Due lavori e homeless

Alpha Manzueta finisce il suo primo lavoro (turno di notte) ogni mattina alle 7. E comincia il suo secondo lavoro a mezzogiorno. Per recuperare un po’ di forze, nell’intervallo tra i due va a dormire. Non a casa sua, perché una casa non ce l’ha. Va in un centro di accoglienza per homeless. La sua storia è stata raccontata dal «New York Times». «Mi sento bloccata, mi sforzo e mi sforzo ancora, ma per quanto faccia non vado da nessuna parte, non riesco a tirarmi fuori dal ricovero per i senzatetto» ha detto la Manzueta al reporter che la intervistava. Ha 37 anni, e una figlia di 2 anni e mezzo. Quando è sul lavoro porta una divisa. È un’agente che regola il traffico all’aeroporto Jfk di New York. Quando indossa quell’uniforme, rappresenta l’ordine e fa rispettare la legge. Quando si toglie la divisa e torna al centro di accoglienza per senzatetto, viene trattata come una semidelinquente: deve obbedire al coprifuoco, e consegnare una parte del suo salario come prova che sta «risparmiando» per trovarsi una casa vera.

Due lavori, e neanche un appartamento? Il suo non è un caso estremo. Con una popolazione di 50.000 senzatetto ufficiali, che dormono ogni notte nei suoi centri di accoglienza, New York annovera tra questi homeless una quota crescente di lavoratori dipendenti. Il 16 per cento degli adulti single accolti in quei ricoveri ha un posto di lavoro. E il 28 per cento delle famiglie ospitate negli shelter (rifugi) ha almeno un membro che lavora. Molte sono donne, e di giorno noi newyorchesi le incontriamo continuamente. Possono essere agenti del traffico come Alpha Manzueta, ma anche commesse di negozi, perfino impiegate di banca. Una camera in affitto nel meno caro dei borough newyorchesi, il South Bronx, costa 1000 dollari al mese. Molti posti di lavoro non pagano abbastanza per potersi permettere quel «lusso».

New York è la città più ricca del mondo. Ha Wall Street, la capitale globale della finanza. Un nuovo boom immobiliare fa sorgere grattacieli residenziali dove un superattico con vista su Central Park si vende per 100 milioni. C’è anche tanto lavoro nella parte bassa della piramide: la prova è Alpha Manzueta, che di lavori ne ha due, non uno solo.

In questo formicaio brulicante di attività, se hai voglia di lavorare e ti rimbocchi le maniche, qualcosa da fare lo trovi. Il che non significa che con un lavoro, o anche due, riesci a campare.

La grande crisi mondiale vista da Manhattan sembra un ricordo lontano, dato il vigore della ripresa nell’economia locale. Ma quella recessione sembra anche un evento non così eccezionale: ha amplificato e accelerato delle tendenze già in atto. Tra il 2000 e il 2013 la città ha guadagnato 250.000 nuovi posti di lavoro. Dietro quel numero aggregato ci sono realtà estreme. I nuovi impieghi nati a New York sono o strapagati o sottopagati: nel mezzo c’è poco. Sono cresciuti i multimilionari, e in un solo anno ben 74.000 newyorchesi sono scivolati sotto la soglia della povertà. Le assunzioni si sono concentrate nei mestieri meno remunerati: camerieri di ristoranti e bar, infermiere a domicilio, commesse di negozi, fattorini delle consegne. Invece ha continuato a svuotarsi la parte che sta in mezzo, la middle class, quel vasto ceto medio che un tempo comprendeva anche un’aristocrazia operaia di colletti blu dagli alti salari. Sono spariti 49.000 bancari. Tutti quei mestieri che un tempo davano uno stipendio dignitoso, uno status sociale, la possibilità di mandare i figli in una buona scuola sono le professioni «di mezzo» che continuano a subire un’emorragia.

Nessun’altra città americana raggiunge questi estremi di ricchezza e povertà. Che convivono, almeno nelle ore del giorno, in un’ordinata promiscuità sociale: s’incrociano in metrò, al supermercato o a scuola. Nel senso che l’addetto alle pulizie della metropolitana, la cassiera del supermercato, l’agente che fa attraversare i bambini sulle strisce pedonali la mattina all’ingresso della scuola sorridono al passeggero, al cliente, al genitore come se facessero parte della stessa comunità, della stessa società. Poi, la sera, alcuni vanno a casa, altri, dopo aver timbrato l’ultimo cartellino, tornano al dormitorio dei poveri.