Bolle e diseguaglianze
La politica eccezionale dello stampar moneta, se ha avuto degli effetti parzialmente benefici nel trainare l’America fuori dalla recessione, ha anche due controindicazioni. La prima è il rischio di una nuova bolla speculativa (a cui seguirebbe un futuro crac); la seconda, meno apparente, è un’ulteriore spinta alle diseguaglianze sociali.
Il programma di acquisti di bond che la FED ha effettuato fino alla fine del 2013 al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese non è rimasto tutto «dentro» i confini degli Stati Uniti.
I mercati dei capitali sono aperti, gli investitori di Wall Street hanno ampia scelta di diversificare in tutti i paesi del mondo. La liquidità è stata investita in Borsa, in «junk bond», i cosiddetti «titoli spazzatura», in valute dei paesi emergenti. Dal Brasile alla Turchia, diverse nazioni emergenti hanno visto salire le loro Borse e la speculazione immobiliare, anche per effetto del «denaro caldo» che affluiva dall’America.
L’altro effetto patologico è il peggioramento delle diseguaglianze sociali, già estreme. Questa è la tesi dello studio di Emmanuel Saez, economista all’Università di Berkeley.
Che le diseguaglianze abbiano continuato ad allargarsi anche dopo la crisi del 2008 è una constatazione. Una volta finita la recessione americana, nei primi due anni della ripresa la totalità degli aumenti di reddito è stata catturata dal l’1 per cento dei più ricchi. Alla faccia di Occupy Wall Street, il movimento che rivendicò una lotta contro le disparità e i privilegi. I redditi dell’1 per cento che sta in cima alla piramide sono saliti dell’11,2 per cento in un biennio; quelli del rimanente 99 per cento sono scesi dello 0,4. Le tendenze sono ancora più divaricate se, anziché i redditi, si osservano i patrimoni. Un’analisi del Pew Research Center citata dall’economista Annie Lowrey sul «New York Times» indica che la ricchezza del 7 per cento di famiglie più abbienti si è rivalutata del 28 per cento nel primo biennio post-recessione, mentre quella del rimanente 93 per cento è scesa del 4.
Ma che cosa c’entra la FED? È qui che interviene l’analisi di Saez, che dimostra gli effetti redistributivi «all’incontrario» della creazione di liquidità. La pompa della liquidità di Bernanke ha alimentato lunghi rialzi delle Borse dopo il 2009. Un rialzo di Borsa beneficia in modo sproporzionato i più ricchi, per la semplice ragione che il 10 per cento delle famiglie americane più abbienti possiede l’81 per cento delle azioni quotate. Lo stesso vale per la ripresa del mercato immobiliare. Anche in quest’ambito la politica della FED è stata decisiva. Dei bond acquistati sui mercati, quasi la metà (40 miliardi di dollari al mese) sono serviti per comprare obbligazioni emesse da istituti di credito fondiario che concedono mutui. Anche in questo settore sono i ricchi ad aver tratto i maggiori benefici dalla ripresa, perché sono loro a guadagnare di più dal nuovo boom immobiliare. E questo non è vero solo in America. La banca centrale inglese, in un recente studio sugli effetti distributivi della propria azione, ha ammesso di avere funzionato come un Robin Hood alla rovescia.
«La prossima crisi potrebbe essere peggiore dell’ultima. Si continuano ad accumulare rischi, da parte di soggetti che non li capiscono» sostiene il matematico libanese Nassim Taleb. Un altro «cigno nero» dietro l’angolo? E magari per colpa di quelli che definiamo «salvatori dell’economia», come Bernanke. Questo monito non viene da una cassandra qualsiasi, ma dall’inventore stesso del cigno nero, metafora della nostra collaudata incapacità nel prevedere disastri.
Più grandi sono, più inverosimili appaiono, e più sfuggono ai nostri schermi radar. L’importanza del Cigno nero, il saggio di Taleb (pubblicato in Italia dal Saggiatore), sta nella sua originalità. Un anno prima del crac di Lehman Brothers, nel 2007, spiegò che eventi immani e quasi impossibili, con una probabilità statistica minima, accadono eccome. Non è stupefacente che dopo tanti cigni bianchi (quelli che consideriamo «normali») ne appaia uno nero. La vera anomalia è che noi ci ostiniamo a voler prevedere questi fenomeni, nonostante il ripetuto fallimento degli esperti in previsioni.
L’autore del Cigno nero, che divenne un classico nel dopo-2008, aveva incluso la finanza tra i suoi bersagli: «l’ecosistema bancario si sta gonfiando di banche gigantesche, incestuose, burocratiche: se ne fallisce una, cascano tutte». Non a caso: nella sua biografia, oltre a un’avanzata formazione matematica, c’è un’esperienza di trader in grandi banche come Credit Suisse e BNP Paribas.
Oggi Taleb insegna a Oxford e al politecnico della New York University. Secondo lui, attualmente il mondo è in condizioni ancora peggiori che nel 2008, e proprio a causa dell’azione dei super Banchieri. «tutta la politica monetaria che ha generato immensa liquidità come risposta all’ultima crisi» mi dice «gonfia il PIL artificialmente, rende i ricchi ancora più ricchi, mentre non ha migliorato la condizione della maggioranza dei cittadini. I grandi attori della finanza oggi rischiano ancora meno in proprio, non si mettono in gioco con la propria pelle. In quanto a Bernanke, fu complice del suo predecessore Alan Greenspan quando teorizzava la capacità dei liberi mercati di autostabilizzarsi. In un sistema che voglia difendersi dagli shock futuri, questi cattivi guidatori avrebbero perso la patente. Invece sono tutti in uno stato di rimozione psicologica, rifiutano di vedere che la crisi può avvenire di nuovo.»