18.30 Villa Capitano

Loredana andava su e giù, con il busto eretto. Luca era voltato a sinistra verso la porta finestra, la guardava saltare con la coda dell’occhio. Oltre i vetri il terrazzo, in basso il cortile che da quella posizione non poteva vedere e, più avanti, la finestra dell’altro lato della villa. Venti metri in linea d’aria.

Luca Chiesa, quarantasei anni, un metro e ottantotto, biondo, appena brizzolato, fisico da ex atleta ancora in forma. Campione regionale di nuoto, eccellente tennista.

Loredana accelerò e i seni presero un ritmo sincopato. Gemello. Plastico. Op, op, op. Sincronizzato con l’ondeggiare dei capelli e i miagolii che cacciava a ogni rimbalzo.

Era noiosa Loredana. Bella femmina, niente da dire, ma anche nel sesso prevedibile come la tabellina del due. Non aveva fantasia, solo salti: op, op, op. Questa era l’ultima volta che se la portava a casa.

Oltre i vetri il tempo era altrettanto noioso, né bello né brutto. Le giornate si erano allungate e la primavera spingeva: era il momento di fare programmi più interessanti. Sull’altro lato della casa, alla finestra opposta, una sagoma si accostò alle tende: Afdera.

Loredana iniziò a soffiare, i miagolii dicevano che mancava poco al capolinea; Luca ricambiò con tepore e fece qualche gorgoglio discreto. Loredana fremette, iniziò a serpeggiare per affondare i colpi; questa era una parte che svolgeva con impegno quasi professionale e dalla gola usciva un vibrato in falsetto quasi felino. Forse un po’ rumoroso.

Ad ogni modo Afdera non avrebbe sentito. Anche se, per la verità, non aveva mai considerato il lato acustico della faccenda. Luca concentrò l’attenzione sulla finestra dall’altro lato del cortile, vide le tende scostarsi e distinse la figura, guardava proprio nella sua direzione. Forse aveva sottovalutato la questione.

Alla prima occasione avrebbe dovuto fare una verifica sulla propagazione del suono.

Magari alzando il volume del televisore. Poi sarebbe andato dall’altra parte ad ascoltare.

Non era una cattiva idea.

Loredana aveva smesso con il colpo di reni per cambiare passo e tornare al galoppo: op, op, op. Adesso era partita la serie di oh. Oooh, oooh. Quasi gli stessi che cacciava quando giocava a tennis: si allungava e oooh.

Afdera, dall’altra parte, restava lì, guardava davanti a sé, verso la sua finestra. Era la prima volta. Cioè, la prima che si accorgeva della presenza. Era inquietante. Non tanto per il voyeurismo, quanto per la fissità. A pensarci bene il voyeurismo si poteva escludere per via delle tende: se stai in una camera a luci spente da fuori non si vede nulla, le tende diventano un muro, o qualcosa del genere.

Dubbio.

Anche su questo serviva una verifica.

«Oooh. Luca.»

Osservò la posizione di Loredana e fissò il punto sul materasso: più o meno a metà, appena oltre. Poteva mettere il televisore a volume alto, un cuscino in piedi, le tende chiuse, poi sarebbe andato sull’altro lato a controllare.

Mmm. Non c’era movimento, un oggetto fermo non rende l’idea. Doveva trovare una soluzione migliore.

Si voltò a controllare la finestra. La moglie era ancora lì.

Loredana rabbrividiva e sibilava. Traguardo in vista.

«Ssss, sssssssìììì.»

Loredana si lasciò dondolare piano, allentò le cosce, si chinò per abbracciare l’uomo e restò impalata finché il respiro tornò regolare.

«E tu? Non ti ho sentito, che c’è? Non ti piaccio più? Eri distratto, guardavi in giro, io vorrei vederti felice. Lo sai come la penso: si vive una volta sola, ognuno ha il diritto di essere felice. Le energie dell’universo hanno lavorato per noi, per fonderci in un unico essere, lo capisci? Abbiamo il dovere di accettare questa opportunità.»

«Dici?»

«Prendi oggi, non avevamo appuntamento al circolo eppure ci siamo incontrati. Così è venuto fuori questo splendido momento. Come la chiami questa, casualità?»

«Non lo so Lory, delle volte mi sento inadeguato, sei così bella, giovane, potresti avere ai tuoi piedi chiunque: la verità è che non sono alla tua altezza, ecco.»

«Oh tesoro. Non le devi pensare queste stupidaggini. L’anagrafe è una convenzione, noi dobbiamo essere superiori a certi luoghi comuni.»

«Non lo so piccola, davvero. Mi sembra di rubarti il tempo, e questo mi fa soffrire. Inoltre, conosci la mia situazione, ho dei doveri e…»

«Dovresti domandarti se è giusto sacrificare la vita per un vincolo ormai scaduto. Spesso penso alle condizioni in cui sei costretto, con i pesi che hai sulle spalle: sei un santo. Io non ce la farei. Sei un bell’uomo, conosci i valori veri, non hai problemi di denaro. Tua moglie capirà, devi solo pensarci con il giusto distacco e io…»

«Sei adorabile. Ma è prematuro, credimi. Hai fatto bene a ricordarmi il tuo punto di vista» si voltò per dare un’occhiata e sgusciò fuori dal letto. «È tardissimo. Scusami. Ti dispiace se chiamo un taxi?»

«Credevo di averti tutta la sera per me.»

«Ho dimenticato un impegno. Ho promesso a mio cognato che questa sera avremmo preso certe decisioni piuttosto importanti. Questioni di famiglia. Scusami.»

«Mi prometti che penserai a quel che ti ho detto? Ci tengo, non voglio perderti.»

«Certo, certo. Ti chiamo appena posso.»

Le molliche del commissario: La prima indagine di Vivacqua
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