dimenticare il test di gravidanza nel cestino della spazzatura. Quasi.

«Stai benissimo con i capelli scostati dal viso» disse Kate. «Hai dei lineamenti così belli. Dovresti metterli in mostra più spesso!»

«Non mi interessa ancora uscire con qualcuno, davvero.» Elsie arricciò il naso. «Pensi che io sia strana?»

«No, penso che tu sia fantastica! Non lasciarti distrarre dai ragazzi ora. Avrai un sacco di tempo durante e dopo il college.» Kate si avvicinò e le sistemò una forcina prima di chinarsi per sussurrarle all’orecchio: «Ti dico un segreto. Le donne non si vestono per gli uomini. Almeno, non il tipo di donna che io voglio essere. Ci vestiamo per noi stesse».

Elsie annuì a bocca aperta, come se Kate si fosse trasformata in Yoda. «Mi sa che hai ragione.»

«Vestiti in un modo che ti fa sentire bene, sicura e forte» disse Kate. «E sarà la tua versione più bella. Te lo garantisco. Che si tratti di un abito da lavoro, un vestito da sera o un reggiseno sportivo.»

«E se non sapessi ancora chi sono?»

Kate le strinse la spalla. «Direi che è perfettamente normale, e va più che bene.»

«Tu come hai capito cosa vuoi?»

Kate rifletté, ripensando alle sue ricerche notturne su internet e alla sua relazione sbagliata con Max. «Non sono ancora sicura di saperlo.» Si costrinse a sorridere nello specchio, giocando svogliatamente con i capelli di Elsie. «Ma ci sto lavorando.»

«Mi farai sapere quando lo capirai?»

«Ma certo.» Kate guardò l’orologio, le sue dita ancora intrecciate nei nuovi riccioli di Elsie. «Merda! Qui stiamo chiacchierando e siamo già in ritardo per la cena. Dài, dobbiamo andare, o tua madre si incazzerà con me.»

«Dici un sacco di parolacce, per essere una che vuole fare la mamma» disse Elsie. «Mia madre le dice solo quando pensa che non la sentiamo o quando guida.»

Per essere una che vuole fare la mamma. Kate rimase immobile sulla porta, scossa dalla frase di Elsie. Cominciava a chiedersi perché diavolo tutto quello che la ragazza diceva la colpisse in modo così strano quel pomeriggio, quando il suo telefono tintinnò e le offrì gentilmente un’altra facile distrazione per evitare di pensare a tutto ciò.

«Perfetto. Era tua madre che diceva che è in ritardo e che ci raggiungerà lì: se ci sbrighiamo, possiamo ancora fare prima di lei. Pensi che si arrabbierà per il tuo vestito?»

«Chi se ne frega?» disse Elsie. «Sto da dio.»

Kate dette un cenno di approvazione, poi le mise una mano sulla schiena mentre uscivano dalla stanza e chiudevano la porta. Presero l’ascensore fino all’atrio dove un robusto vigilante di nome Ralph stava seduto con le braccia incrociate sul petto, imbronciato, di fronte a un arco di rose bianche.

«Nome?» grugnì, ovviamente già stufo marcio.

«Elsie Adler» disse la ragazza lanciando a Kate uno sguardo complice. «E, ah, Ginger Adler.»

Ralph indicò il salone. «Divertitevi» disse con tutto l’entusiasmo di un pesce morto.

«Perché mi hai presentato così?» chiese Kate, con un’occhiata di traverso mentre entravano nella sala. «Guarda che io ci sono, sulla lista degli invitati: Whitney era mia amica. Anche se, a dire il vero, avevo intenzione di saltare la cena di stasera. Non sono nemmeno vestita in maniera adeguata.»

«Sei sempre perfetta per una cena di lusso. E poi una volta qui lo sapevo che avresti voluto entrare e temevo che Max avesse tolto il tuo nome dalla lista degli invitati, visto che avete rotto» disse Elsie. «So che sei amica della sposa, ma so anche che gli uomini possono essere stronzi.»

«La tua povera madre» mormorava Kate, ma non era davvero preoccupata. Ginger sarebbe riuscita a entrare, in un modo o nell’altro. Non sarebbe certo stato uno come Ralph a fermarla. E poi secondo lei Miranda Rosales non era tipo da permettere modifiche dell’ultim’ora alla lista degli invitati: forse Max aveva corrotto Ralph per far togliere il suo nome ma dubitava che fosse riuscito a convincere Miranda a escluderla. Se Ginger fosse stata in difficoltà a entrare avrebbero senz’altro potuto chiarire la situazione senza troppi drammi.

«Meno male» disse Elsie. «Siamo arrivate prima di mia madre. Ehi, ci sono Sydney e Lydia sul terrazzo… Vado a salutarle, se non ti dispiace.»

«Va bene, resterò nei paraggi finché non arriverà tua madre.»

«Penso che dovresti cercare Max» disse Elsie. «Forse ti servirebbe a stare più tranquilla.»

Kate si fermò a guardare la ragazza. Solo che, si rese conto, ragazza era la parola sbagliata. Elsie se ne stava tranquilla in silenzio. Guardava gli sposi dall’ingresso, non come una bambina maldestra, ma come un’elegante signorina. Mento su, spalle dritte. Per di più, Elsie Adler aveva fatto un’osservazione incredibilmente intelligente su lei e Max.

Mentre Kate superava un’altra maestosa composizione floreale, ripensò al consiglio della ragazza. Forse aveva davvero bisogno di chiudere le cose per sempre.

Dopotutto, era ridicolo quello che Max le aveva fatto passare. Solo ieri Kate voleva disperatamente concepire un figlio con quell’uomo. Un uomo che l’aveva scaricata a un matrimonio di famiglia senza avere la cortesia di discutere del loro futuro, o della mancanza di futuro, in privato. Peggio ancora, Max non si era preoccupato di chiederle se stava bene nemmeno una misera volta nelle ventiquattro ore successive.

Sì, pensava Kate. Un’ultima conversazione con Max era quello che ci voleva.

Gli antipasti avevano già iniziato a circolare nel salone. I camerieri in abiti eleganti portavano tra gli ospiti vassoi di cocktail personalizzati, guarniti singolarmente con uno spiedino di frutta esotica o un rametto verde. Su un tavolo da dessert c’erano minuscoli dolcetti adornati di fiori commestibili e glassa di zucchero scintillante, e la meravigliosa torta a tre strati accanto era sicuramente una mera anticipazione di quella reale del giorno dopo.

Kate avrebbe potuto sentirsi a disagio in mezzo a una simile ostentazione di amore, se non fosse stata così distratta dai suoi stessi pensieri. Odiava l’amara delusione che un altro piccolo bastoncino bianco e rosa le aveva procurato, e il fatto che avesse ancora il potere di prosciugare la sua anima così completamente, anche dopo anni di tentativi. Ma contemporaneamente si sentiva galvanizzata da nuovi sogni di adozione e maternità surrogata. Erano le prime speranze in qualcosa di reale che Kate nutriva da molto, molto tempo.

Kate si aggrappò a quelle speranze e in quel momento vide Max al bar, con il braccio intorno a una splendida bionda con un sedere enorme. La donna indossava un abito bianco di pizzo che secondo Kate era un po’ fuori luogo visto che anche la sposa aveva un abito di pizzo bianco. In qualche modo, sospettava Kate, questa donna si adattava a Max meglio di quanto avesse mai fatto lei.

Ma questo non mitigò il suo fastidio all’idea di essere stata scartata come un paio di calzini vecchi. Attraversò la sala e abbozzò un sorriso, appoggiandosi al bancone accanto a lui. Il barista si avvicinò, ma Kate si prese l’allegro piacere di allontanarlo con un pimpante: «Oh, non ho intenzione di restare».

Si schiarì la voce, ma Max non si mosse. Era troppo impegnato a invitare la sua nuova ragazza a Cancun per un lungo weekend. Aveva sempre detto che ci avrebbe portato Kate, a Cancun. Non ci erano mai andati. Ascoltò pigramente per qualche minuto, e quando si stancò della conversazione, tamburellò impazientemente le dita sul bancone.

Max sentì e si voltò, e il fastidio sulla sua faccia durò solo finché non si rese conto che era stata lei. «K-Kate?» balbettò. «Cosa ci fai qui?»

«Cercavo te.»

«Ma…» Max guardò nervosamente verso la porta d’ingresso. «C’è… Ehm, una lista degli ospiti, e…»

«Se pensavi che convincere il povero vecchio Ralph a far togliere il mio nome dalla lista mi avrebbe impedito di partecipare ai festeggiamenti, allora suppongo che tu non mi conosca molto bene» disse Kate, ringraziando in silenzio l’intuizione di Elsie. «Non vorrai mica che coinvolga Whitney e Miranda per chiarire le cose, vero?»

Max impallidì.

«Non preoccuparti, non ci vorrà molto. Sicuramente la tua ragazza può aspettare qualche minuto.»

«Lei non è… Kate, non capisci. Ci siamo appena conosciuti» disse Max. «Stavamo solo parlando.»

«Penso che io e te dovremmo farci due chiacchiere.»

«Tesoro» disse Max, e sia Kate sia Blondie guardarono verso di lui, come se non avessero capito a chi era rivolto il vezzeggiativo. Fu un momento molto imbarazzante per Max.

«Ehm, Angela» disse Max più chiaramente. «Puoi scusarmi un secondo?»

Angela fece un sospiro, annuì e si allontanò verso un tavolo, con il bicchiere in mano. Kate le dette tutto il tempo di andarsene, osservandola con calma mentre trovava un uomo nuovo, un signore anziano seduto da solo, e si accomodava accanto a lui con una posa civettuola.

«Hai fatto un numero da circo sulla mia carta di credito» disse Max. «Cos’altro vuoi da me?»

«Odio davvero interrompere il tuo appuntamento, ma volevo ringraziarti.»

Max inarcò le sopracciglia. «Per cosa?»

«Per aver rotto con me.»

«Ma…» Max strinse gli occhi, sbalordito. Poi si massaggiò la fronte. «Sei sicura di sentirti bene?»

«Mi sento benissimo» disse Kate, rendendosi conto che, in effetti, era vero. Era malconcia e livida, certo, ma le sarebbe passata. Lei sperava di nuovo. Elsie l’aveva aiutata a capirlo. «Dopo che avrò fatto il check-out, lascerò in pace la tua carta di credito.»

«Quindi…» Max batté le palpebre sugli occhi un po’ arrossati. Kate sospettava che anche lui avesse i postumi di una sbornia. Probabilmente per essere stato sveglio tutta la notte con Blondie. «Perché sei venuta qui stasera?»

«Voglio la risposta a una domanda» disse Kate. «O meglio, due. Mi hai mai amato? Hai mai desiderato veramente di avere un figlio con me?»

«Kate…» Max sospirò. «Non importava quanto lo volessi io, perché tu non puoi averne. Non succederà. Mi dispiace.»

Kate ebbe l’impressione che lui le avesse infilato un pugnale nella gabbia toracica, pericolosamente vicino al cuore. Rimase per un attimo senza fiato, e il respiro tornò in un sibilo letale. Poi scosse la testa. «Pensare che lo volevo così tanto, mentre tu non lo volevi affatto.»

Max annuì, condiscendente. «Tu lo volevi abbastanza per entrambi. Io ero… Lì. Un donatore di sperma, se vuoi.»

In un impeto di rabbia sfrenata, Kate alzò la mano e gli tirò uno schiaffo netto sulla guancia. «Avresti dovuto scaricarmi molto prima, se la pensavi così. Ti amavo!»

Max si massaggiò la guancia, mosse la mascella come se lei gli avesse fatto davvero male. (Non poteva essere, lo schiaffo era stato solo scena.) Lui scosse la testa, come per appianare tutto.

«Te l’ho già detto… tu stai male, Kate. Nemmeno i medici hanno capito cosa c’è che non va in te. Non basterebbero tutti i soldi del mondo a risolvere il tuo problema, e lo sappiamo entrambi. È ora di andare avanti.»

Kate voleva spaccargli la testa contro il bancone, ma era troppo scioccata. Era venuta a quella cena per scoprire come era possibile che un uomo che aveva amato così disperatamente fino a pochi giorni prima si fosse allontanato da lei così facilmente. E in quel modo, era riuscita a dimenticare completamente il potere che Max aveva su di lei.

No, pensò Kate con rabbia. Adesso basta.

Fu un misto lacrimoso di rabbia contro Max e dolore per la sua incapacità di avere figli che le dette la forza di volontà di attraversare il salone dell’amore verso l’uscita. Sulla strada dette un pugno a un palloncino a forma di cuore, anche se quello si vendicò rimbalzando e costringendola ad abbassare la testa.

Nello stesso momento, Ginger irruppe nell’ingresso, quasi correndo verso il patio esterno. Quando Kate guardò fuori, vide Lulu, sorpresa, che teneva la porta aperta per far passare Ginger, furiosa.

Ecco, pensò Kate. Aveva bisogno di aria. Aria fresca. E di una distrazione.

Kate seguì Ginger. Lulu richiuse la porta dietro di lei, e stava per salutarla quando fu interrotta da un urlo.

Un urlo da far tremare la terra, da spaccare i timpani.

***

DETECTIVE RAMONE: Signora Cross, ho qui una fattura che dice che un’ora di assistenza all’infanzia è stata addebitata oggi sul conto della sua stanza. Lei ha dei bambini?

KATE CROSS: No, non ne ho. Grazie per averlo sottolineato, visto che la mia incapacità di avere figli è stata proprio la ragione per cui il mio compagno mi ha scaricata questo fine settimana. Dovrebbe saperlo, visto che sono certa che l’abbia già chiesto a tutti.

DETECTIVE RAMONE: Mi scuso. Quindi, mi dice che la fattura è stata un errore?

KATE CROSS: No, non è un errore.

DETECTIVE RAMONE: Che rapporti ha con Sydney Banks? E perché ha pagato lei per l’asilo, visto che la signorina Banks era ospite dello stesso resort? Avrebbe potuto facilmente addebitarlo sul conto della sua stanza.

KATE CROSS: È stato un regalo.

DETECTIVE RAMONE: Un regalo?

KATE CROSS: C’è qualche problema?

DETECTIVE RAMONE: Non esattamente, avvocato Cross. Ma mi chiedo se mi ha detto la verità sulla sua relazione con Sydney Banks. Ha visto sua figlia, Lydia, durante la cena di prova?

KATE CROSS: Detective, non può accusarmi di non aver collaborato. Ho confessato. Per favore, lasciamo la bambina fuori da questa storia.