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DETECTIVE RAMONE: Vuole dirmi l’ora e la data del suo arrivo al Serenity Spa & Resort, e anche il suo nome completo, per il verbale?

EMILY BROWN: Emily Brown. Sono arrivata il 16 agosto alle 16.00.

DETECTIVE RAMONE: È andata direttamente nella sua stanza?

EMILY BROWN: No, ma sospetto che lei lo sappia già.

DETECTIVE RAMONE: Ho un testimone oculare che sostiene che lei ha raggiunto un cliente dell’albergo, un uomo, nella sua stanza.

EMILY BROWN: Sì, Henry. L’ho conosciuto sull’aereo.

DETECTIVE RAMONE: Sul volo che ha preso il 16 agosto?

EMILY BROWN: Sì.

DETECTIVE RAMONE: Per il verbale, descriva la natura del suo rapporto con Henry.

EMILY BROWN: Cosa c’entra questo?

DETECTIVE RAMONE: Sono sicuro che lei sappia che questa è un’indagine su un omicidio, signora Brown.

EMILY BROWN: Potrei chiamare un avvocato.

DETECTIVE RAMONE: Certo, potrebbe.

EMILY BROWN: Ma non ce n’è bisogno. Ho sparato io con quella pistola, detective. Ho ucciso un uomo stanotte.

***

«Li prendo tutti e due, grazie.» Emily Brown fece un cenno allo steward che portava due bicchieri di champagne e si costrinse a sorridere. «Odio davvero volare.»

«Non c’è problema» disse lui, mettendo entrambi i bicchieri sul vassoio di Emily prima di accennare un inchino e andare a prendere altre bevande per i passeggeri di prima classe.

Questa poi, pensò Emily. Lei non era neanche lontanamente una passeggera di prima classe, né aveva paura di volare. Ma visto che la compagnia aerea l’aveva passata di classe all’ultimo momento, cosa avrebbe dovuto fare, rifiutare un drink gratuito?

Emily si accomodò meglio sul sedile, chiudendo gli occhi nel tentativo di rilassarsi. Non ci riuscì, perché uno zaino di passaggio la colpì sulla testa. Emily riaprì gli occhi e vide una donna molto stressata con due bambini piccoli al seguito, che si chinò su di lei e si scusò. Scuse che si persero quando uno dei bambini tirò una gomitata alla coscia di Emily durante un’accesa discussione con il fratello.

«Oddio, mi perdoni» disse ancora la donna. «La stiamo massacrando. Ragazzi, cosa ho detto sul comportamento? Niente biscotti se non vi scusate subito.»

«Scusi» cinguettarono i bambini all’unisono.

«Non si preoccupi» disse Emily. «Capisco. Una volta facevo l’insegnante.»

La donna le regalò un sorriso grato e riprese a seguire la fila, abbaiando ai suoi figli di tenere il passo.

Emily era stata educatrice di scuola materna abbastanza a lungo da capire quanto fosse difficile far fare ai bambini piccoli qualsiasi cosa in modo ordinato, figuriamoci comportarsi bene in un volo di ore. Ma la sua pazienza per quel tipo di lavoro era esaurita da tempo.

La sua carriera di educatrice era stata di breve durata dopo il college e gli ultimi dieci anni li aveva trascorsi nel mondo aziendale. Alla fine si era sistemata nella comoda posizione di project manager in una società di marketing. Era molto più al sicuro, lì.

Sull’onda dei ricordi, Emily bevve il primo sorso di champagne e dette un’occhiata al posto vuoto accanto a lei. Con una breve risata, scosse la testa e poi chiuse di nuovo gli occhi. L’unico motivo per cui l’avevano promossa in prima classe era probabilmente perché era una single senza figli. A trentotto anni, il suo orologio biologico si stava scaricando.

Emily finì il secondo bicchiere di champagne e mise i due vuoti uno dentro l’altro. In quel momento un’ombra apparve dietro la sua spalla. Emily alzò lo sguardo e vide che il suo nuovo vicino di posto era davvero un bell’uomo.

Ma quando lo guardò meglio, a colpirla fu la sua espressione stanca. Lo stesso tipo di stanchezza che ti si insinuava nelle ossa che spesso provava anche lei. Continuò l’esame e aggiunse una serie di osservazioni: bello, vissuto, un po’ ruvido. Un accenno di temerarietà. Doveva averne passate molte… ma a Emily non importava. Voleva solo essere lasciata sola con il suo champagne.

Quell’uomo aveva rovinato tutto. Per poco non aveva avuto la fila tutta per sé. Un’ondata di frustrazione illogica le ribollì nel petto; si appoggiò allo schienale e lo ignorò. Oltretutto, lui non aveva detto niente; aspettava, come se lei dovesse leggergli la mente. Si schiarì la gola e si avvicinò di più.

Emily non gli concesse nemmeno un’occhiata. Era stanca, sì, ma questo non giustificava del tutto la sua maleducazione.Una vita fa, si sarebbe scusata e si sarebbe fatta rapidamente da parte per farlo passare, tra mille chiacchiere e convenevoli. Questo prima dell’incidente. Ora, Emily era il guscio inacidito di se stessa, e più se ne rendeva conto, più sprofondava nel ruolo come in una comoda, vecchia felpa.

«Signora, credo che quello sia il mio posto.» La voce dell’uomo era profonda e ruvida, come una strada di ghiaia del deserto che scricchiolava contro le gomme.

«Ah.» Emily spostò le gambe appena più vicino al sedile. «Ci passa?»

Lui mise un piccolo zaino nel bagagliaio e poi la scavalcò senza tanti complimenti. Apparentemente entrambi erano di cattivo umore, ma non era nulla che Emily non potesse gestire. Se lui avesse saputo anche solo metà di quello che Emily aveva passato, ci avrebbe pensato due volte prima di mettersi contro di lei.

Mentre si regolava e allacciava la cintura, Emily non poté fare a meno di dargli un’occhiata. Non aveva con sé nessun “oggetto personale” da mettere sotto il sedile, una scelta che lasciava sempre Emily molto perplessa. Cosa aveva in mente di fare durante il volo? Guardare fuori dal finestrino? Pulirsi le unghie? Dormire? Non avrà mica avuto intenzione di parlare con lei, vero?

«Signore, posso portarle qualcosa da bere?» Lo steward riapparve, ignorando educatamente i due bicchieri vuoti di Emily. «Abbiamo acqua minerale, champagne, bevande gassate, liquori, vino…»

Gli occhi dell’uomo si posarono per un istante sui bicchieri di Emily, poi sulle sue mani strette sui braccioli, infine di nuovo sullo steward. «Un whisky per me, due champagne per la signora.»

Lo steward rispose con uno sguardo vuoto. Chiaramente non credeva che fosse una buona idea servire a Emily quattro bicchieri di champagne prima che le ruote si alzassero per il decollo, ma quell’uomo emanava carisma e serietà, ti dava l’idea che non fosse saggio prenderlo in giro, così lo steward annuì. «Molto bene, signore.»

Più Emily studiava l’uomo che le stava accanto, più si incuriosiva, anche se a malincuore. Il salvatore del suo champagne assomigliava a un cowboy, con i jeans consumati e un semplice maglione nero morbido come il burro. L’alcol già volteggiava pigramente nel cervello di Emily, e lei si chiedeva come sarebbe stato appoggiare la guancia sulla sua spalla e chiudere gli occhi. E se la sua mano si sarebbe alzata per sfiorarle la pelle, mentre lei si lasciava andare a un pisolino.

Emily prese con gratitudine il bicchiere e lo sollevò, facendo tintinnare leggermente la plastica a buon mercato con quella del suo bicchiere. «Salute. Come ti chiami?»

«Henry» disse lui. «E tu?»

«Emily.»

«Emily senza cognome?»

«Henry senza cognome?»

Henry alzò il bicchiere di whisky e lo vuotò d’un fiato.

Emily lo guardava con interesse. «Allora, sei di Chicago, Henry Anonimo?»

Lui guardò fuori dal finestrino inondato di pioggia. Uomini e donne con giubbotti catarifrangenti si aggiravano sulla pista, spingendo carrelli e dirigendo il traffico sotto le nuvole grigie addensate sopra O’Hare. «No. Sono solo di passaggio.»

«Io mi sono trasferita qui qualche anno fa dal Minnesota dopo il college» disse Emily. «Questo è il motivo per cui vado in California: non ho niente di meglio da fare, e una mia vecchia compagna di stanza si sposa. Io li odio, i matrimoni.»

Henry fece schioccare la lingua. «È per questo che sei ancora single?»

Emily vide che Henry fissava il suo anulare. Alzò la mano, agitando le dita per facilitargli il compito.

Inarcò un sopracciglio e guardò di nuovo fuori dal finestrino, ed Emily si ritrovò a sbirciare la mano di Henry e il suo anulare altrettanto privo di anelli.

«Un’altra domanda» disse mentre prendeva la borsa da sotto il sedile e tirava fuori le cuffie, un pennarello e un piccolo album fotografico. «Cosa intendi fare per tutto il volo?»

Lui guardò gli oggetti che Emily aveva tirato fuori. «Niente di artistico.»

«Non capisco mai perché la gente non si porta dietro un libro o un tablet sull’aereo» disse. «Non vi annoiate a guardare fuori dal finestrino?»

«Mi siedo inevitabilmente accanto a donne che vogliono parlare per tutto il volo.»

«Se avessi portato le cuffie,» gli fece notare Emily «avresti potuto collegarle e far finta di non sentire quelle donne fastidiose.»

Henry fece un mezzo sorriso per la prima volta, e tirò fuori dalla tasca degli auricolari. Senza dire una parola di più, se li mise nelle orecchie e appoggiò la testa contro il sedile, fissando il finestrino. L’altra estremità del cordone penzolava inutilmente tra le ginocchia.

«Complimenti.» Emily scosse la testa e guardò da un’altra parte. «Hai fatto proprio un gran sforzo.»

Lui fece una risata morbida, e in Emily qualcosa cambiò. Quella risata riscaldava il suo cuore annerito, ammorbidiva il sapore amaro in bocca, come un tè troppo forte, e aggiungeva un pizzico di miele per renderlo bevibile. Lei, Emily Brown, aveva fatto ridere questo gentiluomo scontroso e di bell’aspetto. Uno sconosciuto.

Mentre finiva lo champagne, Emily studiò più apertamente l’uomo accanto a lei, notando i solchi sul suo viso simili a cicatrici di battaglia, le rughe d’espressione che sembravano essersi ammorbidite nel corso degli anni, come se Henry non avesse avuto motivo di sorridere da un bel po’ di tempo. Poteva capirlo. E se il fine settimana fosse andato male come si aspettava, non avrebbe sorriso nemmeno lei tanto presto.

Allora perché aveva chiamato Whitney e all’ultimo momento aveva deciso di andare al suo matrimonio?

Non aveva ancora una risposta. Sicuramente un po’ per curiosità. Al college, circa quindici anni prima, Emily, Whitney, Kate e Ginger erano state grandi amiche. Poi Emily aveva fatto una scelta che aveva spinto ognuna di loro verso strade incredibilmente diverse.

Il pensiero le causò un brivido lungo la schiena. Sperò che Henry non l’avesse notato. Si concentrò sull’album fotografico, pagine di tempi più felici. Cercava didascalie per le foto, mentre gli assistenti di volo sistemavano i passeggeri per il decollo. Tuttavia, passava più tempo a masticare la penna e a sognare a occhi aperti che a scrivere frasi belle e sentite, anche dopo che le quattro ore di volo erano già iniziate da un po’.

A un certo punto Emily sentì che la testa le ciondolava in avanti. La sua mano scivolò dall’album e lo chiuse. Si sentiva addosso lo sguardo curioso di Henry. Si voltò dall’altra parte, chiuse gli occhi e prima di rendersene conto si ritrovò a metà strada verso la California.

Emily si scosse e aprì il tavolino davanti a sé per posare l’album fotografico, ancora disorientata da quel sonnellino inaspettato. Si passò la mano sugli occhi e sbatté qualche volta le palpebre fino a quando il suo cervello non tornò perfettamente sveglio, ostacolato solo dai lievi effetti persistenti dello champagne.

Emily riprese a studiare le immagini. Le foto nell’album erano quelle piccole e quadrate fatte da macchine fotografiche usa e getta, molto prima che telefoni o fotocamere digitali rendessero la perfezione più accessibile.

Emily sorrise a una particolare foto in cui loro quattro erano abbarbicate l’una all’altra sotto un minuscolo alberello di Natale che avevano decorato con tutte le cianfrusaglie racimolate nel loro piccolo appartamento da studentesse.

Emily ricordava le risate di Ginger mentre faceva fiocchi di neve di carta con il programma di un esame di storia che non aveva passato, grazie a un certo professore che gliela aveva giurata. Avevano bevuto zabaione molto corretto e cantato le carole a squarciagola, fino a quando il supervisore del piano non aveva bussato alla porta con una segnalazione per schiamazzi in mano. Ginger aveva fatto un fiocco di neve anche con quella.

I pensieri di Emily si interruppero quando Henry disse: «Quanti anni avevi lì?».

Lei ci pensò su. «Oh, non so. Venti o poco più? Questo doveva essere il terzo anno di college.»

Emily sapeva per certo che era il terzo anno perché aveva riconosciuto il regalo per Ginger sotto l’albero.

Era una sciocchezza, due pigiami natalizi abbinati per lei e Ginger. Avevano condiviso tutto. La casa, un’amicizia, una vita… Finché Emily non aveva condiviso una cosa di troppo e aveva rovinato per sempre il loro rapporto.

«Sei ancora in contatto con tutte?» chiese Henry. «Sembra impegnativo.»

«No, in realtà» disse lei. «Sì, ci facciamo gli auguri a Natale, forse. Ma Kate, questa qui, vive a New York. Whitney in California. Ginger sta in Minnesota, e io a Chicago, e quindi non ci vediamo più.»

«Perché ci vai, allora? Odi i matrimoni, vi parlate a stento… sembrerebbe una cosa a cui avresti potuto rinunciare, no?»

«Forse avrei dovuto.» Emily scrollò le spalle. «Ma avevo una settimana di ferie da smaltire, e dicono che il centro benessere e il resort siano molto belli. Probabilmente le vedrò a malapena.»

O forse era una bugia. Forse Emily desiderava più di ogni altra cosa essere una voyeur. Sbirciare nella vita della sua ex migliore amica e guardare con stupore il suo matrimonio felice. Guardarla mentre lodava i suoi tre impeccabili e angelici figli. Vedere di persona i doni che Ginger aveva ricevuto, e poter essere certa, assolutamente certa che Ginger apprezzasse ciò che aveva (Emily sapeva qualcosa di lei grazie a Facebook: sbirciando sul suo profilo aveva potuto dare un’occhiata a una famiglia che sembrava frizzante e piena di vita).

Dio solo sapeva quanto Emily avesse sofferto. E Dio solo sapeva quanto Emily ammirasse, invidiasse, desiderasse ciò che aveva Ginger. Se non fosse stato per una terribile decisione presa all’università, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse Emily sarebbe stata seduta in economy con tre bambini che si arrampicavano sulle sue ginocchia, a lanciare occhiate amorevoli e complici a un marito amorevole e complice. Invece, si struggeva sulle foto del passato, provando nostalgia per tempi più facili.

«Be’, per me non ha senso, ma forse è diverso per una donna.» Henry si appoggiò allo schienale, chiuse gli occhi. «Sei adulta. È chiaro che a queste persone non tieni più, quindi perché torturarti?»

Le dita di Emily tremavano, e lei tappò il pennarello in modo che nessuna macchia casuale rovinasse quelle foto insostituibili. Non c’erano copie di backup. «Cosa ti fa pensare che non tenga a loro?»

Henry aprì gli occhi per guardare il suo orologio. «Non mi sembra che quelle didascalie ti stiano riuscendo bene. Se fossero ancora tue amiche, non ci metteresti così tanto a scrivere le tue frasi d’amore.»

«È un regalo di nozze» spiegò Emily. «Sto cercando di abbellirlo per la sposa.»

Tuttavia, mentre guardava di nuovo l’album, si stupì nel constatare che Henry Anonimo aveva ragione. Aveva scritto solo una manciata di didascalie su un album di trenta pagine nell’arco di poche ore.

«Finirò al resort» disse. «Non ho fretta.»

Tuttavia, la verità era che Emily era stata così smarrita nei suoi ricordi del passato che il suono della voce di Henry l’aveva riportata bruscamente alla realtà. Si pizzicò la fronte, sentendo arrivare l’inizio di un mal di testa da champagne; pensò a come sarebbe stato possibile ottenere un altro bicchiere per evitare di finire già in fase da doposbornia.

Si chinò sul bracciolo, guardando verso l’alto in cerca dello steward. Quando si accorse che Henry la stava osservando, fece un sorriso ironico. «Con chi devo andare a letto per avere un bicchiere di champagne?»

«Non te ne darà più» disse Henry, restituendole il sorriso. «Credo che quello steward abbia un po’ paura di te.»

«Curioso» disse. «Non mi sembra di essere così spaventosa. Vorrei solo che mi riempisse il bicchiere, o questo mal di testa peggiorerà tra pochi minuti.»

«Che ne dici se ti offro da bere quando atterriamo?»

«Temo di dover andare subito al resort per il check-in.»

«Quante possibilità ci sono che anche tu soggiorni al Serenity Spa & Resort?»

Emily soffocò un’esclamazione di sorpresa. «Hai per caso visto la prenotazione sul mio telefono?»

«Hai scritto la data e il luogo del matrimonio sulla copertina del tuo album.» Henry guardò in basso. «Non è stato difficile indovinare che anche tu sei qui come me per il matrimonio DeBleu/Banks. Difficile immaginare un altro matrimonio con festeggiamenti così lunghi nello stesso luogo e nello stesso periodo.»

«Esatto» disse Emily, un po’ spiazzata e molto incerta sul fatto di condividere anche il soggiorno in un hotel con quel misterioso, bellissimo sconosciuto. «Sono ovviamente amica della sposa, come hai visto dalle foto. Tu?»

«Cugino dello sposo.» Henry scrollò educatamente le spalle. «Non ci frequentiamo, ma siamo parenti.»

«Allora potresti offrirmi da bere al resort» farfugliò Emily, con una punta di timidezza. «Se l’offerta è ancora valida.»

«Non vorrei essere interrotto da un gruppo di familiari che non vedo da anni» disse, con un sorriso un po’ sbilenco. «Dicono che la mia stanza ha una bella vista e una bottiglia omaggio di champagne in attesa del mio arrivo. Sei la benvenuta.»

«Oh.»

«Come te, non ho voglia di chiacchierare e di socializzare. Ho un lavoro da consegnare la prossima settimana, quindi starò rintanato nella mia stanza per la maggior parte del weekend a combattere contro una scadenza, il che mi va bene.»

«Ah» disse Emily, provando un brivido all’idea di raggiungerlo nella sua camera. «Capisco. Che cosa fai?»

«Ho un caso importante» disse lui. «Ma se vuoi unirti a me per un drink stasera, mi farà bene una pausa.»

«Vedremo» disse Emily, che in realtà non aspettava altro. «Probabilmente dovrò passare prima dalla sposa, vedere cosa ha in programma.»

«Lei è Whitney? Non l’ho ancora mai vista.»

Henry si chinò per indicare la foto ed Emily sentì il suo respiro caldo sul collo. Era una foto di Emily e Ginger, con le facce allegre schiacciate l’una contro l’altra. Erano sedute su un mucchio di coperte nel retro del camioncino malconcio di Frank, al drive-in in una calda sera d’estate. Se chiudeva gli occhi, Emily poteva sentire la calda brezza del Midwest, il sapore dei popcorn al burro, le dita ancora appiccicose.

Quando aprì gli occhi, si rese conto che Henry la guardava in modo curioso.

«Scusa» disse in fretta. «No, non è lei. Questa è un’altra amica… o meglio, lo era.»

Henry le passò il suo bicchiere di whisky. Emily non ricordava che ne avesse ordinato un altro, ma bevve un sorso con gratitudine.

«È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste. Sono un po’ nervosa» ammise. «Questo potrebbe aiutare?» Henry si chinò in avanti, prese il mento di Emily e lo sollevò appena. Poi si fermò, aspettò, i suoi occhi le dicevano che doveva incontrarlo a metà strada.

Emily si sporse in avanti. Il conforto delle braccia di un uomo, il fascino di uno sconosciuto che non sapeva nulla di lei ma che poteva farle dimenticare tutto per un breve istante. Le loro labbra si toccarono in una morbida prova di volontà.

Henry si tirò indietro per primo; sembrava abbastanza soddisfatto di quel bacio, a parere di Emily. Lo osservò sfacciatamente, soffermandosi sulla sua folta chioma. Si chiese come mai un uomo così bello non fosse sposato. Si chiese se avesse figli. Si chiese se lui avrebbe mentito a quella domanda. I capelli scuri che gli ricadevano sull’occhio gli conferivano una sorta di fascino misterioso e altero. Emily moriva dalla voglia di ravviare quel ciuffo, come se fosse stato la chiave per aprire i suoi segreti.

Quello che successe dopo fu un po’ confuso. Fu un misto fra l’alcol che le bolliva nel sangue e il pensiero di presentarsi da sola, grassa, brutta, vecchia con il solo scopo di far pesare la sua infelicità su Ginger.

Forse fu per questo che Emily si avvicinò e scostò davvero la ciocca di capelli dalla fronte di Henry. I loro sguardi si fusero, formando un legame indiscutibile. Un azzardo consapevole e spericolato. La spinta di due anime spezzate l’una verso l’altra in un impeto di desiderio velenoso e futile.

Henry si chinò in avanti, afferrò il mento di lei e premette la bocca contro la sua. Si avvinghiarono l’uno all’altra, in preda alla passione, fino a che lui non fece un cenno verso la coda dell’aereo. Emily sentì il cuore accelerare, lo stomaco che si torceva. Rispose al cenno.

Lo fecero nel bagno dell’aereo, con Emily che puntava il piede contro il lavabo mentre Henry la penetrava, i suoi occhi, di un verde foresta screziato di grigio, che osservavano con intensità sorprendente mentre lei gemeva il suo nome contro il suo collo. La presa di lui era forte, il loro ritmo veloce mentre scopavano come adolescenti. Sapevano di whisky e champagne, profumavano di una colonia fresca e speziata mescolata con il disinfettante economico del bagno dell’aereo.

Lei si afferrò al maglione morbidissimo di lui mentre finivano.

Presero insieme un taxi per il resort. Fecero il check-in contemporaneamente con due diverse impiegate.

Si rividero all’ascensore.

«Sono nella 509» disse lui.

«411» disse lei.

«Da me o da te?»