23.10 Squadra Omicidi
Vivacqua stava con Santandrea nella saletta interrogatori, il dottor Francia di fronte sembrava un naufrago tratto in salvo, dopo giorni, alla deriva.
«Dottor Francia ricorda cosa le avevo detto a proposito del dilemma del prigioniero? Chi parla per primo è libero. Il secondo è fottuto. Lei arriva tardi, chiarirà la sua posizione in occasioni successive. Deve avere fiducia nella giustizia.»
«Io non ho ucciso Jolanda» disse in un lamento.
«Certamente; deve dirmi altro?» si alzò per uscire dalla stanza.
«Come posso farvi cambiare idea?»
«Provi a essere sincero.» Il commissario si rivolse a Santandrea: «Gliel’hai detto che la Scientifica ha trovato tracce del suo liquido seminale sui vestiti della vittima?».
«Pensavo volessi informarlo tu.»
«Non lo nego, abbiamo fatto l’amore, è stato un momento di rabbia e di eccitazione allo stesso tempo.»
«Dottor Francia, se deve dire cose utili per l’indagine la ascolto, altrimenti abbiamo molte cose da fare.»
«Sto dicendo la verità. Jolanda era infastidita dal comportamento del notaio. Mi aveva confidato che voleva lasciare la città, era stufa del provincialismo torinese. Parlava di un lungo viaggio all’estero, anche un paio d’anni, sarebbe partita entro dieci giorni. Io ero a casa sua, negli ultimi tempi andavo spesso da lei. Quella domenica è arrivato il notaio; Jolanda voleva che ci conoscessimo, ha spiegato le sue decisioni a entrambi, l’altro ha fatto una scenata e poi se n’è andato.»
«A che ora?»
«Non ci ho fatto caso, le quattro, circa. Io e Jolanda siamo rimasti soli, abbiamo fatto l’amore, era l’ultima volta. Poi sono andato dalla portinaia, ho ripreso il cane e sono andato a fare due passi: non avevo voglia di tornare a casa.»
«È in un bel guaio dottore. Perché ha mentito? Perché non ha detto della visita del notaio e che lui è uscito e vi ha lasciato soli?»
Francia sembrava sul punto di vomitare.
«Se vuole glielo dico io» aggiunse Vivacqua. «Sperava che la vicina, che lei conosce tanto bene da sapere che dopo una certa ora va a dormire, avesse visto entrare il notaio. E contava sul fatto che non lo avesse visto uscire. In questo modo sarebbe stato un indiziato molto interessante. Vero?»
Francia assentì tra le lacrime.
«Una mossa meschina, oltre che infantile. Quindi, siamo tornati al punto di partenza: il notaio è innocente e lei… anche. Stai a vedere che questa povera donna si è strozzata da sola. A meno che il colpevole non sia Marco Palazzi, cosa ne dice?»
«Palazzi? Non… non so chi sia. È stato qualcuno arrivato dopo che io sono uscito. Lo giuro. Chiedete a Tagliavento cosa ha fatto più tardi, quando se n’è andato era fuori di sé. Ha aspettato che io uscissi, poi è tornato da lei e l’ha uccisa.»
«Teoria interessante, ma indimostrabile.»
Vivacqua e Santandrea tornarono in ufficio, esausti.
«Come la vedi?» domandò il vice.
«Hanno detto la verità. Se non sapessimo delle impronte sul bicchiere, la teoria di Francia sarebbe interessante» si voltò e premette un numero interno. «Gargiu’, pensi di renderti utile o per avere quattro informazioni in croce dobbiamo telefonare alla Benemerita, amuninni» guardò l’orologio: le 23.55 ovvero sedici ore filate di lavoro. Sbadigliò.
«Direi che non vale la pena tirare la corda con quei due» considerò Santandrea.
«Più che altro non è giusto. Dai l’incarico a Carbone che si metta in contatto con il magistrato, vedi se possiamo ottenere i domiciliari. Aspettiamo notizie su questo Palazzi e vediamo.»
«Sono a pezzi» soffiò Santandrea.
«Io ho un paio di cosette fuori ufficio.»
«Ancora?»
«Ancora.»
L’ispettore Gargiulo entrò con una cartelletta. Aveva la faccia di uno che ha fatto due traslochi nello stesso giorno. Vivacqua lo guardò e sorrise.
«Ecce homo» disse.
«Come dice dottore?»
«Lascia stare; che vuoi?»
«Marco Palazzi» posò un foglio sulla scrivania.
«Tutto qui?»
«Domani arriva il resto.»
«Sempre domani. E le ricerche su don Riccardo?»
Gargiulo allargò le braccia e guardò Santandrea nella speranza di trovare un alleato.
«Dotto’, stiamo facendo miracoli. Palazzi è un caso aperto nelle mani dell’Arma a Pinerolo.»
«Va be’, dimmi cosa abbiamo.»
Gargiulo riprese il foglio e iniziò a leggere.
«Marco Palazzi, nato a Vicenza il 2 agosto del ’72. Professione non definita, benestante.»
«Taglia Gargiu’. Com’è morto e perché il fascicolo è ancora aperto?»
«È deceduto quindici mesi fa nel rogo che ha bruciato il casotto di pesca. Il corpo era carbonizzato, il riconoscimento è avvenuto grazie alle impronte dentarie. Poi…»
Vivacqua sfilò la giacca dalla poltrona e si preparò a uscire.
«… ecco, il caso è aperto perché secondo il rapporto del medico legale il suddetto Palazzi è deceduto per cause non riconducibili all’incendio. La perizia effettuata dai vigili del fuoco avvalora la tesi dell’omicidio in quanto trattasi di incendio doloso. Al momento le indagini non hanno un colpevole e…»
«Va bene Gargiu’, lascia tutto sulla scrivania, domani me lo guardo con calma. Hai altro?»
«Sul telefonino della Petrini e sulla rubrica di casa non figura il nome di questo soggetto. Tra l’altro la rubrica cartacea è molto vecchia, un bel quaderno di quelli grossi con molti nomi; sembra aggiornato perché ci sono scritture recenti.»
Vivacqua lasciò andare una manata sulla coscia.
«Minchia, ma una bella notizia, anche solo per statistica, me la volete dare o no?»