22.30 Casa Vivacqua

«Pasta con le vongole e pomodori Pachino, la ricetta me l’hai data» scriveva Antonella, fidanzata del Giraffone. «Poi, sarde a beccafico. Quella dei peperoni aglio e mentuccia l’ho provata, però non mi vengono come i tuoi» digrignò i denti. «Hai presente?»

«Ma i semi li togli?»

«Non mi pare.»

«I peperoni li spelli?»

«Veramente, Assu’, ci vuole una pazienza da santi.»

«Quale pazienza, li tiri fuori dal forno e li chiudi in un sacchetto, qualche minuto e si aprono da soli, è facilissimo.»

Assunta si voltò e iniziò a portare in tavola le cassatine.

«Ci vorrebbe un Passito, o uno Zibibbo bello fresco, vero Totò? Ma non ci crederete, oggi i negozi di Torino non ne tenevano nemmeno un bicchiere, ma tutta la città proprio.»

«Sono meravigliato pure io. I casi della vita» rispose Vivacqua, impegnato a mandare occhiate in tralice alla figlia Grazia e tenere sulla sedia, tra le gambe, Tommy, che quando sentiva odore di dolciumi pretendeva di stare a tavola.

«I casi della vita, eh?» sorrise Assunta.

«Piuttosto, ’sto mostro per forza qui deve stare?» protestò Vivacqua. Tommy si sentì chiamato in causa e lanciò una slinguazzata a tradimento che fece ridere tutti.

«Vuole solo te. Non sta in braccio a nessuno. È un amore da cani» disse Grazia.

Il commissario sparò l’ennesima occhiataccia che la moglie intercettò.

«Checcè Totò.»

«Ce l’ha con me per oggi» sospirò Grazia.

Tutti si concentrarono su Vivacqua.

«E certo, siccome sono impazzito, non ci sono ragioni.»

«Ti ho visto, non credere, se non fossi andato via, te lo avrei presentato.»

«Chi, Alessandro?» intervenne Assunta.

«Sì.»

«E perché ti sei arrabbiato?» domandò.

Sergio, Antonella e Tommy si godevano la scenetta, voltavano la testa di qua e di là come in una partita di tennis.

«Chiedilo a tua figlia.»

«Per un bacio.»

«Uuuh, Totò, come sei vecchio, anzi: antico. Perché ai tuoi tempi non andavi a baciare le fimmine?»

«Non per strada.»

«Nun c’è sabbatu sinza suli, nun c’è fimmina sinza amuri» sentenziò Assunta.

«Le sapete tutte voi due.»

Tommy uggiolò. Detestava i battibecchi.

«Pensa se Fabrizio tornasse a casa come si usa oggi, con un braccio tatuato: un bel teschio nero sull’avambraccio» fece Antonella.

«Glielo tolgo con il ferro da stiro.»

Tutti scoppiarono a ridere.

Vivacqua cercava un cavatappi e girava con gli occhi sulla tavola.

«Amore antico: ce l’hai sotto il naso» ridacchiò Assunta.

«Le cose più evidenti a volte sembrano invisibili.»

Brindisi, auguri di buon compleanno, il coro per Antonella, baci.

I due uomini sul terrazzo.

Serata agli sgoccioli.

«Il Doge?» domandò Santandrea.

«Hai presente quando non ti guarda in faccia, parla in dialetto, sfoglia i libri sulla Repubblica di Venezia?»

«Eccome: tre Renier alla guida del Maggior Consiglio, il Bucintoro…»

«Oggi ce l’aveva con Manin: era un culattone infingardo, Napoleone un ciuccio in politica e visione prospettica, tanto che a Waterloo quattro gocce d’acqua gliel’hanno messa nel culo a lui e ai cannoni che si era portato. Una pippa di quasi due ore.»

«Alla fine?» domandò Santandrea.

«Le solite: lei deve smettere di stare sulle volanti, deve guidare la squadra non le auto, il concetto della delega, due delitti sui giornali e il prefetto sotto pressione, smetta di strapazzare chiunque le capiti davanti.»

«Cioè?»

«Ho dato una scrollata al vescovo.»

«Monsignor Acutis?»

«Quel cornuto si è lamentato con il prefetto. Invece voi con la Petrini?»

«Qualche progresso, piccolo. Ho una pista, domattina te ne parlo meglio. Tu?»

«Nella merda. Qualche spiraglio puzzolente di perdita di tempo» aspirò dal toscano. «Due casi senza movente, senza indiziati, negli stessi giorni. Come la chiami questa?»

«Sfiga, sennò con un giro di parole, alla tua maniera: la vita è come la camicetta di un neonato: corta e piena di merda!»

«Bravo. Ti nomino questore totale mondiale. A vita.»

Vivacqua spense l’abatjour e Assunta andò a incollarsi alla schiena del marito.

«Bella serata no?» Disse lei.

«Sì.»

«Uhh, come siamo ermetici. Stai pensando al lavoro? Alla tua amatissima squadra?»

«No, niente lavoro. È stata una bella serata. Sergio e Antonella erano contenti. Hai sempre la migliore cucina del quartiere.»

«Del quartiere?»

«E volevi tutta Torino?» Assunta sogghignò. «Piuttosto, potevamo invitare la signora Marangio, no?»

Assunta si sollevò.

«Stavo per dirti che l’ho cercata al telefono stamattina e non c’era. Nel pomeriggio ha chiamato lei, ha ringraziato ma si sentiva stanca.»

«Quella ha la forza di tutti noi messi insieme. Non ha voluto, è fatta così.»

«Ha chiesto di te.»

Vivacqua si voltò.

«Di me?»

«Non avesse la sua età potrei essere gelosa. C’è una cosa speciale tra voi due, si sente, come una corrente, un magnetismo.»

«Che cosa voleva te l’ha detto?»

«No.»

Vivacqua restò in silenzio per un momento.

«Ti ricordi la frase di ieri?»

«Santo cielo, quale frase?»

«Che deve prendere una cosa, importante.»

«È vero; anzi, ha specificato: molto importante. Perché ti riguarda?»

«Non lo so.»

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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