10.50 Squadra Omicidi

La porta del commissario capo era chiusa. Nei corridoi e negli uffici l’aria era carica di tensione. Facce scure, nervi a fior di pelle. Nessuno alla macchina del caffè, sigarette spente, centralino e telefoni roventi di chiamate dei giornalisti.

Dagli uffici della questura erano filtrate indiscrezioni preoccupanti: parlavano di indagini interne a carico dell’Investigativa, di Vivacqua sotto accusa, di denunce pesanti a carico dei colleghi feriti. Gli avvocati del People si erano mossi come avvoltoi; girava voce che avessero fornito un video nel quale erano inquadrati Migliorino e Calabresi al momento dell’ingresso nel club con immagini eloquenti. C’era anche la denuncia di un certo Mauro Bello, detto Beauty, difeso dagli avvocati del club, che affermava di essere stato aggredito dai tre poliziotti nel corso di un precedente incontro la sera stessa. Bello sosteneva di essere stato picchiato e di essersi rifugiato dai suoi conoscenti al People per essere condotto in ospedale. Diceva che i tre poliziotti lo avevano seguito ed era scattata la rissa nel locale perché i suoi amici si erano rifiutati di consegnarlo. C’erano molti testimoni. Inoltre, Migliorino e Calabresi avevano usato le maniere forti per prendere Beauty prima che fosse condotto in ospedale, allo scopo di evitare la denuncia; così avevano pestato il personale di sicurezza del club. Infine, l’agente Patanè aveva minacciato con le armi gli addetti che tentavano di fuggire per sottrarsi alla sparatoria e, nel parapiglia, era volata una coltellata per legittima difesa.

Giravano voci sulla sospensione dal servizio dei colleghi.

Gargiulo era rientrato dalle Molinette affranto: tutto in un colpo era tornato l’incubo di quando la coltellata l’aveva presa lui, dieci anni prima, in un ufficio postale: una settimana tra la vita e la morte, più due mesi di convalescenza. Non si era mai ripreso del tutto.

Vivacqua stava a occhi chiusi, con i piedi sulla scrivania, senza giacca, l’ascellare buttata sul tavolino del telefono; le maniche della camicia arrotolate sui gomiti, un fazzoletto di carta aperto sulla faccia.

Santandrea dall’altra parte del tavolo stava seduto per un attimo, poi si alzava, andava alla finestra, sacramentava sottovoce e tornava a sedersi.

«Se ti alzi ancora una volta ti sparo» bofonchiò il commissario.

«Ma che bella idea, anzi, perché non mettiamo una fila di lattine e facciamo un po’ di tirassegno in ufficio, cinque colpi a testa. Così, per vedere se alla fine chiamano la neuro e ci portano tutt’e due al trattamento psichiatrico obbligatorio.»

«Calmati.»

«Ma come fai a non tirare un cristo, a non pigliare a calci in culo un coglione di avvocato che s’inventa una versione dei fatti completamente rovesciata. E quell’altro infame di Beauty?»

«Non aveva scelta.»

«Totò, hai deciso di far rincoglionire anche me?»

«Beauty si è fottuto con le sue mani. Prima ha dato a Migliorino la dritta, poi è andato a dire a quelli del People che stava arrivando la polizia, magari ha pure chiesto soldi, o una dose. Questi non se la sono bevuta e gliel’hanno data, la dose.»

«Sì, di schiaffoni.»

«A questo punto per restare vivo aveva una sola possibilità: accettare la proposta degli avvocati e denunciare i nostri.» Tolse il fazzoletto dalla faccia e si ricompose.

«Il Doge è stato pure ad ascoltare. E il prefetto? Indagine interna, provvedimenti disciplinari, lo hai sentito, c’eri anche tu.»

«Balle.»

«Ma come fai a essere così calmo?»

«Non sono per niente calmo. Abbiamo due casi aperti e tre collaboratori in meno, uno grave. Un picciotto di ventisette anni che non si sa come ne esce, se ne esce. E per quanto mi riguarda, siamo almeno in due a pregare che se la cavi: io e il buttafuori che l’ha accoltellato alle spalle, perché se gira male vado a prendere questo figlio di grandissima buttana e ti garantisco che quel giorno termina la mia carriera di poliziotto» disse con un tono talmente pacato che Santandrea sentì il sangue gelare. «Non sono calmo: voglio chiudere questa storia e riportare a casa i ragazzi con le scuse ufficiali di tutti i paraculi, prefetto in testa, dovessi mettere il creapopoli sulla brace. Spero che con la Petrini tu sia a buon punto: mi serve una mano sull’omicidio di don Riccardo.»

Il telefono squillò.

Vivacqua prese la linea.

«Esposito: ti ho detto niente chiamate, sei sordo?»

«È il prefetto.»

«Digli che sono al bar per il torneo di scala quaranta.» Attaccò. «Facciamo il punto» proseguì rivolto al vice.

«Per adesso l’indagine su don Riccardo resta a noi. Massaglia e qualcun altro della Mobile si occuperanno del People: interrogatori, testimonianze, rilievi eccetera, noi non ci mettiamo le mani fino a ispezione conclusa. Non ti fa girare le palle?»

«Vai avanti.» Vivacqua prese a trafficare con lo scatolone della corrispondenza di don Riccardo: tirava fuori un biglietto e lo posava per prenderne un altro.

«La ricerca dell’albanese resta nel nostro campo in quanto soggetto indiziato per l’omicidio. Secondo me, il bastardo è tornato al suo paese per raffreddare le chiappe. Migliorino lo hanno ricucito, se non lo sospendono resta fuori gioco per una decina di giorni; stesso discorso per Calabresi; di Patanè sai tutto. Restano in avanzamento i guai soliti, più il caso Petrini e don Riccardo; mi hai seguito?»

«Due siamesi!»

Meloni entrò in punta di piedi per lasciare una busta a Vivacqua e una a Santandrea.

«Che roba è?»

«Dal laboratorio, dottore.»

Santandrea riprese.

«Veniamo alla Petrini. Mi hai detto di girarla sottosopra. Vuoi il quadretto?»

«Un assaggio: se vedi che chiudo gli occhi passa ad altro.»

«Viene da una famiglia veneta, è rimasta orfana molto giovane; i genitori sono morti in un incidente aereo durante un volo privato in Libia. È figlia unica, eredita i beni di famiglia, decisamente notevoli, e cresce nei collegi più costosi d’Europa, in Austria e in Svizzera. Si è occupato di lei il tutore del Tribunale dei minori di Venezia. Studia musica, si diploma al conservatorio di Salisburgo. Debutta come concertista all’età di quattordici anni per smettere prima dei venti. Pare soffrisse di panico…»

Vivacqua, che non aveva smesso di trafficare nella corrispondenza di don Riccardo, alzò lo sguardo e fece il segno della forbice.

«Okay, tagliamo. Divorziata da dieci anni, vive di rendita, dà lezioni di viola ad altissimo livello e spesso non si fa pagare. Trascorre lunghi periodi nelle sue case, specie a Montecarlo. Nasconde un vizietto. Dai un’occhiata, le abbiamo trovate nella cassetta di sicurezza in banca.»

Santandrea sparpagliò le fotografie sulla scrivania.

«Alla faccia del vizietto» esclamò Vivacqua. Ne guardò alcune da vicino. «Cos’è, un’esibizionista, feticista, scambista?»

«Un bel mix di tutto quello che hai detto. Il tipo che ho definito fidanzato, ovvero il maestro Giardini, è forse il compagno di giochi preferito, ma ce ne sono altri che frequenta con una certa regolarità. Tra questi, a Torino, c’è una coppia: lui è un soggetto abbastanza particolare, si chiama Claudio Tagliavento, fa il notaio. Nelle fotografie della Petrini è il più presente.» Santandrea spulciò nel plico. «È questo con le borchie e i piercing. Non ti dico quanto è diverso di persona in abiti borghesi. Sposato con Vittoria Sale, anche lei professionista. Ho fatto al notaio le stesse domande che a Giardini, e per poco non gli viene un colpo.»

«La moglie l’hai vista?»

«È questa con la mascherina.» Santandrea la prese dalle fotografie. «Abbastanza ordinaria, se confrontata con la Petrini. Comunque non era in casa: è a un congresso da sabato scorso, a Monaco. Ovvero, non era in Italia all’epoca dell’omicidio. E lui non ha alibi. Dice di essere andato allo studio domenica per sbrigare del lavoro arretrato.»

«Non lo ha visto nessuno? Un portinaio, un vicino, un cane morto?»

«Nessuno. E sai dove ha lo studio?»

«Come faccio a saperlo?»

«Due portoni più avanti della nostra Jolanda Petrini.»

Vivacqua si grattò la testa.

«Risulta passato dall’amica il giorno fatidico?»

«Devo controllare.»

«Sei in un bosco. Non puoi dimostrare una fava, caro Sergio. Va bene, la vittima si divertiva un mondo a mosca cieca con pochi vestiti addosso. Non è un reato. Aveva amici con una morale equivalente e tutti insieme giocavano con la macchina fotografica a mostrare quanto sono scemi: anche questo non sarebbe un reato. Vieni al punto.»

«Il punto è che il nostro dottor Alberto Francia è solo un giocattolo occasionale.»

Vivacqua mise da parte biglietti e bigliettini per scrivere un paio di appunti.

«Si dà il caso che il nostro dottor Francia sia l’unico presente nei minuti dell’uccisione. Lo abbiamo accertato. Quindi, le congetture sui molti amanti te le puoi ficcare tra le tombe etrusche e il monte Fumaiolo, caro vicecommissario. A meno che tu non riesca a dimostrare che una o più persone sono entrate nell’appartamento subito dopo l’uscita del beneamato dottor Francia. Volevi dire altro?»

«Ho dei dubbi.»

«Fatteli passare.» Vivacqua aprì il plico appena arrivato dal laboratorio. Esami eseguiti sulla sbarra trovata in chiesa. Il commissario percorse con la testa il dattiloscritto senza badare ai tecnicismi per giungere all’esito: Riscontro negativo. Nessuna impronta rilevata. «Come immaginavo. Questo caso mi farà incazzare moltissimo, lo sento.»

«Almeno tu l’esito lo hai ricevuto. Io sto ancora aspettando. Qui c’è solo il referto autoptico.»

«Cosa dice?»

Santandrea scorse rapidamente il rapporto.

«Più o meno quello che sapevamo: niente lesioni da aggressione, nessuna ferita da difesa, nessuna traccia sotto le unghie e avanti fino alle cause della morte: osso ioide spezzato. Tracce di rapporto sessuale completo e consensuale, ora del decesso confermata. Analisi del DNA a seguire» piegò i fogli e li rimise nella busta.

Vivacqua pensò al referto, scrisse una nota e dopo un po’ scosse la testa.

«Ci sarebbe qualche domanda in sospeso» disse.

«Per esempio?»

«Be’, considerati i gusti della signora, tra le cause della morte si potrebbe pensare a certe pratiche, hai presente?»

«Sapevo che ci saresti arrivato» fece un breve applauso.

«Un po’ di rispetto giovanotto.»

«Si chiama asfissiofilia.»

«Chiamala come vuoi, parlo del soffocamento.»

«E magari hai pensato che forse le cose non sono andate come sembra» insinuò Santandrea.

«Magari. Ma bisognerebbe immaginare che l’assassino, dopo l’atto sessuale, abbia rivestito la donna, l’abbia trasportata, cosa che non mi pare sia…» Vivacqua riconobbe all’istante la stupidaggine; si dette uno schiaffo sulla fronte, e Santandrea ridacchiò. «Chi ha detto che per fare certe cose bisogna essere senza vestiti e in camera da letto?»

«Mi sa che siamo troppo convenzionali per entrare nella parte. Ad ogni modo le analisi sull’abbigliamento per ora non le abbiamo; se l’idea è buona qualche traccia deve esserci. E adesso capisci i miei dubbi.»

«Sì, ma non scagionano Francia. In fondo, se l’atto si è consumato alla svelta, il soffocamento potrebbe persino avvalorare le accuse: il dottore ha poco tempo, la moglie lo aspetta, la portinaia anche, deve riprendersi il cane. Fanno una cosa veloce, a lei piacciono certe pratiche, lui l’asseconda, le mette le mani alla gola, ma nel marasma calcola male la forza e… la uccide. O qualcosa del genere.»

«Non mi hai tolto il dubbio. Quello se la faceva e basta; forse a lei l’idea di una certa normalità ogni tanto piaceva, le faceva apprezzare le trasgressioni con il club degli smutandati.»

«Resta il fatto che il teatro del delitto ha moltissime probabilità di essere una messa in scena: la rapina è falsa. Quindi, due sono le cose: o non abbiamo capito una cippa, o la questione non si risolve con la logica lineare. C’è qualcosa che sfugge. Non avevamo certi bicchieri con impronte e compagnia bella?» domandò Vivacqua.

«Pare che ci sia qualche difficoltà.»

Vivacqua premette il tasto del centralino.

«Passami la Scientifica, qualcuno del laboratorio» si massaggiò il volto e riprese: «I tabulati?».

«Entro questa sera.»

«Con comodo, non abbiamo fretta. Mi servi libero, finisci questa storia e passa sul caso don Riccardo, anzi, raddoppiamo la formazione; io e te completiamo la storia Petrini, poi, sempre io e te sull’altro caso.»

«Agli ordini.»

«Voglio vedere la casa.»

«Hai le fotografie» fece segno verso il tabellone.

«Devo stare lì dentro.»

Squillò il telefono.

«Dottore, il responsabile non è in sede, le passo Baseggio.»

«Baseggio, non so se hai saputo che siamo una ’nticchia nervosetti: ti chiamo nella speranza di toglierti dalla lista dei cornuti. Domanda facile facile: perché non abbiamo il rapporto sulle impronte dell’omicidio Petrini?»

«Salve Vivacqua. Non le avete perché abbiamo riscontrato degli errori. In questo momento stiamo procedendo con nuove operazioni.»

«Con nuove? Come minchia parli? Che significa nuove operazioni?»

«Facciamo un nuovo prelievo.»

«In altre parole avete fatto casino: complimenti vivissimi. Sei ufficialmente nella lista dei cornuti. Voglio i rapporti domani e, già che ci siete, l’analisi sulla lettera anonima.»

«Non credo che…»

«Vengo a prenderli personalmente» attaccò per tornare al centralino: «Dov’è Carbone?».

«A quest’ora dovrebbe essere in quella chiesa di via Bardonecchia. Lo devo chiamare?»

«Lascia stare» prese la giacca. «Vieni con me» disse a Santandrea.

«Dove andiamo?»

«In cerca di molliche e di un prete che ha perso la tonaca.»

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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