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«Hai visto che tesoro quella bimba nell’atrio?» Ginger mormorò a Frank, abbastanza forte da far sentire ai bambini. «Così dolce, così innocente… Grazie a Dio non era di Emily. Non poteva essere di Emily, vero?»

Frank sospirò. «Perché sei ancora così fissata con Emily? Pensavo che voi due aveste superato tutto.»

Ginger si irrigidì, ma in realtà non voleva parlarne con Frank, visto che lui era stato al centro della faida tra Ginger ed Emily al college. Per Frank, tutto si era risolto alla perfezione. Lui e Ginger si erano sposati, avevano avuto tre figli, ed Emily era andata avanti con la sua vita molto, molto lontano, a Chicago. Perché preoccuparsi del passato quando le loro vite erano andate così bene?

Le porte dell’ascensore si aprirono e Frank sembrò finalmente provare una stanchezza umana. Un giorno di viaggio attraverso il paese con tre bambini al seguito avrebbe messo alla prova chiunque. O forse la débâcle con Elsie sull’aereo lo aveva spinto oltre il limite. Ginger supponeva che il fatto che avessero dovuto faticare per un’ora per trovare all’aeroporto un taxi che potesse portarli tutti e cinque non avesse aiutato. Ginger aveva dato a Frank un solo compito: prenotare gli spostamenti da e per il resort. Ma Frank aveva pensato di poter improvvisare, e non si era premurato di informarsi su taxi e navette.

L’attesa del taxi non era andata bene. Poppy stava morendo di fame, la batteria del tablet di Tom era morta (l’equivalente dell’apocalisse), ed Elsie aveva spinto al massimo il suo ruolo di adolescente imbronciata. Era stato un disastro.

Il viaggio in macchina fino al resort era stato caotico quanto l’attesa.

Ginger aveva “accidentalmente” sciolto uno dei codini di Poppy, scatenando un fiume di lacrime impressionante. Poppy non poteva assolutamente, per nessun motivo al mondo, vivere con otto codini invece di nove sulla testa. Tom l’aveva pizzicata per farla smettere di piangere, ed Elsie aveva dato una gomitata a Tom. La situazione era peggiorata al punto che Ginger aveva chiesto al tassista di accostare per consentirle di fare un discorso. «O la piantate o saltiamo la vacanza.» Perfino il tassista era rimasto zitto per il resto del viaggio.

«Vi divertirete a costo della vita!»

Be’, era uno scenario verosimile.

Arrivarono nella stanza e aprirono la porta con un sospiro di sollievo. Era come se fossero tornati dalla guerra con la prospettiva di un pasto completo, un po’ di riposo e una doccia per la prima volta dopo anni. Decenni. Di sicuro sembrava che fossero stati in missione per molto tempo.

«Mamma, sto morendo!» strillò Poppy. «Il mio stomaco si sta mangiando da solo. Guarda!» Poppy si tirò la camicia fino al collo e tirò in dentro il pancino perfettamente paffuto. «Sta scomparendo!» Poi crollò su un letto e si sciolse in lacrime.

Tom si accigliò. «Non voglio dormire con le ragazze. Dove dormo io?»

«C’è un divano letto» disse Frank. «Ti sistemeremo lì come un uomo.»

«Perché devo dividere il letto con Poppy?» si lagnò Elsie. «Tira calci nel sonno.»

«Non è vero! Ti prendo a calci quando sono sveglia.» Come per dimostrare la sua affermazione (moralmente discutibile), Poppy piegò la gamba e, nonostante l’avvertimento di Ginger, toccò la sorella con l’alluce.

Non avrebbe disturbato una mosca, ma Elsie si piegò in due come se stesse morendo. «Dio, mamma! Dille qualcosa.»

«Non c’è bisogno di agitarsi» disse Frank disperatamente, come se sentisse di dover contribuire, ma non sapesse bene come.

Guardò Tom che era rimasto in mutande e si era messo sul secondo letto, cercando di reclamarlo per sé. «Tom, tieni su i pantaloni. Ci sono delle signore.»

Mentre Tom si tirava su i pantaloni ed Elsie singhiozzava per un livido immaginario e Poppy moriva di fame (aveva mangiato un sacchetto di patatine durante il viaggio in macchina verso il resort, ovviamente), Ginger tirava un sospiro profondo e osservava la sua famiglia.

Nessuno aveva detto a Ginger Adler che avere figli sarebbe stata la sua guerra personale. Nonostante alcune gloriose vittorie (il primo sorriso di Poppy, le risatine di Tom, i dolci abbracci di Elsie), c’erano stati molti, molti fallimenti.

Quella sera, Ginger si sentiva un unico, gigantesco fallimento. Perché le giornate più importanti, divertenti e rilassanti, più degne di essere ricordate, erano sempre le più stressanti? Compleanni, festività, vacanze: niente poteva sfuggire al dramma. Era come se gli dei delle vacanze avessero cospirato per rendere tutti i bambini insopportabili solo nelle occasioni speciali, gettando a caso una chiave inglese in più nel già complicato meccanismo della genitorialità.

Ginger si rivolse a Frank, così piano che i bambini non la sentirono. «Non ce la faccio.»

Lo sguardo nei suoi occhi doveva aver spinto l’altra sua metà ad agire. Una delle ragioni più inossidabili per cui Ginger amava Frank, nonostante i suoi difetti (o proprio per quelli), era che lui era veramente la sua altra metà.

Poteva fare casino, stare con la testa tra le nuvole; odiava dover dare una disciplina ai ragazzi, ma capiva sempre qual era il momento in cui Ginger aveva superato il limite. Il momento in cui la sua forza vitale si era prosciugata, e lei era pronta ad arrendersi. Quando l’esaurimento la portava al punto di rottura, come un gambo di mais rinsecchito e fragile che il vento porta via. Nonostante la frustrazione che ogni tanto le provocava suo marito, Ginger non avrebbe mai pensato di potercela fare senza di lui.

«Ragazzi» disse Frank in un raro momento di autorevolezza. «Andiamo a prendere qualcosa da mangiare. La mamma si riposerà, farà la doccia e aprirà la bottiglia di vino in quel cestino, e poi scenderà giù nell’atrio a leggersi una rivista in una poltrona comoda. Da sola. Non dovete parlarle, non dovete chiederle niente, né scoppiare a piangere intorno a lei per il resto della serata.»

«Ma se mi manca la mamma?» chiese Poppy, con il labbro tremante. «Dove va lei?»

«Puoi dirle cose carine» disse Frank. «Puoi abbracciarla e baciarla, e puoi dirle che è una brava mamma, ma oggi ci si lamenta solo con papà.»

«Quindi domani mattina,» disse Tom perplesso «posso lamentarmi di nuovo con la mamma?»

«Ne parleremo di sotto, ragazzo» disse Frank. «Forza, prendete la vostra roba. C’è un ristorante che voglio provare che sembra molto interessante.»

«Mamma» disse Poppy, con una vocina dolce e innocente, abbracciando le ginocchia di Ginger. «Scusami.»

«Oh, tesoro, non ti preoccupare. Non hai fatto niente, la mamma è solo molto stanca» disse Ginger, sentendo già una fitta di rimorso per l’idea fugace di lasciare la sua famiglia a qualcun altro, anche se solo per un giorno. «Vado a farmi una doccia, e poi sarò come nuova, okay, amore? Divertiti con papà.»

«Possiamo andare a vedere le piscine?» chiese Tom. «Mamma ha detto che ce ne sono sette. Sei sicura di non voler venire con noi?»

«Ne è sicura» disse Frank. «Muovetevi, banda. Conto alla rovescia di cinque secondi.»

«Non mi dispiacerebbe vedere le piscine» disse Ginger con uno sguardo ai suoi figli, sentendo il famigerato senso di colpa materno che si manifestava sotto forma di rossore al collo. «Forse posso sciacquarmi velocemente e raggiungervi…»

«Non alzerai un dito per il resto della serata» disse Frank. «Insisto.»

Lo sguardo di Ginger si posò sulla figlia maggiore, che si era avvicinata alla televisione e stava esaminando il contenuto di un cestino di benvenuto lasciato dal personale del resort, senza dubbio per gentile concessione di Whitney e Arthur. Elsie aveva preso la bottiglia di vino, e leggeva l’etichetta. Il primo impulso di Ginger fu di rabbia. Prima i preservativi, ora l’alcol?

Tuttavia, sotto il cipiglio sul viso di Elsie c’era un’espressione che Ginger non riusciva a identificare. Forse confusione, o frustrazione. E Ginger sapeva che, nonostante il sovraccarico emotivo che lei stessa sentiva, probabilmente sua figlia stava peggio. Ormoni adolescenziali, pressione tra pari, insieme al resto del complicato pacchetto che accompagnava la natura di giovane donna nuova di zecca. Ed Elsie non aveva nessuno con cui condividere il carico.

«Vorrei parlare con Elsie per un minuto» disse Ginger, prendendo la decisione in fretta. «Dopo la accompagno giù.»

«Tesoro, forse è meglio se prima ti riposi un po’» disse Frank. «Fatti una doccia, un bicchiere di vino. Siamo in vacanza.»

, voleva dire Ginger, una vacanza in cui devo valutare ogni uomo papabile che guarda mia figlia perché gira con i preservativi e ha solo quindici anni. I quindicenni erano ancora bambini. Ginger era stupida a quindici anni. Molto stupida. Spericolata, formata a metà, pericolosa.

Per fortuna ho trovato Frank allora, pensò con affetto, guardando il suo fidanzatino del liceo. Altrimenti, avrebbe potuto finire nei guai. Ma uomini come Frank non capitavano spesso, e nello scenario più probabile Elsie si innamorava del ragazzo sbagliato e finiva per farsi male. E Ginger non poteva sopportare che succedesse a sua figlia. Non se lei poteva evitarlo.

«Non ci parlo, con te» disse Elsie, con una smorfia. «Sei imbarazzante.»

«Sì che ci parli» disse Ginger. Se avesse fatto un respiro profondo, se fosse rimasta calma, avrebbe potuto aiutare Elsie. Era sua madre, prima di tutto. «Vai avanti, Frank. La porterò giù tra un po’.»

Poppy e Tom dovettero percepire qualcosa nell’aria perché Tom uscì dalla stanza con il pepe al culo, e Poppy entrò in corridoio in punta di piedi. Frank lanciò alla moglie un sorriso di scusa, che addolcì il cuore afflitto di Ginger. Lo baciò di corsa sulla guancia, poi chiuse la porta e affrontò sua figlia maggiore.

Elsie rimise saggiamente a posto la bottiglia di vino prima di rivolgersi alla madre con rabbia e trepidazione, come se Ginger fosse stata l’avvocata corrotta che l’aveva messa nel braccio della morte. Perché Elsie non capiva che Ginger voleva solo il meglio per lei? Perché era così difficile da capire per gli adolescenti? Elsie si sdraiò sul letto e si mise a guardare il soffitto.

Ginger attraversò la stanza e si sedette sul letto accanto a sua figlia. Elsie si spostò.

«Una volta ti sedevi sulle mie ginocchia» disse Ginger con una risata. «Scommetto che non te lo ricordi.»

Elsie non fece alcun commento. Ginger aveva già detto la cosa sbagliata. Appunto mentale: ricordare i bei tempi andati è una cosa da non fare.

«Tesoro, voglio solo parlare» cominciò Ginger, sedendosi un po’ più in là sul letto. Elsie non si allontanò, ma si voltò per dare le spalle a sua madre. «Non ti sto giudicando, non sono nemmeno arrabbiata.»

«Invece sì» disse Elsie.

«Sono rimasta sorpresa. È diverso dall’essere arrabbiati.»

«Sembravi proprio arrabbiata. L’hanno pensato tutti, sull’aereo.»

«Va bene, ammetto che non era né il luogo né il momento adatto per discutere» disse Ginger. «Mi dispiace se ti ho messo in imbarazzo, ma il fatto è che ci tengo molto a te.»

Elsie emise un grugnito che non approvava né smentiva.

«Non mi sono fermata a pensare che non era il momento opportuno per reagire in quel modo.» Ginger fece un gesto ampio, come per includere un pubblico seduto sul letto di fronte. «Io voglio solo fare di tutto per tenerti al sicuro, e non mi importa di chi ci vede o ci ascolta.»

«Urlarmi contro perché…» Elsie rabbrividì. «Urlarmi contro non mi tiene al sicuro.»

«Non ho urlato.»

«In questo momento stai alzando la voce.»

«Sto cercando di farmi capire, Elsie.» Ginger si mise una mano sulla fronte come se si sentisse svenire. «Sai che ti dico? Lasciamo perdere.»

Fece un respiro profondo, di cui aveva bisogno, e osservò la stanza per prendere tempo. Ginger pensava di essersi calmata abbastanza da poterne parlare, ma adesso ne dubitava di nuovo. I suoi nervi erano logorati, la figlia era a tanto così dall’odiarla, e le stupide pareti di quella stanza sembravano stringersi intorno a lei. Poteva essere carina per un weekend romantico, ma tenerci dentro cinque persone era un bell’azzardo.

Certo, era lussuosa e tutto il resto: c’era una vasca idromassaggio in un angolo completa di sali da bagno. Ginger si ripromise di portarseli via; avrebbe avuto bisogno di un buon bagno a casa, una volta che questo viaggio maledetto da Dio fosse finito. Il minibar era rifornito con i migliori dolci e bevande, e qualcuno aveva lasciato un vassoio di piccola pasticceria sul letto.

Ma il lusso non bastava per tutti e cinque. C’erano solo due dolci, il che significava che dovevano essere tagliati a metà. La vasca idromassaggio occupava uno spazio prezioso che non sarebbe stato utilizzato per niente di romantico: forse Tommy avrebbe finito per dormirci dentro o magari Poppy l’avrebbe usata per giocare a nascondino. Nella migliore delle ipotesi, se ne sarebbe servita come fortino per le Barbie.

E il minibar… Non parliamo del minibar. Ginger era pronta a tirare fuori il nastro adesivo e a sigillare per sempre quell’affare, in modo che nessuno dei suoi figli potesse strisciare furtivamente e riempirsi la boccuccia appiccicosa con quarantacinque dollari di Smarties.

Con il divano letto aperto, non ci sarebbe stato più spazio. Aggiungendo le loro valigie straripanti, avevano a malapena ossigeno a sufficienza per respirare (Ginger non sapeva bene come, ma con le valigie dei suoi figli succedeva sempre la stessa cosa: bastava aprirle e dopo un secondo la loro roba era già sparsa per tutta la stanza).

«Ho cercato di essere tua amica, ho cercato di essere comprensiva e ho cercato di parlare in modo severo» disse Ginger, allungandosi verso il vassoio dei dolci. «Ma niente ha funzionato. Io non so più cosa fare.»

«Lasciami in pace.»

«No, prima di essere tua amica sono tua madre. Mi dispiace.» Ginger non avrebbe mai pensato di vedere il giorno in cui avrebbe tirato fuori la carta della mamma con una figlia quasi adulta, ma era per occasioni come questa che l’aveva risparmiata per tutti quegli anni. «Perché hai dei preservativi nella borsa?»

Ginger guardò il riflesso nella finestra e vide il volto di Elsie pieno di sgomento. Approfittò del silenzio per trovare una soluzione al piccolo problema della condivisione dei dolci. Se Ginger li avesse mangiati entrambi, i bambini non avrebbero potuto lamentarsi. Se ne mise uno in bocca.

«Mamma, non ne voglio parlare!»

«Senti, se vuoi portarti dietro una protezione, allora siediti, fai l’adulta e parlamene. Stai facendo sesso?»

«Mamma!» Elsie si lasciò cadere sul letto, furiosa. «Non voglio parlare con te di queste cose!»

«Non c’è niente di imbarazzante nell’affrontare questo argomento» disse Ginger, anche se internamente rabbrividì. Non aveva mai fatto una conversazione del genere con i suoi genitori: anche per lei questo era un territorio inesplorato. «Se non puoi parlare di sesso come una persona adulta, allora non dovresti nemmeno farlo. Conosco il ragazzo che ti interessa?»

Elsie chiuse gli occhi.

«È molto importante prendere precauzioni» disse Ginger, cercando di separare la sua reazione emotiva da quella logica. Era normale che gli adolescenti fossero interessati al sesso opposto, e Frank su questo aveva ragione: almeno Elsie ci stava attenta. «Non sono arrabbiata per il fatto che tu voglia proteggerti. Anzi, sono fiera che tu ci abbia pensato. Forse ti hanno insegnato qualcosa a scuola. Il sesso può essere molto salutare quando si è in una relazione affettuosa e seria. Tuo padre e io…»

«Mamma, basta!» Elsie si alzò in piedi. «Lasciami stare, ti prego.»

«Sto cercando di capire…»

«Non li sto nemmeno usando. Dio.» Elsie si mise una mano sugli occhi. «Lasciami in pace! Non sono stupida.»

«Non penso che tu sia stupida, tesoro.» Ginger esitò, ripensando alle ultime parole di Elsie. «Allora, sei ancora vergine?»

«Vado a cercare papà. Se provi di nuovo a parlare di sesso con me durante questa vacanza, sparerò a qualcuno!»

Elsie uscì infuriata dalla stanza, sbattendo la porta. Ginger si alzò per seguirla, poi si fermò. Che cosa voleva fare? Prendere per mano la figlia adolescente e accompagnarla dal papà? Elsie avrebbe preso la patente fra meno di un anno. La patente. Il lavoro. Vivere la propria vita come un’adulta in miniatura. Tra pochi anni lo sarebbe stata a pieno titolo. Che orrore.

Ginger mise in bocca il secondo dolcetto. Era così nervosa che non sentì nemmeno il sapore di quei costosissimi e ridicoli pasticcini “omaggio”. Masticò, mandò giù e andò a rovistare nel minibar, chiudendolo subito al pensiero di quante ore avrebbe dovuto lavorare nel suo hotel, molto meno stravagante, per pagarsi un paio di Snickers in questo. L’hotel dove lavorava lei non aveva certo minibar riforniti di carinissimi dolcetti, né la politica di lasciare cioccolatini sui cuscini. Probabilmente era anche un bene che non offrissero sali da bagno e lozioni, oppure Ginger sarebbe stata licenziata per aver rubato sul posto di lavoro.

Mentre si aggirava per il resto della stanza, la sua mente vagava verso luoghi pericolosi. Ginger aveva sempre pensato che sarebbe stata entusiasta di vedere i suoi passerotti crescere e lasciare il nido, ma ora il pensiero di Elsie che si metteva in cammino da sola le faceva venire le palpitazioni.

Elsie era una ragazza intelligente, e di solito responsabile, ma comunque… Era la sua bambina innocente, o quanto meno lo era stata.

Forse aveva bisogno davvero di quel bicchiere di vino. Guardò la bottiglia nel cestino, ma si rese subito conto di non avere un apribottiglie. Così mandò un messaggio a Frank, che confermò che avevano trovato Elsie e che stavano mangiando un boccone. Disse a Ginger di prendere un drink al bar, di rilassarsi, di coccolarsi; ai bambini ci avrebbe pensato lui per il resto della serata.

Mentre Ginger entrava nella doccia e apriva l’acqua bollente, si chiese vagamente quando avrebbe potuto sperare di rilassarsi davvero. Forse a sessantacinque anni, quando fosse andata in pensione, con i figli cresciuti e sposati. Anche allora, sarebbe bastata una telefonata da uno di loro per raccontarle un qualsiasi problema, e sbam. La sua schiena si sarebbe trasformata di nuovo in un unico nodo contorto.

Dopo la doccia, Ginger si prese un po’ di tempo per sistemare la stanza, organizzare i vestiti e le valigie e la disposizione dei posti letto, tirare fuori il necessario per la notte e gli orsacchiotti e i libri e i cuscini e i pigiami speciali. Quell’attività la calmò e le dette quella boccata d’aria fresca di cui aveva disperatamente bisogno.

Quando finì, si sedette sul letto e si guardò intorno. La camera era pronta per la notte… Mancavano solo i bambini. Era strano, ma le mancava già il putiferio rumoroso di casa Adler.

Cosa avrebbe mai fatto con il famoso nido vuoto? Riusciva a malapena a resistere cinque minuti da sola senza annoiarsi.

Quando sentì una notifica sul telefono, vide con sollievo che era un messaggio di Frank. Sicuramente c’era stata qualche catastrofe (si era sciolto il settimo codino di Poppy, per esempio) che Ginger doveva affrontare subito. In un certo senso, si sentiva un po’ come una drogata: Datemi qualcosa da fare! Ho bisogno di qualcosa che mi tenga occupata. Occupata, occupata, occupata, occupata, dannazione!

FRANK: TI È PROIBITO PREOCCUPARTI DI NOI PER IL RESTO DELLA NOTTE. PRENDI UN BICCHIERE DI VINO. LEGGI UN LIBRO. FAI UN BAGNO CON L’IDROMASSAGGIO. TI VOGLIAMO BENE.

L’unica volta in cui Ginger voleva davvero essere necessaria, ecco che la sua famiglia si dimostrava un piccolo gruppetto felice e soddisfatto. Non le sembrava giusto.

GINGER: FORSE SCENDERÒ A CONTROLLARE LA TEMPERATURA DI POPPY. SULL’AEREO SEMBRAVA UN PO’ SOTTOSOPRA, E DICEVA CHE LE FACEVA MALE LA PANCIA…

FRANK: STA BENE. STANNO TUTTI BENE. STAREMO BENE PER QUALCHE ORA. RELAX!!!

Ginger rise alla sua ultima istruzione. Sembrava una cosa che poteva dire lei, una delle sue frasi.

Si infilò i jeans e un maglione e decise di sfruttare al meglio la sua prima serata “libera” dopo anni. Un bicchiere di vino non poteva far male. La sua famiglia sembrava stare bene senza di lei, e suo marito l’aveva quasi minacciata per farla rilassare. Prese un libro, una lettura da ombrellone che qualcuno aveva lasciato nell’hotel dove lavorava, e dette un’occhiata al titolo. C’entrava l’amore.

Può andare, pensò, e uscì dalla stanza con la seconda chiave in tasca.

L’ascensore la riportò di sotto, dove Ginger rimase per un attimo ad ammirare il lusso. L’hotel in cui lavorava come receptionist non era affatto squallido, ma di certo con questo aveva ben poco in comune. Era una sorta di luogo di passaggio per i viaggi d’affari. Un posto efficiente, pulito, e senza fronzoli, esattamente come piaceva a lei.

Il Serenity Spa & Resort, invece, era proprio il contrario. Tutto linee morbide e decorazioni tranquillizzanti, il salone era illuminato da finte fiaccole e sottilmente profumato da diffusori che sporgevano da alti ed eleganti vasi nascosti negli angoli. Tra quelli e i mazzi di fiori freschi che erano stati portati per i festeggiamenti del matrimonio, la stanza era molto floreale.

Tutto sommato, mettere semplicemente un piede in quell’atrio doveva essere rilassante, ma ora che era lì Ginger si rese conto di non sapere bene come fare a rilassarsi. Ordinarsi un bicchiere di vino da sola? Era una cosa normale portare un libro al bar?

Sentì delle risate provenire da un lato del bar e vide un gruppo di quattro donne. La quarta stava un po’ di lato, leggermente voltata, ma era chiaramente una di loro. Ginger riconobbe quella giovane madre, Sydney.

Ignorò deliberatamente Emily, che si trovava accanto a Sydney, e si diresse verso il bar. Poi ordinò a bassa voce un bicchiere di vino rosso. Non era una gran bevitrice, apprezzava al massimo un bicchiere di vino a cena o alle feste. A parte le sue ex amiche, lei non conosceva nessuno, pensò, mentre guardava le coppie eleganti che popolavano l’atrio. Whitney era impegnata, Kate era… Kate, ed Emily era una stronza.

«Grazie» disse Ginger alla barista che le consegnava il suo vino. Trasalì quando si accorse di aver lasciato la borsa al piano di sopra. «Può metterlo in conto alla mia camera? Ho dimenticato il portafoglio di sopra. Altrimenti, posso correre a prenderlo.»

«Certo, signora» disse la ragazza. «Qual è il suo numero di stanza?»

«Mettilo in conto alla stanza di Max Banks» disse una donna dall’altra parte del bar. Faceva parte del piccolo gruppo raccolto nell’angolo. «Sei sul nostro conto, non far finta di non conoscerci, Ginger.»

«Ehi, non è necessario.» Ginger si sentì arrossire quando riconobbe la voce di Kate.

L’affascinante, perfetta Kate Cross. La perfetta Kate che aveva comandato a bacchetta Whitney nella loro strana, piccola amicizia e che era già truccata a lezione alle otto del mattino. Kate che non aveva mai i postumi di una sbornia. Kate che usciva con uomini glamour, pagava da bere a tutti alle feste e indossava abiti firmati. Kate che… era tutto ciò che Ginger non era.

«Non è che non abbia i soldi» balbettò Ginger. «Ho dimenticato il portafoglio e…»

«Oh, ce li abbiamo tutte, i soldi» disse Kate con un sorriso smagliante. «Siamo vecchie ormai. Stiamo cercando di sbancare il conto del bar del mio ex fidanzato. Avvicinati, così non dobbiamo gridare.»

«Probabilmente dovrei pagare» disse Ginger, ma si avvicinò un po’ di più a Kate, come eseguendo le sue istruzioni. Kate era ancora molto autoritaria. «Sono solo dieci dollari.»

«Lui ha un patrimonio di quattro milioni» disse Kate, con una cadenza che ben si addiceva alla bottiglia di champagne mezza vuota sul bancone. «Non credo che gli mancheranno dieci dollari.»

«Preferirei pagare per me stessa.»

«Non hai mai fatto come dicevo io, vero?» sbottò Kate. «Stasera ho il cuore a pezzi, quindi potresti aiutarmi a svuotare il maledetto conto del mio ex? È davvero chiedere tanto a una vecchia amica?»

Ginger fissò a bocca aperta quella donna raffinata e di successo, fino a quando non le sfuggì una risatina incredula. Era una cosa molto poco signorile e inconscia, e Ginger tossì per coprirla. «Be’, allora è diverso. Come stai, Kate?»

Kate sorrise. «È bello vederti, Ginger. Ovviamente, vorrei che le circostanze fossero diverse, ma… che ci posso fare?»

Ginger guardò Kate mentre agitava una mano scintillante, fingendo di non sentire una leggera condiscendenza per l’evidente assenza di una fede nuziale. Kate poteva anche avere anelli preziosi e bei capelli e orecchini con diamanti veri, ma Ginger aveva qualcosa in più. Un marito. E i bambini, anche se Ginger dubitava che Kate volesse dei figli. I bambini facevano casino. Kate Cross era di classe, elegante… e prepotente.

«Anche per me è bello vederti» disse Ginger, rendendosi conto che il piccolo gruppo di donne era diventato silenzioso. «È passato molto tempo. Sei meravigliosa come al solito.»

«Lo so» disse Kate. Poi aggiunse, un secondo troppo tardi: «Grazie».

Nel silenzio che seguì il complimento, la donna accanto a Kate si voltò appena sullo sgabello del bar e sorrise educatamente a Ginger. Era una signora anziana, con i capelli screziati di grigio, un viso molto bello. Era chiaramente una donna che si prendeva cura di sé con appuntamenti settimanali alla spa che la mantenevano più ordinata e raffinata di Ginger, che probabilmente aveva quasi la metà dei suoi anni e si stava deteriorando a un ritmo molto più rapido.

«Ciao, mi chiamo Lulu» disse la donna, con un sorriso che increspò le rughette intorno agli occhi. «Perché non ti siedi qui? A meno che non abbia da fare, naturalmente. Cosa stai leggendo?»

«Ah, questo? In realtà non lo so.» Ginger fissò il libro perplessa, come se ce l’avesse messo un fantasma. «L’ho preso a caso da uno scaffale. Non ho molto tempo libero, e mio marito ha deciso di darmi la serata libera per rilassarmi, così ho pensato…» Ginger scrollò le spalle. Perché diavolo non riusciva a portare avanti una conversazione come una persona normale? Era passato così tanto tempo da quando aveva interagito con altre donne? «Allora perché non ti unisci a noi?» insisté Lulu, con un cenno a uno sgabello vuoto. «Conosci già Kate, ovviamente.»

«Conosce anche Emily» disse Kate. Passò un momento di silenzio in cui Emily, fissando un po’ ubriaca il bambino di Sydney, rivolse a Ginger uno sguardo disorientato. Kate aggiunse: «Oh, non fate le difficili. È stato uno screzio. Più di dieci anni fa. Per uno stupido uomo».

«Frank» disse Ginger. «Era per Frank.»

«Scusa» disse Kate, che non sembrava affatto dispiaciuta. «Non volevo dire che Frank fosse stupido. Volevo dire che è stato un incidente. Cose che succedono.»

«Ah, capisco» interruppe Lulu con quella sua voce rassicurante e consapevole. «Be’, di sicuro dovevate essere grandi amiche. Mi è capitato di vedere alcune foto di voi quattro. Emily e io abbiamo fatto una bella chiacchierata questa sera.»

Emily si schiarì la gola, senza guardare le altre. «Stavo mettendo insieme un album di foto per Whitney come regalo di nozze e cercavo di trovare le didascalie giuste per le nostre foto del college.»

«Ah.» Ginger bevve un sorso di vino, vagamente curiosa di sapere perché Emily avesse scelto di includerla nel progetto. Se fosse stata lei a fare l’album, avrebbe tagliato via Emily dalla maggior parte delle foto. «Le cose erano diverse allora.»

«È sempre così. Il cambiamento non è mai facile» disse Lulu con dolcezza.

«A proposito, qualcuno ha visto Whitney? Volevo congratularmi con lei di persona, ma sembra che sia scomparsa da quando siamo arrivati.»

«Le ho mandato un messaggio quando sono atterrata» disse Kate. «La sua agenda è piena. Le ho fatto sapere che saremmo state al bar stasera, ma non credo che si farà vedere. Secondo me, non la vedremo fino alle prove della cena, e anche allora, potrebbe essere solo un avvistamento da lontano, per come stanno andando le cose.»

«Sembrerebbe un programma» Lulu esitò «vigoroso, a dir poco. Peccato che non avrà il tempo di vedere le sue amiche.»

Ginger si chiese se il particolare modo di parlare di Lulu fosse frutto dell’età, o se fosse qualcosa che la caratterizzava dalla nascita. Sbrigativo e professionale, ma gentile, in qualche modo navigato. Forse se Ginger avesse avuto quel tipo di voce, Elsie non sarebbe andata fuori di testa a ogni suo tentativo di parlarle.

«Sì, be’, è molto da Whitney» disse Kate. «E tu, Ginger? Hai intenzione di venire qui e dirci cosa ti preoccupa o no?»

«Oh, non lo so.» I nervi le dicevano che sarebbe stato più facile andare a sedersi in un angolo, sorseggiare il suo vino, far finta di leggere il suo libro e contare i minuti fino a quando non fosse stata di nuovo necessaria nel suo ruolo di mamma. I suoi piedi, tuttavia, erano dei traditori. E prima che Ginger potesse dire di no, si ritrovò accanto alle sue vecchie amiche del college. «Ho una vita noiosa. Ho tre figli, e lavoro sempre in un albergo che non si trova nemmeno nella stessa stratosfera di questo. Non ho granché di emozionante da raccontare.»

La donna con il bambino sorrise. «Non mi pare noiosa. Credo che ci siamo viste poco fa… Io sono Sydney, e questa è mia figlia Lydia.»

«È un amore» disse Ginger con sincera simpatia mentre studiava la giovane donna che sembrava più vicina all’età di Elsie che alla sua. Il solo pensiero di Elsie con una neonata la terrorizzò fino al midollo. «Mi ricordo di te. Siete qui per il matrimonio DeBleu/Banks?»

«Come quasi tutti noi» la interruppe Kate. «Ma se devo essere sincera con voi, signore, non sono sicura che resterò. Il mio fidanzato… ex fidanzato… ha preso due stanze diverse quando siamo arrivati e mi ha scaricato proprio in quest’atrio. Voglio dire, Whitney è un tesoro e tutto il resto, ma potrei tornare a casa domani.»

«Ecco perché offre la sua carta di credito» disse Ginger. Ora guardava Kate con occhi diversi, con più simpatia. Se Ginger era un po’ sciatta, con i suoi vestiti da madre di famiglia, Kate era così in forma da sembrare Angelina Jolie in Tomb Raider, con in più una chioma di capelli da dea del sesso. La mente di Ginger tornò indietro a quel momento in cui si era chiesta come sarebbe stato spedire via il marito e i figli per qualche giorno, e scambiare la sua vita con quella della stimata Kate Cross. «Scusa, ma che razza di idiota ti scaricherebbe? Sei bellissima. E presumo che tu abbia avuto un successo strepitoso. Voglio dire, abbiamo sempre saputo che saresti stata tu a fare i soldi.»

«Sì» disse Kate senza pudore. Ma in qualche modo riuscì a non sembrare presuntuosa. «Ma non posso avere figli, e il mio ragazzo non approvava i miei… difetti.»

Ginger si trovò a disagio. Ora si sentiva incredibilmente in colpa per l’ondata di autocompiacimento che aveva sentito quando si era resa conto che lei era sposata e Kate no. Nonostante tutti i suoi problemi, Ginger non avrebbe mai fatto a meno dei suoi figli. Non poteva immaginare la vita senza di loro.

«Mi dispiace tanto» disse Ginger. «Ti meriti di meglio. È una cosa orribile da parte sua, e non posso immaginare quello che hai passato. O che tipo di persona ti direbbe questo genere di cose.»

«Sì, be’» disse Kate in tono vivace. «Abbiamo tutti dei problemi. Sydney qui è una mamma single. Non so come faccia.»

Sydney non era a suo agio al centro dell’attenzione. «Ce la caviamo. Voglio dire, è un po’ tosta dal punto di vista finanziario perché è difficile trovare un lavoro al momento, ma ce la caveremo. Sono dettagli, in fondo.»

Il cuore di Ginger si strinse. Improvvisamente si sentì così pericolosamente fortunata da voler abbandonare quelle donne interessanti e correre da suo marito e dai suoi figli. Per goderseli finché poteva. Se la fortunata e meravigliosa Kate non era riuscita ad avere fortuna in amore, che speranze avrebbe avuto Ginger?

«Sono andata a letto con uno sconosciuto questo pomeriggio» disse Emily in un tono un po’ monocorde che fece pensare a Ginger che non era la prima volta che lo raccontava quella sera e che non ne era orgogliosa. «L’ho conosciuto sull’aereo, e ora lo chiamo Henry Anonimo perché non conosco il suo cognome.»

Ginger bevve un altro sorso di vino. «E questo è un problema

Un silenzio imbarazzante calò mentre Ginger fissava Emily, bloccata in una sorta di bizzarro stallo. Ginger era ben consapevole del fatto che il vino la rendeva più loquace e amara del solito, ma queste altre due donne avevano in ballo questioni che avrebbero cambiato la loro vita. L’avventura vacanziera di Emily non poteva esattamente competere con quelle. D’altra parte, Ginger non era del tutto sicura che Emily fosse consapevole di quello che diceva: aveva gli occhi un po’ velati, e la sua coppa di champagne sembrava avere un buco sul fondo per la velocità con cui si svuotava.

«Tutti noi abbiamo problemi di forme e dimensioni diverse» disse Lulu, per spianare la situazione, mentre Kate e Sydney annuivano con gratitudine. «Non che sia paragonabile a quello che ha passato Kate, o alla sfida di Sydney di crescere un figlio da sola, ma io per esempio mi chiedo se mio marito si stia preparando a lasciarmi per un’altra donna.»

«Questo direi sicuramente che è un problema» disse Ginger. «Mi spiace sentirlo.»

Lulu la liquidò con un gesto. «Tocca a te. A cosa stai pensando? Ti abbiamo svelato tutte le nostre preoccupazioni.»

«Oh, non lo so» disse Ginger. «Niente che sia paragonabile a ciò che voi avete raccontato.»

«Ginger» disse Kate. «Ora tocca a te.»

Ginger ingoiò un sorso di vino per farsi forza. Una parte di lei voleva stare zitta e ascoltare queste donne discutere delle loro vite e dei loro amori e problemi, ma l’altra parte era pronta a contribuire. A partecipare alla prima conversazione adulta, fra donne, che le fosse capitata in mesi, forse anni.

Distolse lo sguardo dal viso curioso di Kate e si concentrò sull’espressione paziente di Lulu. «Se insistete… Ho trovato dei preservativi nello zaino di mia figlia» confessò finalmente, e fu come una boccata d’aria fresca. «Ha quindici anni. E mi odia. Mi sento una madre orribile.»

«Ecco» disse Kate. «Era così difficile? Ora sei entrata a far parte del nostro piccolo comitato per l’autocommiserazione! Benvenuta nel club. Un altro giro per tutte.»

«Non so cosa dire» rispose Ginger. «Non lo faccio da così tanto tempo. Sembra…» Ginger non riuscì a finire il suo pensiero.

Gli occhi di Lulu brillavano. «Le amiche sono meravigliose, vero? Gli uomini vanno e vengono, ma sulle donne… su quelle buone si può contare.»

Ginger annuì. Era tutto meraviglioso.

Esitante, alzò il bicchiere mentre Kate mormorava un brindisi senza senso. Quando finì, Ginger toccò con la sua flûte gli altri bicchieri, prima quello di Lulu, poi quello di Kate, poi quello di Sydney, esitando solo quando il braccio di Emily si tese verso di lei. Ginger si morse il labbro mentre sentiva il richiamo della vecchia rabbia nello stomaco. Avrebbe dovuto lasciare che quelle emozioni morissero da sé… Tutti sapevano che il perdono era una cosa sana, ma lei non era riuscita a lasciarsi tutto alle spalle. Non ce la faceva a dimenticare il rancore, aveva preferito accumularlo per tutti quegli anni. E dove l’aveva portata? A sposare un uomo meraviglioso e ad avere tre bellissimi bambini. Dove aveva portato Emily? A sedersi ubriaca e sola in un bar con vecchie amiche del college. Ginger incrociò lo sguardo di Emily e vide un mondo di dolore. Lo vide nell’onda floscia dei capelli della sua ex amica, nel suo nervoso sbattere gli occhi, nel tremito delle dita, mentre teneva il suo bicchiere verso Ginger in un gesto speranzoso e penoso, come se questo ramoscello d’ulivo significasse tutto per lei.

E Ginger si chiese se fosse arrivato il momento di dimenticare. Forse il karma si era rifatto su Emily negli anni successivi al college, o forse c’era qualcosa di più nella sua storia. Ginger non era del tutto sicura che le importasse. Così, con un sospiro gutturale, allungò il braccio, si incollò sul viso un sorriso per Emily e fece un brindisi con una vecchia amica.

***

DETECTIVE RAMONE: Signora Pinkett, per favore, dichiari la sua occupazione per il verbale.

ASHLEY PINKETT: Sono così felice che Allison mi abbia detto che stava interrogando il personale… Sono felice di aiutare come posso. Lavoro alla reception del Serenity Spa & Resort, e sono qui da, oh, cinque anni. Mi piace il mio lavoro.

DETECTIVE RAMONE: Stava lavorando il 16 agosto?

ASHLEY PINKETT: Sì, ho lavorato un giorno intero perché Dylan si è dato malato, quindi alla reception c’eravamo io e Allison. Ho iniziato a mezzogiorno e ho finito solo dopo la chiusura del bar… verso le 3 del mattino, dopo le pulizie. Come ho detto, mi piace il mio lavoro, detective.

DETECTIVE RAMONE: Può raccontarmi il check-in di Emily Brown? Ecco una foto di lei per rinfrescarle la memoria.

ASHLEY PINKETT: Oh, non mi serve una foto. Me la ricordo. Una bruna, giusto? Lei si è registrata con un uomo appetitoso… Voglio dire, non stavano insieme, ma stavano insieme, se capisce cosa intendo. Non credo di aver mai sentito tanta elettricità tra due persone in vita mia. Hanno rischiato di far saltare le luci dell’atrio.

DETECTIVE RAMONE: Aveva qualche richiesta speciale per il check-in?

ASHLEY PINKETT: Sì, in effetti. Una bottiglia di champagne mandata subito su, anche dopo che ho detto che avrebbero ricevuto una bottiglia di vino nei loro cestini di benvenuto da parte degli sposi. Non che a loro importasse… In effetti, sono abbastanza sicura che la signora Brown fosse un po’ brilla al momento del check-in. Qualcuno si è divertito un po’ troppo sull’aereo. Mi chiedo se lei e il suo amico fossero entrati a far parte del club del “sesso ad alta quota” se capisce cosa intendo. Non mi stupirei, a giudicare da come si guardavano.

DETECTIVE RAMONE: Grazie per la sua testimonianza, signora Pinkett.

ASHLEY PINKETT: Non c’è di che. E già che ci siamo, qual è il verdetto, detective? Lei è single? E la mia amica Allison le ha detto che la trovo carino?