La vera decrescita sono loro
Perché la crescita si è inceppata? Cherchez la banque. Uno studio recente dell’international labour organization (ilo), agenzia delle nazioni Unite, getta una luce inquietante sugli effetti della finanziarizzazione. È lei la causa principale dei due mali del nostro tempo: peggioramento delle diseguaglianze sociali e rallentamento della crescita. Un filo lega le due patologie, ed è la riduzione della quota di reddito nazionale che va al lavoro. In America, nell’ultimo decennio la parte di reddito destinata ai lavoratori è scesa di ben 12 punti percentuali; il declino è ancora più sostanziale se il paragone viene fatto con il periodo che va dagli anni cinquanta ai Settanta. Di questo calo del reddito da lavoro rispetto alla «torta» complessiva, secondo lo studio dell’ilo il 46 per cento è una conseguenza diretta della finanziarizzazione, il 19 deriva dalla globalizzazione, il 10 dal progresso tecnologico e un buon 25 per cento da «fattori istituzionali» (leggi: politiche fiscali e di bilancio).
La riduzione del reddito da lavoro sul totale nazionale rallenta considerevolmente la crescita, perché le toglie il suo carburante principale: il consumo dei lavoratori e del ceto medio, che è legato al loro potere d’acquisto. La finanziarizzazione, in quanto arricchisce lo 0,1 per cento della popolazione, genera una piramide distributiva molto inefficiente. Gli effetti della distribuzione sul dinamismo economico sono noti da tempo. Nelle società feudali o sotto il regno di luigi Xiv, la spesa voluttuaria e lussuosa delle élite non bastava come volano di crescita perché la platea dei consumatori era troppo ristretta. Quando Henry Ford, all’inizio del novecento, decise di raddoppiare i salari dei suoi operai perché potessero comprare il modello t, fece un’operazione non di tipo «socialista» ma semplicemente lungimirante: allargò il mercato di sbocco dei propri prodotti.
Il crescendo della finanziarizzazione è implacabile: il settore bancario e dei servizi finanziari rappresentava il 2,8 per cento del PIL americano nel 1950, salì al 4,9 nel 1980, per superare l’8 ai nostri tempi. Si è più che triplicato. Inoltre, fino agli anni ottanta gli stipendi medi nel settore della finanza erano in linea con quelli delle altre industrie americane.
Da allora sono schizzati verso la stratosfera: oggi chi lavora nella finanza guadagna il 70 per cento in più degli altri, a parità di livello. Con effetti negativi «a cascata». Özgür Orhangazi, economista della Roosevelt University, ha dimostrato che più si sviluppa la finanziarizzazione, meno si investe nell’economia reale. È forse un caso in cui la scienza economica non fa che convalidare il buonsenso comune.
Accade sempre più spesso che in dotte analisi pubblicate su riviste scientifiche il mondo bancario venga etichettato con termini come «rendita parassitaria», «sanguisuga che sottrae risorse all’economia». Lo sapevamo intuitivamente, fa piacere averne la conferma accademica.