Contratto veneziano

 

 

 

Per Svetlana
Tutto l’amore che mi hai concesso di darti
basta per una traversata in solitario.
Prima o poi ti ritroverò.

 

 

 

Lame.

Scintillano nel buio, gioielli forgiati alla fiamma di Caino. Ellissi, affondi, vortici.

Sul canale la luce crea tra le onde un arabesco d’argento e acciaio.

Lana sussulta sul tappeto, immersa nel sangue. Il suo sangue. Si spegne con una implorazione disperata.

Io, maledetto idiota, non posso fare più nulla per lei. Non ho mai potuto.

Un’ondata di rabbia rischia di farmi perdere lucidità.

Non deve succedere. Non se voglio sopravvivere. Non se voglio vendicarmi.

— Rilassati, sarà una cosa breve... 

In un duello, le parole sono gocce di veleno in una brocca d’acqua. Murad non è così sicuro come vorrebbe far credere. L’Uomo delle Lame, l’assassino venuto da Srinagar per punirmi, sa che massacrare una donna nel sonno è facile. Umiliarmi e uccidermi molto meno.

Io sono Chance Renard. Io sono il Professionista.

Non rispondo. Scaccio il velame di sonno dalla mente, respingo il dolore che la vista di Lana mi ha conficcato nel cuore. 

Sono nudo, disarmato.

Sotto i piedi il pavimento di legno della boat-house scricchiola. 

Murad non è solo una forma. A ogni respiro i sensi tornano in mio soccorso, più limpidi. Gli occhi si abituano, il corpo risponde. Lo vedo. 

Posizione di difesa. Una goccia di sudore mi scivola salata tra gli occhi. La ignoro. 

Il killer pakistano assoldato nel XIII arrondissement vortica le braccia, le gambe flesse, il busto proteso in avanti. Gocce di sangue stillano nel vuoto. Il sangue di Lana. 

Conosco i pugnali. Khanjar, forgiati a Darra. Un solo taglio ricurvo, manico coperto di pelle di manta, piccole cocce circolari di metallo. Armi da phansigars. 

La pistola è lontana. Posso solo cercare di recuperare il mio Tomarchio dalla fondina sul divano. Ma Murad è vicino, troppo vicino. 

Ha ragione. Sarà una cosa breve.

Un duello di lame lo è sempre.

E io voglio finirla in fretta, per poter ricordare Lana.

Solo questo m’importa.

Murad mi sorprende scattando con un movimento a girandola. Nello spazio ristretto si sposta con diabolica abilità. Ruota su se stesso, mulina le gambe. Il doppio calcio sibila nel vuoto. 

Evito, scivolando indietro.

Lui carica ancora il ginocchio al petto e lascia partire un laterale di spinta.

Il tacco della scarpa mi batte sullo sterno cacciando fuori l’aria dai polmoni. 

Il dolore acceca.

Sfrutto lo svantaggio assecondando la caduta. Rotolo sul letto, testa su un lato. Capriola indietro, ushiro-ukemi. Ho superato il futon e mi trovo a un passo dal divano. Dai miei vestiti. 

Murad salta sul pavimento. Basta giochetti. Vuole affondare le sue lame nella mia carne.

Scatto in avanti con una testata in pieno stomaco. Gli strizzo i testicoli. Godo a sentirlo gorgogliare...

Indietreggia. Perde una lama.

Mi basta protendere un braccio alla cieca, verso gli abiti. Le dita si serrano sull’impugnatura di legno-ferro e corno di cervo. Il Tomarchio è un pugnale siciliano. Niente da invidiare alla scuola mediorientale. 

Adesso ho anch’io una zanna.

Grazie a un riflesso di luce distinguo il viso di Murad. Dolore e... paura.

Adesso.

Mulinello stretto, fendente circolare dall’alto. Lo taglio al braccio armato. In profondità. Il sangue sprizza copioso. M’imbratta. Sì. 

I piedi si spostano malgrado l’ingombro della boat-house. Il mio ginocchio spinge sul suo. Con la mano libera gli assesto un colpo di palmo alla spalla. 

Sorpresa e dolore. Murad arretra, incespica. Ha perso anche il secondo pugnale. La mia lama ha fatto scempio di muscoli e tendini. Quel braccio non lo userà più.

Non userà più niente altro.

Con tutta la rabbia che ho dentro gli sferro un calcio circolare al petto. La palla del piede, sotto le dita ritratte, impatta rumorosamente contro lo sterno.

Murad vola fuori dalla finestra, infrangendola in un milione di cristalli taglienti.

Il canale del Jordaan se lo inghiotte tra un risucchio osceno e un agitarsi di arti fuori controllo.

Io lo guardo sparire nell’acqua gelida di Amsterdam. Respiro rumorosamente, in affanno.

Non riemerge. È finita.

E io posso ricordare Lana.

Non so se mi abbia mai amato. Non importa. Era una luce e ora si è spenta.

Sono di nuovo solo.