Mattatoio
1
È il dolore a fargli riprendere i sensi.
Lo riporta su dal fondo di un pozzo di oscurità, fra miasmi di vomito e sangue. Ma non c’è nulla di buono ad attenderlo, là fuori. E non c’era stato nulla di buono neppure prima che precipitasse là sotto. Con la coscienza, torna anche la memoria. Frammenti appuntiti, taglienti, un mosaico di cui ancora gli sfugge il disegno complessivo.
L’uomo conosciuto come Wade ricorda, riflette.
La notte prima (ma quanto prima? E poi, sarà finita, la notte?) sono andati in sei a prenderlo. Avevano compatte pistole mitragliatrici HK MP5, munite di torce alogene e puntatori laser. Avevano elmetti e vest in kevlar. Avevano mimetiche senza contrassegni. Avevano visori notturni e laringofoni. Avevano giberne da combattimento da cui pistole, caricatori, pugnali e granate flashbang pendevano come grappoli infetti. Avevano taser da mezzo milione di volt e spray narcotizzanti.
Gente abile, esperta, ben addestrata. Professionisti. Due di loro sono perfino riusciti a sopravvivere. Due di loro sono riusciti a prenderlo.
Quei due si trovano ancora lì, adesso. Fuori dal pozzo. E c’è pure un altro tizio, con addosso un bel completo grigio da qualche migliaio di dollari, che però appare spiegazzato, come se ci avesse dormito dentro. È teso, nervoso, anche se cerca di controllarsi.
Wade capisce che sarà lui, l’Uomo Grigio, a condurre il gioco.
Uno dei due commando si è levato l’armamentario, restando in maglietta. Ha un fisico spigoloso. Anche i lineamenti del volto sono appuntiti. Sembra che l’abbiano scolpito in un blocco di roccia, senza rifinire troppo il lavoro. Sembra persino freddo e solido, come una roccia. La mascella è serrata, lo sguardo fisso in un punto appena sopra gli occhi di Wade. Ti guardo e non ti guardo. Vecchio trucco da interrogatori, per mettere a disagio chi hai di fronte.
Stringe in pugno un manganello telescopico, in fibra di carbonio. L’origine del dolore che ha risvegliato Wade.
Il suo compare indossa ancora la mimetica, completa di tutto. È grande e massiccio. Un armadio pieno di muscoli ottenuti a forza di palestra e steroidi. Rifila a Wade la mediocre imitazione di un sorrisetto da duro.
E Wade capisce, Wade sa che quello è stato in galera. Non sono tanto i maldestri tatuaggi sulle mani a dirglielo. È quella postura, quel modo di prenderti le misure con gli occhi. Quell’incertezza mascherata da una spavalderia da due soldi.
È il marchio della prigione, che ti resta addosso per sempre. A meno che tu non sia come Wade, che è passato attraverso la prigione allo stesso modo in cui è passato attraverso tutte le altre cose della vita. Cambiando il mondo attorno a sé, senza permettere che fosse il mondo a cambiare lui.
Ma nessuno è come Wade. E nessuno vorrebbe mai esserlo. Soprattutto adesso...
Adesso Wade è a torso nudo, su una sedia di metallo. I polsi dietro lo schienale, legati con manette di plastica ad alta resistenza. Così come sono legate le caviglie.
Fa una rapida valutazione dei danni. Spinge sui denti con la lingua: l’arcata superiore destra è allentata. Prende un respiro profondo. Un paio di costole devono essersi incrinate, se non peggio. Sa di avere un sopracciglio spaccato, sa di essere stato preso a pugni e calci. Sebbene abbia solo una visuale limitata del proprio corpo, si immagina pieno di ematomi. Il dolore glielo conferma, quando prova a muoversi.
Wade osserva l’ambiente. Studia il territorio.
Una stanza enorme, con un’unica entrata visibile dalla sua posizione: una spessa porta di metallo, lasciata aperta. Il pavimento è di cemento, attraversato da canalini di scolo e chiazzato di scuro. La sua giacca, la sua camicia, sono lì, buttate a fianco della sedia. C’è anche la fondina ascellare, con la Sig Sauer P228 ancora dentro.
Le pareti sono ricoperte da piastrelle bianche. Sul soffitto corrono rotaie da cui pendono ganci da macellaio. La luce tremolante arriva da tubi al neon. C’è un odore malsano, di sangue e sudore imputriditi. Wade si chiede se sia reale o, almeno in parte, frutto della sua immaginazione.
Su un lungo bancone, addossato a una parete laterale, ci sono una cassetta di metallo per gli attrezzi, una batteria da auto con i cavi attaccati, una mezza dozzina di coltelli infilati in un ceppo. E una pistola sparachiodi.
C’è anche un impianto stereo, con accanto una pila di CD. Wade riesce a leggere alcuni nomi di gruppi, sui dorsi delle custodie. Slayer, Sepultura, Pantera...
Sparare heavy metal nelle orecchie dei prigionieri, per farli impazzire: Guantanamo ha fatto scuola.
In un angolo, in fondo, Wade nota un secchio e uno scopettone. Per qualche ragione, è la vista di questi due oggetti a colpirlo maggiormente.
Wade non è un uomo senza paura. Non la mostra, è vero. Ma questo non significa che non sia in grado di provarla, sebbene solo in rare occasioni.
Quando capita, insieme alla paura, Wade sente anche una sorta di sollievo, di soddisfazione. La paura è tornata a ricordargli di non abbassare la guardia, mai. La paura nasce dalla percezione del pericolo, evoca l’istinto di sopravvivenza. La paura è spesso uno spartiacque. Lo spartiacque. Tra la vita e la morte.
Aveva paura, Wade, mentre si avvicinava al custode del riformatorio, quello che sodomizzava i ragazzini mentre la moglie del direttore li teneva fermi ridendo e biascicando oscenità. Wade aveva capito di essere il prossimo della lista. Così, quella notte, era penetrato nella stanza del finocchio e gli aveva tagliato la gola. Anche nel fare questo aveva provato paura. Ma dopo, quasi immediatamente dopo, era arrivata quella strana felicità, che soltanto più avanti negli anni avrebbe saputo decifrare. Dopo altre morti, dopo altra paura.
Sì, la paura è un’alleata potente, un’amica fidata. Wade la assapora, la ringrazia. Ma poi la allontana. In questo momento non può permettersi che loro la percepiscano.
— E così tu sei Wade — dice l’Uomo Grigio. — Un personaggio... interessante. Mi sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza. Forse uno come te avrebbe perfino potuto essermi utile. Peccato: io e i miei collaboratori abbiamo una questione molto più urgente da sbrigare!
L’Uomo Grigio fa un lento giro attorno a Wade, finendo per mettersi alle sue spalle.
Wade percepisce il suo fiato sul collo. Profumo di mentine in patetica lotta contro un fetore da cloaca. Per qualche istante valuta se, dando un secco colpo all’indietro con la testa, riuscirebbe a fratturargli il setto nasale. Ma se anche la mossa funzionasse, non migliorerebbe la sua situazione.
Wade tace.
Non c’è nulla da dire. Tace e aspetta.
— Di sicuro, sei una persona intelligente. — L’Uomo Grigio sceglie le parole a una a una. — E non voglio offendere la tua intelligenza promettendoti che uscirai di qui vivo. No, la merce di scambio non è mai la vita, in casi del genere. Ma soltanto il dolore. Più precisamente, la quantità di dolore che riceverai prima di morire. Collabora e, in cambio, ridurremo il dolore. Più resisti e più prolungherai la sofferenza, inutilmente.
Ragionamento corretto. Nulla da dire, nemmeno adesso. Wade riesce perfino ad apprezzare tanta inusitata onestà.
— La questione è molto semplice, Wade. Tu hai preso una cosa che ci appartiene. Ieri notte speravamo di trovarla nel buco dove te ne stavi nascosto. Sarebbe stato tutto più semplice. Tutto già finito. Ma quella cosa non era lì. E adesso tu ci spiegherai dove l’hai messa...
Finalmente Wade ha qualcosa da dire: — Hai provato a cercare tra le gambe di tua madre?
L’Uomo Grigio torna a mettersi davanti a Wade. Lo guarda con un’espressione delusa e insieme rassegnata. Scuote la testa, poi si volta verso il tizio che sembra fatto di roccia. Gli parla in tono gentile: — Les, per favore...
Les risponde con un’increspatura sul volto che potrebbe perfino essere un sorriso. Si avvicina a Wade e alza il manganello.
Il primo colpo arriva sul lato della faccia. Gli frattura uno zigomo. Il dolore esplode come una supernova. Les abbassa la mira, passa al busto. Un’altra costola si incrina, una ferita della notte si riapre.
Wade sente il sangue colare giù. Gli sembra rovente. Stringe i denti. Non urla, non ancora, mentre Les continua la discesa, colpendo le gambe.
Wade scalcia in avanti, ma Les si è spostato al suo fianco (non è così scemo). La sedia si sbilancia, e cade trascinando giù anche Wade. Lo schienale di metallo preme sulle sue braccia intorpidite.
— Ehi, Les! — esclama il tizio più grosso. — Adesso lasciane un pezzo anche a me! — Un bambino troppo grosso. E troppo ritardato nella testa. Da sempre escluso dai giochi nel cortile della scuola.
— No, Bart — interviene il Grigio. — Basta così, per il momento.
Les solleva Wade e la sedia, senza fatica apparente.
Bart osserva imbronciato.
Wade decide che è lui l’anello debole.
— Bart? Quel Bart? Mi ha parlato di te uno che ti aveva conosciuto, quando stavi al gabbio. Mi ha detto che eri in gamba... Facevi dei grandiosi pompini a tutti quanti. E non c’era stato nemmeno bisogno di spaccarti i denti prima. Ti piaceva, lo facevi volentieri! Eh, sì... devi essere proprio tu, quel Bart!
— Figlio di puttana! — Bart si scaglia avanti. — Ti ammazzo!
— Fermo! — interviene l’Uomo Grigio. — Niente cazzate!
L’idiota ubbidisce. Si ferma. Ma il boccone è troppo amaro per essere ingoiato in silenzio.
— Attento, Wade. — Bart sfiora una granata flashbang attaccata alla cintura. — Potrei infilarti questa su per il culo e poi staccare la spoletta. Ti accenderesti come un albero di Natale.
— Che immagine suggestiva. Sei un poeta.
L’Uomo Grigio alza gli occhi al cielo. Fa un cenno. Les e Bart si mettono da parte. L’Uomo Grigio fronteggia Wade, da solo.
— Cerchiamo di non rendere questa faccenda più lunga e incresciosa del necessario. Noi sappiamo che hai rubato la valigetta rossa. Magari non ti interessava nemmeno. Eri andato lì per i diamanti, per svuotare la cassaforte. È stata una... sfortunata casualità, vero? Hai visto quella strana valigetta rossa e, già che c’eri, te la sei presa.
— Continua. È una storia affascinante. Come va a finire?
— Finisce che tu ci dici subito dove hai messo la valigetta. Ed è un lieto fine, credimi. Il migliore in cui tu possa sperare. Oppure ce lo dici dopo, quando avrai sofferto fino a rimpiangere che il tuo vecchio non sia andato al bowling con gli amici, invece di chiavarsi tua madre.
— C’è un problema, però. Io non ho preso nessuna valigetta rossa. Non so nemmeno di che cosa stai parlando.
Wade non spera che quei tre figli di puttana se la bevano. Non è così ingenuo. Ma c’è un copione da rispettare, comunque.
Perché gli credano, deve aspettare. E pagare un tributo di dolore. L’Uomo Grigio ha detto bene: la merce di scambio è il dolore.
Ogni uomo ha un punto di rottura.
Wade sa qual è il proprio, o quantomeno lo immagina.
Ma loro no, non lo possono sapere. Non possono nemmeno immaginarlo.
Tocca di nuovo a Les, con il manganello. È attento, metodico. Sa come evitare danni permanenti. Sa come non condurre mai la vittima oltre la soglia della disperazione. Meglio lasciare sempre un barlume di speranza. La speranza è una puttana che si finge tua amica. Finché hai di fianco lei, sarai sempre facile preda per l’angoscia, per il terrore. Ti illuderai di avere ancora qualcosa da perdere.
Les ogni tanto si ritrae, abbassa il manganello. Si finge soddisfatto o stanco. Lascia credere che ci sia una sosta. Ma è soltanto qualche breve istante, che rende più terribile, più insopportabile l’ondata successiva.
Per Wade è un gioco a carte scoperte. Riconosce in Les un professionista. In ciò che sta facendo non c’è sadismo, non c’è ferocia. Al limite, c’è solo una sorta di gelido autocompiacimento.
Ognuno qui deve fare la sua parte. A un certo punto, Wade comincia a urlare. Non è il momento di fare il duro, come gli eroi dei film di una volta. Del resto, Wade non è un eroe. È un ladro. E un assassino. Uno a cui non voltare le spalle. Mai.
Quanti uomini ha ucciso?
Wade non si è preso la briga di contarli. Mai.
Ci sono quelli certi, omicidi pianificati con cura. E poi ci sono quelli che si sono trovati dalla parte sbagliata della bocca da fuoco. Posto sbagliato, momento sbagliato.
Magari fai saltare un ginocchio a uno sbirro, tanto per levartelo dai coglioni, e poi quello tira le cuoia per shock emorragico. Oppure spari dritto in testa a un altro... e la pallottola scivola via lungo il cranio. Così quello si risveglia all’ospedale, soltanto con un gran mal di testa. Vallo a sapere.
Nel dubbio, Wade di norma mira al centro di massa corporeo. Tecnica delle Forze speciali. Non perde tempo a controllare se quello abbia tirato le cuoia o no. Di tempo, non ce n’è,
Adesso Wade sa, decide, che quando finirà questa storia il suo conto dei morti salirà di tre tacche. Oppure sarà lui a morire.
Wade ha smesso di urlare, testa abbassata sul petto. Il respiro risale la gola, affannoso, sibilando tra i denti come un rantolo distorto.
— Cazzo, cazzo, cazzo! — strepita Bart. — Mica lo avrai ammazzato?
— Chiudi quella fogna, Bart. Il bastardo non è nemmeno svenuto.
L’Uomo Grigio si avvicina. Afferra Wade per i capelli, gli tira su la testa. Altezza giusta per farsi sputare addosso un fiotto di sangue e saliva.
— Figlio di puttana!
— Ragione in più per portare quello straccio di vestito in tintoria.
Wade ha deciso che non è ancora il momento di cedere. È in debito di altro dolore.
— Signore — dice Bart, quasi supplichevole. — Lo lasci a me.
L’Uomo Grigio esita un attimo. Poi sogghigna, ripulendosi la giacca con un fazzoletto. — Ok, Bart, accomodati.
Les inarca un sopracciglio, non sembra d’accordo. Però non dice nulla. Cede il posto al socio.
Con Bart arriva il dolore finale. Obiettivo: portare Wade oltre la soglia.
La pistola è alimentata da una grossa batteria al litio alloggiata nell’impugnatura. È caricata con chiodi di acciaio lunghi nove centimetri. Se Bart premesse il grilletto, adesso, ne pianterebbe uno in mezzo ai lobi frontali di Wade, pressione di trenta atmosfere.
— Hai paura, Wade? Ti piace la scena?
— Non molto, Bart. Ti sta diventando duro e, francamente, lo trovo grottesco. Cerca di darti un contegno. Qui non siamo nelle docce della prigione.
— No, infatti, siamo nel mattatoio.
L’idiota abbassa la pistola.
Spara nella coscia sinistra di Wade.
Il chiodo attraversa la carne. Senza toccare ossa, senza recidere arterie. Ma il dolore è atroce, totale.
Wade sente se stesso urlare, come se fosse stato scagliato fuori dal proprio corpo. Ma subito il dolore lo riafferra, lo trascina nuovamente dentro, lo avvolge in un manto purpureo.
Bart sghignazza. Si volta verso Les e alza il palmo di una mano, hi-five. Les si limita a spostare lo sguardo verso di lui, freddo quanto il marmo di una lapide.
Il Grigio sembra indeciso, turbato, poi annuisce.
— Ben fatto, Bart. Lo stronzo è al limite.
— Secondo me, invece, non ne ha avuto ancora abbastanza!
Bart torna a incombere su Wade. Lo studia, indeciso, spostando la pistola sparachiodi sul suo corpo. Gliela appoggia all’inguine, la preme sui testicoli. — Te la stai godendo, Wade?
Alza il tiro e spara per la seconda volta, di nuovo sul lato sinistro. Il chiodo trapassa la spalla, scheggia la clavicola.
Wade urla ancora. Una nuova ondata di dolore sovrasta tutte le precedenti, ridefinisce il suo concetto di sofferenza.
Non esce molto sangue, né dalla spalla né dalla coscia. I chiodi hanno tappato le ferite, subito dopo averle aperte. Ma ogni movimento, ogni minimo movimento, tormenta la carne, strazia i nervi.
Come obbedendo a un ordine implicito, Bart si mette di nuovo in disparte. Lascia il posto all’Uomo Grigio.
— Wade, mi ascolti? Riesci a capire ciò che ti dico?
Gemito. L’Uomo Grigio lo interpreta come un sì.
— Bene. Puoi ancora porre fine a tutto questo. Puoi farlo subito. Tu sai cosa vogliamo da te...
A fatica, con lentezza, Wade si mette a parlare. Dice loro dove trovare la valigetta rossa.
2
L’Uomo Grigio e Les sono andati via.
Bart è rimasto a fargli la guardia.
Molto logico. Wade non si aspettava certo di essere lasciato lì da solo. E neppure potevano trascinarselo dietro ridotto com’è.
Gli hanno creduto. Hanno creduto che nessuno, nessuno!, potesse mentire, nelle sue condizioni. Quei due se ne sono andati sicuri di tornare con la valigetta rossa. E allora, quando avranno ottenuto ciò che vogliono, lo uccideranno. Gli hanno assicurato una morte rapida. Glielo hanno promesso: un dono, un premio.
Quanto tempo passerà prima che loro arrivino dove lui gli ha detto, quel capannone industriale abbandonato fuori città? Wade non ha risposta... perché non sa dove si trovi lui di preciso, adesso.
Lo hanno portato lì mentre era privo di sensi. Quel dannato mattatoio potrebbe anche essere a pochi minuti di strada dal capannone. L’Uomo Grigio e Les potrebbero essere già arrivati, in questo momento. In tal caso, il tempo di Wade sarebbe quasi alla fine.
Forse è già finito.
Di nuovo lei, la paura. Torna a fargli visita. Riaccende il suo istinto di sopravvivenza. Alcuni uomini, la maggior parte, si lasciano confondere. La paura ordina loro di muoversi, di reagire, e quelli invece non fanno nulla. Oppure fanno la cosa sbagliata.
Per Wade non è così. Lui sa ascoltarla, la paura. E sa rispondere.
Bart sta fumandosi una sigaretta, schiena appoggiata al muro. I cerchi di fumo gli vengono male. Sposta lo sguardo. Si accorge che Wade lo sta fissando. Istintivamente, si tira su dritto, quasi sull’attenti. Fa una smorfia di rabbia, rendendosi conto di quel gesto di debolezza, di sottomissione.
Wade sorride. — Tranquillo, Bart. Fuma pure. Non mi dà fastidio.
Al diavolo, testa di cazzo!
Bart grida, si avventa su Wade. Gli spegne la sigaretta sul petto, premendo con forza, come se volesse farla arrivare dentro, fino a bruciargli il cuore.
Wade non urla. Ha deciso che non urlerà più.
Bart fa qualche passo indietro. Resta lì, a studiare Wade. Ad ascoltarlo.
— Sei solo un vigliacco, Bart. Non hai le palle. Perché non ce la vediamo tu e io? Uno contro uno. Da uomo a uomo. Ehi, potresti addirittura farcela. Non sono in gran forma, al momento.
Bart scoppia a ridere. Ma non subito. Per un paio di secondi, deve avere preso in seria considerazione la proposta.
— Che cosa credi di ottenere, con questi gran discorsi da cowboy? Ti sembro forse un fottuto John Wayne?
— No, in effetti non lo sei. Non mi risulta che al buon vecchio Duke piacesse succhiare turgidi uccelloni neri.
Wade non riesce nemmeno a vedere il pugno partire. Impatta sullo stesso zigomo che Les gli aveva già frantumato. Questa volta il dolore è un lampo di luce bianca. Terribile, accecante, ma tutto sommato breve.
— Te la sei voluta, sacco di merda... te la sei voluta! — sibila Bart, mentre passa in rassegna i CD.
Sogghigna soddisfatto, trovando quello giusto. Lo infila nel lettore. Accende. Alza il volume, fondo scala.
Un urlo devastante attraversa l’aria, accompagnato da una batteria tachicardica. E poi il riff di chitarra, ossessivo e lancinante. Pantera, The Great Southern Trendkill. Musica per gli ascensori che portano all’inferno. Uno dei dischi preferiti di Wade, a dire il vero. Ma al momento non è dell’umore giusto per apprezzare il groove metal texano.
Bart è costretto a gridare, per farsi sentire. — Adesso ci divertiamo. Oh, sì... ci divertiamo!
Ha preso un coltello dal ceppo. Un lungo coltello appuntito. Si avvicina a Wade lentamente, saggiando la lama con il pollice. Preme troppo, il coglione. O forse è il coltello, troppo affilato. Dal dito esce una stilla di sangue. Bart la lecca, gustandola. Ora il suo sorriso è osceno, insano.
— Non posso ucciderti. Non ancora. Ma questa non è una fortuna, Wade. Non per te.
Preme la punta del coltello sotto il mento di Wade. Spinge, costringendolo a piegare la testa indietro, fino al limite massimo. Spinge ancora, con studiata lentezza. Wade sente l’acciaio entrare nella carne, farsi strada facilmente. Troppo facilmente. Tenta di tirare la testa ancora più indietro, inarcandosi. Il chiodo nella spalla striscia contro la clavicola.
E se adesso Wade abbassasse la testa, di scatto? La lama forse... sì, forse riuscirebbe a trapassare la lingua, il palato, ad arrivare su, ancora più su, addirittura fino al cervello. E sarebbe tutto finito.
Wade sa che dopo non ci sarà nulla. Nessuna punizione, nessuna redenzione. Nessuna pace. Nulla. Questa convinzione così ovvia... eppure per troppi uomini così difficile da raggiungere, da accettare... impedisce a Wade di temere la morte. Ma, senza dubbio, gli fa preferire la vita. La vita è pur sempre qualcosa. E qualcosa è pur sempre meglio di nulla. Filosofia elementare, imparata per strada. Tuttavia, in questo momento, la tentazione di lasciarsi andare è forte. Sarebbe perfino una specie di vittoria.
Ma è Bart a decidere. Gli toglie la lama da sotto il mento. Usando la stessa mano, con un unico movimento fluido, assesta a Wade un manrovescio. Il pugno chiuso sul manico del coltello. L’arcata dentaria di Wade ha un ulteriore cedimento.
Bart si ferma a studiare Wade, soddisfatto. I Pantera hanno attaccato con War Nerve. Una colonna sonora piuttosto appropriata.
Eppure, ora nella mente di Wade c’è il silenzio. C’è una calma gelida e tersa. È concentrato sul varco che ha visto aprirsi davanti a sé.
— A che cosa stai pensando, Wade? Io lo so che hai qualcosa in mente.
Il coglione deve aver letto qualcosa negli occhi di Wade. Male, molto male. Cose che non dovrebbero succedere. Ha permesso che l’avversario si insospettisca. Wade decide di tornare a colpire sul nervo scoperto.
— Pensavo... pensavo ancora a quello che mi ha raccontato il mio amico. Quanto eri bravo... quanto ti davi da fare. Sono un po’ preoccupato, però. Starti così vicino... potrebbe comportare dei rischi.
Bart ascolta Wade con espressione perplessa. Si sta chiedendo dove cazzo voglia arrivare.
— Non vorrei beccarmi qualche brutta malattia. Che so, creste di gallo, sifilide, AIDS...
— Tu finisci qui, figlio di puttana.
Bart butta a terra il coltello. Forse ha paura di uccidere subito Wade, per la rabbia. Forse vuole semplicemente avere le mani libere.
Wade serra i denti, irrigidisce i muscoli. Si prepara. Prendere a pugni un uomo seduto di fronte a te, dall’alto in basso, di fatto è abbastanza scomodo. Costringe a movimenti goffi. Wade si ritrova sotto una grandinata di colpi sconnessi e inefficaci. Bart urla di rabbia, ancora più forte di Phil Anselmo, il cantante dei Pantera.
Wade si piega in avanti, abbassando il capo. Anche se il movimento provoca una fitta lancinante, in corrispondenza del chiodo nella spalla.
La testa di Wade finisce in grembo a Bart, che gli martella istericamente pugni sulla schiena. Vista da fuori, la scena avrebbe un che di ridicolo.
Bart si ferma, arretra di un passo. Prende fiato. Osservando Wade che è rimasto con il capo chino.
— Forza, Wade, di’ qualche altra battuta di spirito.
Wade rialza la testa. Nel suo sorriso, c’è qualcosa di troppo: la spoletta della granata flashbang. La sputa addosso a Bart.
Bart non si è accorto di nulla, quando lui l’ha presa fra i denti e l’ha strappata via. Non ha certo potuto sentire un piccolo scatto, nel fragore dell’heavy metal e delle sue stesse urla.
— Ah, merda...
Bart è di colpo terreo. Abbassa lo sguardo verso la granata. È troppo stupito, impaurito. I suoi movimenti sono scoordinati e improduttivi. E poi è tardi. Troppo tardi.
Afferra la granata, riesce a staccarla dalla cintura. Tempo scaduto. La granata esplode. Anche la mano destra di Bart esplode. La vampata al fosforo gli brucia il giubbotto della mimetica, gli ustiona il ventre. La luce lo acceca. Il boato lo assorda. Crolla sul pavimento.
Wade era preparato. Un attimo dopo avere sputato la spoletta, si è slanciato all’indietro, cadendo assieme alla sedia. Ha chiuso gli occhi. Non è rimasto abbagliato.
Aspetta secondi lunghi quanto ere geologiche, finché il fischio che ha nelle orecchie non si attenua, cedendo nuovamente il posto alla tempesta sonica dei Pantera.
Bart non urla più. Sta piagnucolando.
Non fosse per il frastuono, Wade giurerebbe di sentirlo chiamare la mamma.
È il momento di muoversi. Wade si impone di ignorare il dolore che gli arriva da ogni parte del corpo. Si divincola dalla sedia. Rotola su se stesso. Bart è rannicchiato su un fianco, a qualche metro da lui, in posizione fetale. Lo vede colare sangue, lacrime e piscio. Sangue, soprattutto.
Bart si stringe il polso destro con la mano sinistra. Ma non riesce a frenare il flusso scuro che allarga una pozza sul pavimento, defluendo nei canali di scolo del mattatoio. Il giubbotto ha smesso di ardere. Tutt’attorno si sente il tanfo di carne bruciata.
Wade guarda Bart.
Ma Bart non può guardarlo. È cieco. E lo resterà per il poco tempo che ha ancora da vivere.
Wade rotola di nuovo. Finisce di schiena verso il coltello lasciato cadere da Bart. Annaspa nel vuoto, riesce a raggiungerlo con le dita, a stringerlo. Brutta posizione. Si ferisce il palmo di una mano. Alla fine, la lama fa il proprio dovere: recide le manette di plastica che gli imprigionavano i polsi. Il resto è facile. Più facile.
Wade si rimette in piedi, appoggiandosi al bordo del bancone. È uno sforzo immenso. La testa gli gira. I Pantera sono arrivati a 13 Steps to Nowhere. Basta così. Un piccolo passo alla volta, Wade arriva fino all’impianto stereo. Lo spegne. Restano soltanto i gemiti di Bart, sempre più flebili.
In un angolo che in precedenza era fuori dal suo campo visivo, Wade nota qualcosa: una cassetta del pronto soccorso, probabilmente fatta sparire da un ospedale dell’esercito. Una giusta precauzione: quando torturi qualcuno, e lo vuoi far durare, meglio disporre dell’occorrente per riaggiustarlo, nel caso ti scappasse la mano.
Prima di medicarsi, però, Wade ha un’altra operazione più urgente da svolgere. Sceglie una tenaglia fra gli attrezzi.
Si estrae il chiodo dalla coscia.
Non fermarti. Non...
Si estrae il chiodo dalla spalla.
Una manciata di secondi di purissima, perfetta sofferenza.
Wade raggiunge la cassetta del pronto soccorso. Sangue tracima dai buchi ora aperti. Come un Cristo blasfemo sceso dalla sua croce rovesciata.
Trova dei tamponi emostatici, blocca le emorragie.
Trova una fiala di morfina.
Trova una siringa ipodermica. Le mani gli tremano. Deve costringersi a calmarsi, a controllare il respiro, prima di riuscire a praticarsi l’iniezione.
Il dolore si placa, diventa sopportabile. Ma a Wade ora sembra di muoversi nell’acqua, annaspando. Ogni gesto è lento, pesante. I pensieri sono sfocati, come se il cervello fosse in debito di ossigeno. Raccoglie la giacca. La infila sul busto nudo, martoriato. Raccoglie anche la P228, la estrae dalla fondina.
Bart non è ancora morto, malgrado tutto. Geme e si agita debolmente. Wade si ferma a guardarlo, indeciso. Arma la pistola, la punta verso di lui, ma poi ci ripensa. Se la infila nella cintura.
— Non farti mancare niente, pompinaro.
Un ultimo lungo gemito, alle sue spalle. Una supplica, forse.
Una preghiera al dio sbagliato.
3
La luce del giorno.
In fondo a un corridoio dalle pareti dilaniate.
Saranno soltanto una decina di metri, ma a Wade sembra di doversi fare a piedi tutta la Route 66. Una blatta giallastra lo sorpassa correndo.
Arriva fuori, si appoggia allo stipite del portone. Controlla il territorio, prima di riprendere a muoversi. Un luogo isolato, serrato da foreste, una sola strada d’accesso, sterrata. Oltre al mattatoio ci sono un paio di edifici in rovina. Uno potrebbe essere stato una stalla. Da qualche parte arriva il ronzio di un generatore elettrico.
Di fronte a lui, un ampio spiazzo di cemento percorso da crepe in cui si sono fatte largo le erbacce. Il tutto chiuso da una recinzione di rete metallica, sfondata in più punti, con un cancello arrugginito spalancato. C’è un furgone, nello spiazzo, vicino al cancello.
Per qualche secondo, Wade osserva. Poi mette meglio a fuoco. Grandissima puttana, la speranza. È soltanto un rottame, senza pneumatici, appoggiato su pile di mattoni.
Merda.
Quanto tempo è trascorso da quando il Grigio e Les se ne sono andati? Si saranno già resi conto di essere stati ingannati? Avranno già visto che in quel capannone (anni prima usato da Wade come magazzino) non c’è un cazzo di niente, tanto meno una valigetta rossa? Saranno già sulla strada del ritorno? Domande a cui Wade non può rispondere. Ora deve soltanto andarsene di lì. Allontanarsi il più possibile, nascondersi nel bosco. Avanti, soldato, in marcia!
Sembra che Wade possa farcela davvero. Attraversa lo spiazzo. È quasi arrivato al cancello. E lì si ferma. Abbassa lo sguardo. Come se fosse uno spettatore, esterno a se stesso. Le ginocchia contro il cemento. No, cazzo, no... non adesso.
Non adesso!
Di nuovo giù, nel pozzo d’oscurità.
E poi ancora su.
Questa volta è un rumore, a svegliarlo.
Wade ascolta.
Il rumore del motore di una grossa vettura, in avvicinamento. Un fuoristrada, forse, oppure un SUV. Wade sbarra gli occhi. L’effetto della morfina sembra diminuito. Il corpo è tornato a trasmettergli dolore.
Ma va bene così. La mente è più lucida, i muscoli reagiscono.
Wade scopre i denti. Il sorriso di un predatore.
Les è alla guida dello Chevrolet Suburban. Seduto al suo fianco, l’Uomo Grigio ha bestemmiato lungo tutta la strada. Ha chiamato e richiamato Bart al cellulare, ossessivamente, anche se sa bene che in quella zona non c’è campo. Ora se la prende con Les.
— Tu avevi detto che nessuno... nessun cazzo di merdoso bastardo poteva mentire, nelle sue condizioni!
— Per la verità, signore, questo lo aveva detto lei — puntualizza Les. — Comunque, è evidente che questo è un merdoso bastardo diverso dagli altri. Da tutti gli altri. — In una specie di premonizione, aggiunge: — Speriamo che Bart non abbia fatto stronzate...
Bart, giusto. In effetti, qualche stronzata l’ha fatta.
Ha tirato le cuoia cacandosi sangue addosso.
Il SUV emerge dal bosco e punta verso il cancello del mattatoio.
Proprio mentre Wade finisce di alzarsi in piedi.
— Oh, Cristo... — fa in tempo a dire Les.
La bocca dell’Uomo Grigio è un cerchio quasi perfetto.
Wade alza la P228. Spara a braccio teso camminando dritto verso il SUV, il sole negli occhi, senza mirare. Spara quattro volte, con un ritmo cadenzato.
Il primo proiettile 9 millimetri perfora il parabrezza. Passa a pochi centimetri dalla testa di Les e sfonda anche il lunotto posteriore.
Les intanto lavora di sterzo e di freno, cercando di mettere il SUV di traverso, il lato del passeggero rivolto verso Wade.
Il secondo proiettile si conficca nella carrozzeria. Il terzo proiettile entra in un polmone dell’Uomo Grigio, fuoriesce dalla schiena e si ferma nell’imbottitura del sedile.
Il quarto proiettile arriva quando la vettura è già di traverso. Spacca un finestrino, passa davanti all’Uomo Grigio e a Les, prosegue la corsa distruggendo pure il finestrino opposto.
L’Uomo Grigio fa per dire qualcosa. Dalla sua bocca esce soltanto una cascata di sangue polmonare. Il vestito è proprio da buttare, adesso.
Il SUV è fermo.
Les apre la portiera dalla propria parte e si butta a terra. Infila una mano sotto il sedile ed estrae una mitragliatrice HK MP5. Rotola su un fianco e prende copertura dietro al cofano. Si tira su, per guardare. Sporge un quarto di occhio, per poi riabbassarsi subito.
Non vede niente, nessuno.
Wade non può essere andato lontano. Non bisogna lasciargli il tempo di nascondersi, di trovare un riparo. Les conta fino a tre. Si rialza di scatto, sporgendosi con tutto il busto. Il dito premuto sul grilletto. Spara una lunga raffica a ventaglio, come fuoco di copertura. E intanto si guarda attorno.
Niente Wade.
Les non lo vedrebbe nemmeno se potesse guardare dall’alto. Non è dietro alla carcassa del furgone vicino al cancello. Non è al riparo fra la vegetazione. Non è da nessuna parte. Forse è andato a rifugiarsi nel mattatoio. O in uno dei due edifici accanto. Solo che avrebbe dovuto muoversi molto velocemente, correre. No, non in quelle condizioni.
Stando chino, Les torna verso la portiera lasciata aperta. Vuole recuperare un altro caricatore. La cosa rischia di andare per le lunghe.
Una qualche bocca da fuoco ringhia. Molto vicino. E molto in basso.
Il tallone sinistro di Les esplode. Les solleva la gamba. Il piede penzola dai tendini, in uno scroscio di sangue. Un secondo proiettile gli colpisce il tallone destro.
Wade è steso a terra, sotto il SUV.
Les crolla.
Wade apre nuovamente il fuoco, la Sig a pochi centimetri da terra.
Les si inarca come un pesce buttato in un secchio di ferro. Tre proiettili tra fianco e ventre.
Wade riallinea il tiro.
Les ruota la testa verso di lui, in un’ultima espressione di sorpresa e dolore. Poi resta così, occhi sbarrati. E cranio scoperchiato.
Wade striscia fuori. Si alza in piedi. Con una mano spalanca la portiera del SUV, dal lato del passeggero, mentre con l’altra stringe sempre la P228.
L’Uomo Grigio è ancora vivo. Fruga sotto la giacca. Riesce a estrarre una 38 a canna corta. Riesce ad allineare il tiro.
Wade fa fuoco.
Metà mano destra dell’Uomo Grigio rimane. L’altra metà parte. La 38 serrata solamente da tre dita.
Wade afferra l’Uomo Grigio per un braccio. Lo scaraventa fuori dall’abitacolo in una cascata rossa. Non vuole portarsi appresso un cadavere. Già saranno cazzi andarsene in giro alla guida di un SUV ridotto in condizioni merdose. A tutti gli effetti anche Wade è ridotto in condizioni merdose. E ci sono sempre poliziotti. Quelli di campagna sono anche più stronzi.
L’Uomo Grigio giace nel fango e nel sangue.
Wade torreggia su di lui. Rimane una cosa da chiarire. — La valigetta rossa.
L’espressione dell’Uomo Grigio è un misto di perplessità, ferocia, consapevolezza. Sangue gli cola sul mento da entrambi i lati della bocca. Lo fa sembrare un’oscena marionetta. Altro sangue gronda dalla mano mutilata. Ma ha capito. Adesso ha capito.
— Tu... non lo sai.
— Ve l’avevo detto: a te e a quegli altri due coglioni. Io non ho nessuna valigetta. Ve la siete presa con l’uomo sbagliato. Ma voi non potevate crederlo, questo... e se fossi riuscito a convincervi, cosa che non volevo, mi avreste fatto fuori subito.
L’Uomo Grigio si esibisce. Un sorriso. — Noi ti facciamo fuori comunque, Wade. Non lo troverai, un posto in cui nasconderti. — L’Uomo Grigio tossisce sangue. — Perché noi ti becchiamo, figlio di puttana... E ti inchiodiamo!
— Hai notato? — Wade infila la P228 nella cintola. — Questo è un mattatoio. — Puntella un ginocchio a terra accanto all’Uomo Grigio. — E in un mattatoio dobbiamo essere molto attenti a ciò che vogliamo... — Raccoglie qualcosa da sotto il SUV. Qualcosa che aveva portato con sé, in un’ispirazione oppiacea.
La pistola sparachiodi.
Gli occhi dell’Uomo Grigio si dilatano.
Wade gli infila la sparachiodi dritta in gola.
L’Uomo Grigio gorgoglia rosso.
— Potremmo addirittura ottenerlo.
Crac!