20.00 Appartamento Petrini

Vivacqua chiuse l’ennesima telefonata mentre Santandrea apriva l’appartamento della Petrini.

«Cosa siamo venuti a fare qui?»

«Una gita di piacere, beviamo un amaro e torniamo indietro.»

Vivacqua accese tutte le luci e prese la direzione del salotto nel quale era avvenuto l’omicidio, si guardò intorno, puntò verso il mobile con gli alcolici, lo aprì e restò a guardare: niente bicchieri. Aprì la credenza, osservò con molta attenzione: file e file di bicchieri, infine assentì.

Santandrea non perdeva un movimento. All’inizio guardava corrucciato, alla fine capì.

«Se stai pensando quello che immagino, devo dire due cose: la prima è che mi sembra impossibile, la seconda è che, se ci hai azzeccato, hai sbagliato mestiere, dovevi fare il criminale: a quest’ora saresti ricco sfondato.»

«Che cosa sto pensando di così criminale?»

«In ordine sparso: perché non abbiamo analizzato tutti i bicchieri? Perché quasi tutti i tipi sono in collezione da dodici? Perché, pur avendo bicchieri di miglior qualità, la Petrini ne ha scelto uno piuttosto scadente, che a guardar bene non sarebbe neanche del tipo corretto per un digestivo? Infine: perché di bicchieri come quello sul quale abbiamo trovato le impronte ce ne sono solo sei?»

«Manca una domanda: come facevo a saperlo?»

«Volendo ce ne sarebbe un’altra: scommettiamo che sui quattro bicchieri rimasti scopriamo che non c’è un’impronta a morire?»

«Non scommetto perché lo so, non si troveranno altre impronte» concluse Vivacqua.

«Facciamo finta che sia tutto giusto.»

«È tutto giusto.»

«I bicchieri nella credenza non sono stati analizzati perché non c’era ragione al momento del prelievo» disse Santandrea. «Casomai adesso, ma questo tu lo negheresti. Poi, la Petrini ha il piacere dell’accoglienza, compra set da dodici perché riceve molti ospiti, tuttavia i bicchieri si rompono, e i sei del tipo in questione sono quanto rimasto di una serie che in origine era da dodici. Ah, dimenticavo: la Petrini ha usato un bicchiere da poco per servire il digestivo perché, come avrai notato, è il più vicino da prendere. Come vedi si potrebbero considerare diverse spiegazioni, ma facciamo finta che tu abbia visto bene: come ci sei arrivato?»

«Basta avere in mente il quadro completo. Pensaci: un tale entra, uccide la Petrini mette sottosopra e se ne va. Domanda: come ha fatto a non lasciare impronte da nessuna parte? Il tavolo al quale dovrebbe aver consumato l’amaro è di cristallo: perché non abbiamo trovato nulla?»

«Ha pulito. Del bicchiere se n’è dimenticato.»

«Non diciamo cazzate. La rapina è un falso, su questo avevi ragione: è una simulazione. Anche questo dei bicchieri è un falso, e neanche troppo astuto. Chi ha ucciso voleva incolpare qualcun altro. Si è portato sei bicchieri da casa, uno di questi con l’impronta che abbiamo trovato, e ha confezionato il depistaggio.»

«Ecco perché sugli altri quattro bicchieri non troveremo impronte, saranno stati lucidati.»

«Esatto. A questo punto, dopo aver ucciso la donna, ha messo nella credenza i quattro bicchieri avanzati e il gioco è fatto. Ma quando ha progettato l’omicidio non poteva sapere quanti ne occorrevano per reggere la simulazione e ha immaginato che un totale di sei fosse sufficiente. E poi c’è la prova conclusiva.»

«Che il padrone delle impronte è morto.»

«Al contrario: è vivo e vegeto!»

Santandrea si mise alla guida diretto verso casa Vivacqua. Entrambi restarono in silenzio per alcuni minuti; c’erano ancora molte cose da fare. Il commissario prese il telefono e si fece passare l’ispettore Gargiulo.

«Trovami tutto quello che puoi su Marco Palazzi: voglio sapere anche se sul telefonino della Petrini risulta memorizzato e se ci sono chiamate recenti. Datti una mossa, priorità assoluta, aspetta… guarda se tra gli oggetti sequestrati figura una rubrica e dai un’occhiata se compare quel nome.»

«Allora, Francia e il notaio sono innocenti» considerò Santandrea.

«Di certo abbiamo raccolto molliche avvelenate e forse, con un po’ più di attenzione, adesso non ci troveremmo nei guai: ci siamo fatti portare a spasso come dei pupi. Comunque, quei due devono dare più di una spiegazione, e non possiamo escludere che la sceneggiata l’abbiano messa in piedi proprio loro, ma questo lo scopriremo in serata, non credi?»

«Non lo so, perché…»

«Manca il movente» anticipò Vivacqua. «L’idea del ricatto non sarebbe male, ma è deboluccia. A che punto sei con il resto del lavoro?»

Santandrea piegò la testa da un lato e dall’altro per scrocchiare le cervicali. Sembrava un giraffone esausto.

«Fammi fare mente locale. Non ho buone carte da mettere in tavola. Abbiamo terminato di vedere i personaggi del club degli smutandati. Fanno parte del giro una decina di componenti, più o meno presenti nelle fotografie a nostra disposizione. Una coppia di commercialisti milanesi, una della provincia di Torino e una coppia di Pavia; questi ultimi sono musicisti, professori d’orchestra. Hanno tutti un alibi abbastanza credibile. Entro domani dovremmo finire i controlli. Ne mancherebbero un paio che stiamo cercando. Quelli di Milano sono tra i partecipanti della prima ora, gente sulla quarantina; dicono che il nucleo vero e proprio fosse composto da Jolanda, che era un po’ il riferimento del gruppo, Giardini e il notaio con la moglie. Secondo loro il notaio era innamorato di Jolanda e spesso c’erano piccole discussioni tra lui e la moglie, ma naturalmente non credono che la cosa sia degenerata tanto da passare all’omicidio. Hanno fatto riferimento a un altro soggetto che qualche tempo fa è stato messo ai margini, un tale di Montecarlo che ha lasciato la moglie a causa del gruppo. Aveva avuto una piccola passione per Vittoria, la moglie del notaio. Anche in questo caso niente liti o situazioni limite. Pensi sia il caso di vederlo?»

«Mmm, sa di perdita di tempo, lo teniamo di riserva. Altro?»

Santandrea si fermò al semaforo davanti allo Stadio Olimpico. Sbadigliò e riprese.

«Gargiulo ha terminato con i tabulati telefonici della Petrini. Direi che non aiutano molto. Le telefonate ricevute sono di gente ordinaria: una è di Giardini, l’altra, partita da un numero fisso alle 14.45, è del notaio. Le telefonate fatte dalla Petrini sono state controllate e non hanno nessun interesse per le indagini.»

«Secondo te cosa voleva il notaio?»

«Forse solo il permesso di passare per un saluto, oppure, come hai immaginato, una conferma per il triangolo amoroso con Francia.»

«Mmm.»

Santandrea fermò la macchina in piazza Santa Rita.

«Occhi spalancati su questo Marco Palazzi, forse è necessario più di un controllo.»

«Me l’ero già appuntato.»

«I lavori su don Riccardo?»

«Totò, che faina quando ti ci metti, fammi respirare! Non sei stanco? Vai da Assunta, mangia qualcosa, lasciami fare una doccia e prendere un panino; quando ci vediamo ti dico, va bene?»

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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