23.40 Ospedale Le Molinette

L’orario di visita era finito da parecchio, non si poteva più entrare. Davanti alla guardiola sfilavano i parenti in uscita; il sorvegliante guardava distratto, ancora venti minuti e sarebbe smontato di servizio. Una donna con una busta si piazzò davanti alla guardiola e mostrò un tesserino, alle sue spalle un poliziotto in divisa toccò la visiera del berretto e sgusciò di profilo senza degnare di uno sguardo i due.

Il poliziotto si mescolò al flusso che procedeva in senso contrario, nella confusione tolse il berretto, si appartò in una zona poco illuminata, aspettò che la donna lo raggiungesse e si fece consegnare la busta di plastica.

Migliorino tolse la camicia della divisa, indossò il giubbotto di pelle, fece una palla degli abiti da poliziotto, li infilò nella busta e consegnò il fagotto alla donna. Si mise in movimento e superò gli ostacoli che davano accesso ai reparti badando di schivare le telecamere di sicurezza.

Percorse il labirinto che portava ai piani e salì fino a raggiungere Chirurgia Generale. La serata era tranquilla e la maggior parte dei pazienti era nel proprio letto. Le luci del servizio notturno davano all’ambiente una suggestione onirica, morbida e allo stesso tempo irreale. Ogni tanto un infermiere usciva dal gabinetto medico e dava un’occhiata.

Migliorino stava per aprire la porta principale per accedere alle stanze quando il telefonino vibrò. Era Calabresi.

«Dove sei?»

«A venti metri da te. Sto per entrare» rispose Migliorino.

«Aspetta. Problemi in vista.»

«Cioè?»

«L’infermiere è sparito.»

«Meglio.»

«No, c’è qualcosa che non va.»

«Una trappola?»

«Non ti muovere di lì.» Attaccò.

Migliorino imprecò.

«Calabresi?!»

Vivacqua guidava senza fretta. Si guardava intorno, cambiava le marce, ascoltava il respiro del motore e se la godeva. La radio di bordo frusciava in sottofondo; ogni tanto la voce dell’operatore si intercalava con le pattuglie in servizio, e poi i beep. C’era un discreto traffico, ma guidare lo faceva stare bene. Fosse tornato indietro nel tempo, avrebbe fatto tutti i passi che lo avevano portato a essere uno dei poliziotti più considerati nella PS, a partire dagli innumerevoli turni di notte.

Grande scuola la notte, con i suoi odori, i colori, la sua gente stralunata. Adesso, quella magia fatta di buio e adrenalina capitava di rado: era il prezzo della carriera. Il questore diceva che chi comanda non deve stare in prima linea: finisce con il perdere la lucidità indispensabile per guidare gli uomini.

A modo suo aveva ragione, eppure se non stai in prima linea non sai quando un’operazione è rischiosa ma si può affrontare, a differenza di situazioni che sembrano buone solo da dietro una scrivania. Se ci fosse stato lui al People, l’altra notte, tutto quel casino non sarebbe successo.

Sogghignò.

Forse sarebbe andata peggio.

Il commissario imboccò corso Unione Sovietica e il traffico diminuì.

La verità era semplicissima: i ragazzi erano capitati nel posto giusto al momento sbagliato. Migliorino aveva fiutato la necessità di muoversi rapidamente e anche il pericolo, infatti aveva lasciato fuori Patanè, che serviva come ultimo rinforzo e come osservatore per evitare che qualcuno sgattaiolasse da un’uscita secondaria, ma aveva calcolato male i rischi. Quello che non tornava, invece, era la reazione della banda: perché pestare due sbirri in servizio con tutti i rischi collaterali? Per difendere quella mezza tacca di albanese? Picciotti di quella forza la malavita ne ha quanti ne vuole, non si caccia nei guai per difenderli.

Vivacqua assentì.

A pensarci bene, per essere dei professionisti si erano comportati da autentici dilettanti: gente del mestiere avrebbe lasciato che i poliziotti facessero il giretto nel locale, gli avrebbe offerto una ragazza, una bottiglia, tutto, pur di non sollevare un vespaio. Certi affari hanno bisogno di silenzio, non di risse.

Allora, perché tutto quel casino?

Vivacqua si abbassò per controllare il numero civico.

C’erano mille risposte e una le riassumeva tutte: i ragazzi stavano per mettere le mani su qualcosa di grosso e la banda non lo poteva permettere. Scoprire a cosa montavano di guardia, purtroppo, non era più nelle sue mani.

Vivacqua riconobbe il portone dello stabile dove alloggiava Migliorino. Posteggiò, fece per scendere quando riconobbe la donna che arrivava a piedi.

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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