1.45 Pronto soccorso
Rosa Marangio stava parcheggiata sulla sedia a rotelle in attesa di essere dimessa. Sullo zigomo un cerotto, il sopracciglio sinistro gonfio, il braccio e la mano fasciate. Il cappotto strappato all’altezza del ginocchio. Anche la gamba sinistra era fasciata. Fissava il vuoto. Vivacqua a due passi parlava con una dottoressa; quando terminò di ascoltare, si avvicinò all’anziana.
«I medici dicono che, a parte lo spavento, per voi non c’è nulla di grave. Vostro nipote invece dovrà essere operato, ci vorrà qualche giorno ma si risolverà bene.»
Rosa non si voltò, non cambiò espressione.
«Quando ero piccola, al mio paese nessuno voleva avermi vicino. I bambini della mia età non potevano giocare con me. Al mare stavo da sola, anche nei campi o nelle famiglie dove andavo come domestica nessuno mi voleva come compagna. Dicevano che ero strega figlia di strega. Ho impiegato tutta la vita per avere il poco che spetta a chiunque: un po’ di comprensione.»
«Non ci pensate. Ora vi riporto a casa.»
«L’unico che mi ha capita è stato un pescatore con la terza elementare. L’ho sposato e abbiamo avuto nove figli. È morto quasi dieci anni fa.»
«Ho la macchina qui fuori, vi accompagno.»
«Quando ho avuto la comprensione, sono io che ho cominciato a non capire» puntò gli occhi in quelli di Vivacqua. «Se non fossi così vecchia e inutile, potrei dire che questa sera qualcuno voleva uccidermi. E, siccome sono in molti a morire, forse non è una cosa strana. A un certo punto la gente deve andarsene, per fare spazio ad altri» fece no con la testa. «Ma siccome questo mondo non lo capisco, vorrei che qualcuno mi spiegasse.»
«È stato solo un incidente, e voi siete troppo scossa; ci vuole un po’ di riposo.»
Rosa si voltò appena.
«Ci conosciamo?»
Il commissario ebbe un’esitazione.
«Sono Salvatore Vivacqua, il marito di Assunta.»
«Siate gentile, avete visto i miei nipoti?» Un gruppo di persone si avvicinò per abbracciare Rosa Marangio. «È tardi per un uomo con gli occhi tanto stanchi» disse. «Andate signuria, tornate dalla vostra famiglia. Io ho la mia.»