20.20 Villa Capitano

Il maxi televisore stava acceso senza volume. Sullo schermo due tennisti scivolavano sulla terra rossa. Luca Chiesa sedeva quasi in punta al divano. Guardò l’orologio: era tardi per andare a cercare compagnia. Prese il cellulare e scorse la rubrica a caccia di una buona idea. Alla peggio poteva andare al Circolo, ma per la verità, la voglia di far nulla era maggiore della somma di tutte le noie. Quindi: a monte.

Alla televisione uno dei tennisti sparò il rovescio sulla rete.

«Giù le gambe, coglione.»

Dall’altra parte del salone la domestica si avvicinò a passo svelto.

«Signor Luca si ferma per la cena?» cinguettò.

«Eugenio?»

«È di sopra dalla signora, scenderà a momenti, ha chiesto di lei.»

«Cosa si mangia?»

Margherita in un attimo descrisse il menù, fece dietrofront e si allontanò.

«Vaffanculo.» Spense il televisore e si avviò verso la sala da pranzo proprio nel momento in cui Tony si avvicinava.

«Signor Luca, se non ha nulla in contrario darei una lavata alla Land Rover. Se deve uscire può prendere l’altra.»

Luca lo allontanò con un gesto.

Tony era il secondo dei domestici fissi, anzi, il primo per anzianità: già il padre faceva il tuttofare per i genitori di Afdera a Venezia.

Margherita Santon invece era un acquisto recente, assunta tre anni prima, quando ancora stavano a Pinerolo; a modo suo era di aspetto gradevole, un po’ rotondetta ma interessante, abbastanza alta, portava bene i suoi quarant’anni.

La sala da pranzo era apparecchiata in modo formale, tovaglia, sottopiatto, caraffa per l’acqua, per il vino, portatovaglioli d’argento… Luca trovava nauseante tutta quella teoria da nobiltà decaduta. Si accomodò nel momento in cui il cognato, Eugenio Capitano, entrò con la sua andatura dondolante, l’eterna sigaretta in bocca. Eugenio era il fratello minore di Afdera, trentacinque anni, sopravvissuto alla meningite infantile, tarchiato, con la testa più grossa del normale.

«Daffy ti manda un bacio» disse untuoso.

«Ricambia.»

«Senti Luca, perché non sali, a lei farebbe piacere.»

«Lo farò.»

«Questa sera?»

«Non rompere.»

Margherita entrò con il carrello di servizio; senza dire una parola dispose sul tavolo le portate, versò il vino e quando le sembrò tutto a posto prelevò il vassoio, ci mise due piatti e si mosse verso il piano superiore.

La cena di Afdera.

Sempre lo stesso teatrino, due tre quattro, mille volte al giorno: il devoto Tony o la prosperosa Margherita su e giù dalle scale, pronti a esaudire ogni capriccio.

«Sai, si sta aggravando.»

Luca scansò il piatto.

«Hai qualcosa di interessante da dirmi?»

«Oh, non parliamo mai noi due.»

«Non vedo perché dovremmo. Cos’è quella faccia?» Eugenio iniziò a torcersi le dita. «Hai l’aria di chi sta per combinarne una. Delle volte mi pento di essere stato generoso. Accade sempre più spesso. E mi vengono in mente immagini negative, definitive, capisci cosa voglio dire?»

«Sì, ma non voglio andare in istituto.»

«Quello che vuoi conta talmente poco che non è misurabile: decido io cosa si deve fare, cosa non si deve fare e se mi sta bene. Che sia chiaro: se mi accorgo di aver commesso degli errori, se non sai mantenere la parola, ci metto un secondo a risolvere il problema, non fartelo ripetere.»

«Ho fatto il bravo. Pensavo che, cioè, Afdera è preoccupata per il futuro. Sai, se succedesse qualcosa, lei è…»

«So cos’è mia moglie.»

«Tua moglie, sì, insomma, mia sorella, pensa che forse tu vorresti tornare libero.»

«Quindi?»

«Lo vorresti?»

«Qual è il punto?»

Tony iniziò ad aggirarsi nella zona e Luca ebbe un gesto di stizza.

«Tony, stiamo parlando, ti dispiace?» fece sgarbato.

«Sei arrabbiato?»

«Mi stai annoiando.»

«Se tu fossi libero, potresti avere le tue cose, la tua intimità, frequentare chi vuoi, portarti a casa chi vuoi senza nasconderti.»

«Continui a non venire al punto, che cosa vuoi?»

«Se Daffy morisse?» sparò d’un fiato.

«Ah, vuoi sapere che fine faresti tu, se ti manderei in un istituto o qualcosa del genere. Sei preoccupato per te» sorrise. «Non c’entra un cazzo Afdera, è a te che brucia il culo.»

Eugenio distolse lo sguardo.

«Accetteresti il divorzio?»

«Ehi Quasimodo, mi credi scemo?»

«Noi potremmo farti una proposta molto interessante.»

«Voi chi?» Luca si alzò minaccioso, «Tu non puoi offrirmi niente che io già non abbia. E ti dico un’altra cosa: domani prenderò informazioni per decidere sul tuo futuro, mi sono stancato di questa situazione» fece schioccare le dita. «Alla prima, ti spedisco a mille chilometri da qui e sparisci da questa casa.»

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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