Introduzione:
Chiamateci “Legione”

di Fabio Novel

 

 

 

SFL.

Riconoscete questo acronimo?

No? Allora presumo che, da bravi appassionati di spy thriller, avvezzi a sigle, codici e abbreviazioni varie, starete già formulando una sequenza di congetture plausibili. Un servizio d’intelligence, nuovo o poco noto? Un equipaggiamento sofisticato? L’ennesima azione di combattimento codificata? Un pericoloso gruppo eversivo? Una letale sostanza tossica? Un’arma di avanzata concezione? Un’agenzia privata di contractors con pochi scrupoli?... 

Ok, stop al brainstorming. Vi do io la risposta: SFL sta per Segretissimo Foreign Legion. 

Non precipitatevi sul computer. Inutile invocare l’oracolo Google. Sono stato assoldato proprio per darvi le spiegazioni del caso; un compito che svolgo con estremo piacere e orgoglio, perché quello della “Legione Straniera di Segretissimo” è un dossier appassionante, che mi è particolarmente caro. 

Prima o dopo, arriva il tempo in cui alcune operazioni top secret vengono alla luce, diventando (più o meno...) di pubblico dominio. Persino quelle più complesse, più ramificate, più durature. Persino quelle più infami. Le ragioni che portano a tali rivelazioni possono essere varie: scoop giornalistici, infiltrazioni, errori, diatribe politiche... Talvolta sono gli stessi enti governativi o militari a optare per la declassificazione, parziale o integrale, di alcuni file confidenziali. 

Ora, anche per il “dossier SFL” questo momento è formalmente giunto. È difatti la stessa Ditta (quella di Segrate, non di Langley!, visto che la Ditta è uno dei tanti nomignoli affibbiati alla CIA) a essersi convinta dell’opportunità di vuotare il sacco su un’operazione di successo: una serie di missioni pianificate mettendo in azione un nucleo di operativi straordinari, molti dei quali impegnati under cover. Fuori dal gioco delle metafore a tema spionistico, è chiaro che stiamo parlando di scrittori. Autori professionisti che, con il tempo, hanno voluto e saputo riconoscersi come gruppo. E dato che ogni team che si rispetti ha un suo nome, loro ne hanno individuato uno assolutamente calzante: un appellativo che, con spirito un po’ goliardico, rimanda alla Légion Étrangère dei vecchi tempi, ai suoi veterani dai passati turbolenti e dalle seconde identità. Uomini rudi che, nonostante animi irrequieti, sapevano rispettare le consegne e i codici della Legione. 

Ebbene, esiste una sorta di Legione Straniera che milita in “Segretissimo”. “Straniera” perché di solito questi narratori si sono adattati, con un misto di dovere e giocosità, a identità di comodo: fantasiosi alias, volti a celare la loro effettiva nazionalità. Quella italiana. 

I lettori di “Segretissimo” conoscono bene le firme nazionali che hanno pubblicato in collana. Magari, non si sono invece mai posti il minimo dubbio di fronte ad autori “internazionali” quali Stephen Gunn, Xavier LeNormand, François Torrent, Jack Morisco, Jo Lancaster Reno e Frank Ross. I più accorti, oltre a sorridere di fronte ai più sfacciati tra questi pseudonimi, avranno notato altri segnali rivelatori: per esempio, come le “traduzioni” degli autori sopra citati siano puntualmente curate da narratori italiani i cui stili e tematiche risultano, guarda caso, affini ai rispettivi scrittori “tradotti”. E avranno pertanto facilmente realizzato quanto i veri ideatori di molte tra le serie proposte siano in realtà nostri connazionali: Stefano Di Marino (il Professionista e Vlad), Andrea Carlo Cappi (Nightshade), Giancarlo Narciso (Banshee), Gianfranco Nerozzi (Hydra Crisis) e Massimo Mazzoni (Quantum Agency). 

Ma, come è nata la SFL?

Una rapida scorsa al passato... I romanzi italiani sono presenti in “Segretissimo” sin dal 1984, con la pubblicazione di un romanzo di Andrea Santini intitolato A volo di Falco, primo di tre episodi con protagonista Falco Rubens. A Santini seguono altri scrittori: alcuni molto presenti, altri episodici nel loro contributo. È doverosa almeno una citazione per questa “vecchia guardia”, in parte ancora attiva su altri fronti letterari e/o giornalistici: Remo Guerrini, Luis Piazzano, Carmen Iarrera, Mario Morelli, Diego Zandel, Miro Barcellona, Piero Baroni... Le loro spy story sono tuttora godibili. Alcune poi, oltre alle caratteristiche evasive e al valore “storico” (i buoni romanzi di spionaggio conservano la proprietà di testimonianze del passato), presentano ancora oggi elementi di attualità. A riprova di quanto i nostri scrittori fossero preparati e lungimiranti. 

Paragrafo a parte per Secondo Signoroni, l’autore che per un periodo ha rappresentato “il vero volto della spy story italiana”, come sottolineavano le copertine. Signoroni arriva in collana già nel 1993. Da allora, pubblica sempre con il suo nome. È tuttora una delle colonne di “Segretissimo”, come attesta la sua presenza in Legion. 

La stagione degli pseudonimi inizia nel 1994, con Lawrence P. Right (Lorenzo Giusti), che propone due romanzi, per poi abbandonare il genere. La reale svolta si ha con l’avvento di Stefano Di Marino il quale, dopo aver siglato nel 1992 (Sopravvivere alla notte) il suo debutto in collana col proprio nome, ci ritorna nel 1995 riassumendo una sua identità fittizia già attiva in libreria: quella oggi nota di Stephen Gunn. Con questo pseudonimo, firma il numero 1279 della serie regolare: Raid a Kouru. È il primo episodio del Professionista, un progetto seriale che si conquista presto le preferenze dei lettori, cementando un meritato caso di fidelizzazione. A tutt’oggi, quella del Professionista è infatti la più longeva e seguita serie della collana, dopo SAS: venticinque romanzi pubblicati, più uno speciale. Senza contare le ristampe uscite in libreria, per la Tea. 

Dovessi assegnare una data di nascita per la nostra SFL, sceglierei proprio la pubblicazione di Raid a Kouru. Tenendo inoltre in debito conto quanto il Professionista, direttamente e indirettamente, sia stato senz’altro una forza trainante per l’affermarsi di tutta la Legione. 

Negli anni Novanta, Di Marino collabora con la redazione di “Segretissimo” nelle scelte dei testi. È merito suo se nel 1998 irrompe sul campo un autore di thriller del calibro di Alan D. Altieri, il quale accetta la sfida dei canoni di “Segretissimo”, vincendola. Il risultato è la serie Sniper. 

Nel periodo che segue, Sandrone Dazieri diventa editor della Mondadori Category. Dazieri, che come scrittore è uno dei più validi rappresentanti del nero italiano, condivide la fiducia di Di Marino nel made in Italy, per quanto motivi redazionali suggeriscano l’uso degli pseudonimi. Inizia così la caccia all’autore con le motivazioni e le competenze del caso: narratori con le palle, senza preconcetti per l’edicola o per il genere, capaci di misurarsi con le complessità e i ritmi della spy story. Gli uomini giusti vengono individuati: alla squadra si aggiungono nel 2002 Andrea Carlo Cappi e Massimo Mazzoni, e nel 2003 Gianfranco Nerozzi e Giancarlo Narciso. Ognuno di loro dà la sua impronta al format “Segretissimo”. Da qui in poi, gran parte dei titoli distribuiti è frutto della creatività nazionale. 

È proprio in quel periodo che salta fuori anche l’appellativo di Foreign Legion italiana. In principio, come battuta scherzosa di alcuni dei coinvolti, con riferimento ai propri nom de plume. Un’autoironia che diviene poi un modo di dire acquisito tra loro e una ristretta cerchia di amici, me compreso. 

Quando nel 2004 inizio a collaborare con alcuni siti che si occupano di narrativa, www.thrillermagazine.it in primis, inserisco tra i miei obiettivi di missione il dare uno spazio adeguato alla bistrattata edicola. È l’ora che si parli anche di “Segretissimo”, del suo programma editoriale e dei suoi autori, senza distinzioni di sorta con la libreria. 

È altresì il momento di rimarcare come la fine della Guerra Fredda non abbia affatto svuotato la spy fiction né del suo spirito né del suo valore. Tutt’altro: ne ha decretata la rinascita, la possibilità di evolversi ramificandosi in tante direzioni differenti, tanto coinvolgenti da leggersi, quanto consapevoli dell’attualità. La narrativa spionistica è un contenitore assai ampio, non riconducibile (presunzione del tutto errata) solo alla canonica “spy story da Guerra Fredda”, che pure ha raccontato meglio di qualsiasi altro genere un’epoca storica senza precedenti. 

Last but not least, mi convinco che quello della Legione possa diventare una sorta di logo efficace, riconoscibile, oltre che attinente e spiritoso. Può funzionare. Lo uso negli articoli sul “Segretissimo italiano”. Intervisto vari autori italiani di spionaggio. Svelo eventuali alias. 

Altre iniziative si aggiungono alle mie. La dicitura Foreign Legion si diffonde tra colleghi scrittori, addetti ai lavori, navigatori in siti dedicati alla narrativa e lettori più coinvolti, quelli che sfogliano riviste e recensioni, che frequentano le presentazioni di libri e ascoltano programmi radiofonici come il prezioso Tutti i Colori del Giallo, condotto su Radio2 da Luca Crovi. 

Intanto, la situazione matura ulteriormente. Sergio “Alan D.” Altieri diventa editor dell’edicola Mondadori. Tra le sue (calcolate) scommesse, quella di puntare con ampia fiducia sulla produzione nazionale. Arrivano altri romanzieri, affermati ed esordienti. Nasce addirittura una nuova testata: “Il Giallo Mondadori Presenta”. In “Segretissimo”, viene meno l’obbligo dello pseudonimo: Claudia Salvatori inaugura lo spionaggio a sfondo storico di Walkiria Nera. Danilo Arona propone un one shot intitolato Finis Terrae e un “quattro mani” in coppia con Edoardo Rosati, La croce sulle labbra. E senza alias si presenteranno Franco Forte e Tito Faraci, mandati sul fronte già con questa antologia, dove anticipano quelli che saranno i loro inediti prossimi venturi. 

Chiaramente, nonostante il nuovo corso, le serie preesistenti sono ormai talmente associate agli pseudonimi utilizzati che potrebbe non essere indicato rivoluzionare i binomi, per quanto con un atto di giustizia. Un Professionista è a mio giudizio pressoché imprescindibile da Stephen Gunn. Ciò che conta però è che sia dato modo al lettore di sapere, subito, chi sono davvero i vari Gunn, Torrent, Morisco, Reno o Ross... Le note finali, fino a qualche tempo fa pittoresche pseudobiografie, ora ci danno notizie reali sui veri artefici e sui loro libri, creando così i presupposti per un ponte con le librerie. 

Arriviamo a metà del 2008. Adesso. A questa antologia, un volume con cui la Mondadori conferisce alla Segretissimo Foreign Legion un’ufficialità che, per quanto regga il gioco a uno spiritoso nickname collettivo, è un palese segno di riconoscenza oltre che di ponderata consapevolezza di qualità. 

La SFL, dal canto suo, ricambia il tributo premiando “Segretissimo” e soprattutto i lettori con una raccolta eccezionale, pregna d’entusiasmo, oltre che d’impegno professionale. Legion è il risultato di un progetto fortemente voluto dai suoi attori, che da tempo covavano l’obiettivo antologico. 

Ma non basta: Legion non è solamente uno speciale estivo di “Segretissimo”. È un evento. Lo è per tutta la narrativa nazionale, per quanto la critica e i media possano ostinarsi a snobbare le opere da edicola, salvo poi magari incensarle qualora riescano a migrare nella più blasonata libreria. Perché parlo di “evento”? 

Vi chiedo: quante raccolte inedite di AA.VV. integralmente dedicate alla narrativa spy & action sono state proposte dal mercato editoriale italiano, in tanti anni?

Quante possono vantarsi di aver riunito quel composito, selezionato e formidabile manipolo di nostri autori che da anni pompano massicce dosi d’adrenalina spionistica e d’intrigo, rivisitando le varie sfaccettature dello spy thriller attraverso un’altrettanto eclettica gamma di contenuti, interpretazioni e stili?

E quante, nel delineare un’ampia panoramica del genere spionistico, hanno privilegiato espressioni e/o tematiche fuori dai cliché? E con cliché mi riferisco per esempio a quei canoni ormai acquisiti e radicati, talvolta consolatori, che stanno condizionando ed erodendo la forza del giallo e del noir nazionali, rischiando di annacquarne l’originale vitalità con un’offerta conforme, sempre più di rado sorprendente. Intendo quei format che, dopo essere stati a loro volta ingiustamente ignorati, se non addirittura disprezzati, sono ora coccolati dall’editoria nazionale. Insomma, quel giallo e quel nero italiani che hanno partorito alcune opere esemplari e innumerevoli onesti titoli, ma che non per questo accontentano le aspirazioni di tutti gli scrittori e soprattutto le preferenze di tutti i lettori, trovando però sfogo grazie a scelte editoriali comode, di chi non vuole (o non può...) osare, di chi analizza il mercato a statistiche, invece di leggerlo, annusarlo. Invece di seminarlo. Mentre, almeno qualche volta, dovrebbe farlo, dando fiducia a uno zoccolo duro di fruitori che, pur non costituendo ancora una massa, formano un’entità numerica considerevole, appetibile per un’editoria che puntualmente lamenta difficoltà. Sono quegli stessi lettori che dimostrano di aver ben compreso quanto anche noi scrittori italiani sappiamo affrontare la narrativa di genere da prospettive alternative. Animati da una volontà di differenziare soggetti, trame e forme. E pienamente idonei a dare ottimi risultati. 

Anche senza voler soddisfare ognuno dei parametri proposti, la risposta alle domande retoriche sopra elencate è, manco a dirlo!, una sola: non esiste in Italia nessun’altra antologia simile a questa. 

Legion è una straordinaria prima assoluta. 

E, mi azzardo a prevederlo, non resterà un caso isolato. Perché la spy fiction, con i timori innescati da una congiuntura internazionale ai limiti di un nuovo rischioso collasso, ha le potenzialità per riesplodere a breve come uno dei generi più seguiti. Come scrivevo qualche paragrafo fa, il thriller spionistico non è affatto defunto con la caduta del Muro. Né si può superficialmente affermare che sia risorto solo grazie all’11 Settembre, per quanto sia palese come buona parte dei thriller degli ultimi anni (in libreria come al cinema) siano basati sulla catena di avvenimenti conseguenti al 2001. Tra l’altro, va riconosciuto che i cultori dello spionaggio non furono così sorpresi dal pur epocale atto terroristico, quel funesto giorno di sette anni fa. 

Libera dalle catene delle ideologie, anzitutto in Europa (oltreoceano, il terrorista arabo tende di default a sostituire il vecchio sovietico nel ruolo del letale kattivo di turno, e mi chiedo quando toccherà definitivamente al cinese), la spy fiction si rivela multiforme, customizzata in più versatili formule narrative, capillarizzata per meglio affrontare le prolificanti e interagenti metastasi che tumorizzano il nostro pianeta in quest’alba del terzo millennio, screziata di sfumature per niente rassicuranti. La narrativa spionistica e il thriller d’azione sono infatti canali evasivi estremamente atti a veicolare messaggi, allarmi seri e non solo allarmismi. Action, sì, ma anche pensiero. In letteratura come sullo schermo. Basti pensare a film del calibro di Syriana. 

In tal senso, i nostri autori, non solo in “Segretissimo”, hanno sempre dimostrato che lo spionaggio & Co. made in Italy è una realtà tangibile, viva e stimolante, che si esplica attraverso una narrativa “popolare” di qualità, testimone attenta del caotico andazzo mondiale, tra follie geopolitiche, terrorismi veri e presunti, multinazionali del crimine (“evoluzioni” di mafie tradizionali) e multinazionali criminose (espressioni di interessi economici senza confini e senza scrupoli: l’impero del business), guerre per l’energia e guerre in nome della pace (nemmeno questa una vera novità: si vis pacem para bellum, IV secolo d.C.), genocidi e conflitti “a (e-ehm ...) bassa intensità”, eserciti di contractors imbottiti di soldi ma anche stuoli di kamikaze imbottiti di religione, e poi operazioni speciali, discutibili extraordinary renditions, intrallazzi politici e poteri oscuri, istituzioni infiltrate e corrotte, servizi deviati o devianti, flussi finanziari occulti, riciclaggi di denaro sporco, diamanti insanguinati, supermercanti d’armi e trafficanti di esseri umani, e quant’altro il XXI secolo offre, di ritrito e di inedito, per non indurci nella tentazione nemmeno d’un misurato ottimismo. 

Il thriller spionistico è la fiction evasiva che, meglio di ogni altra, può divertire e insieme dare consapevolezza di questa spiacevole attualità. 

I nostri Legionari lo fanno senza timore di spingersi all’estremo, di essere politically incorrect, di metterla giù dura. Senza remore nell’incidere i bubboni per far sprizzare fuori il marcio, assieme al sangue. 

Anzi, sono i loro “ultimi eroi” ed “eroine” a farlo. Non per niente, hanno in comune la spiacevole tendenza a trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. A scoprire spesso che il nemico è alle nostre spalle. È tra di noi. Quando, addirittura, non è dentro di noi. Ma siano i nostri interpreti principali degli agenti segreti alle dirette dipendenze delle istituzioni, siano dei free lance o addirittura dei killer a pagamento, tutti (finora) conservano nell’animo un loro codice etico e una psiche forte, che li salvano dall’abisso che sempre reclama chi ha visto troppo. Ucciso troppo. 

Consentitemi un’ultima osservazione, prima delle conclusioni. Qualcosa che non va dimenticato, o sottostimato: la spy fiction non è un genere narrativo in cui si può improvvisare. Di sicuro, non nella lunghezza romanzo. Ancor meno in progetti seriali. Richiede dedizione, conoscenza, documentazione. Richiede capacità di strutturare trame articolate e intriganti, sceneggiandole con il dominio del ritmo e dell’azione. Richiede di bilanciare i drammi dei protagonisti con quelli delle macrorealtà coinvolte. Richiede abilità e passione. 

Tirando le somme...

Legion è una pietra miliare. È una chicca per gli aficionados e un prezioso biglietto di presentazione per gli altri. È un invito a scoprire una particolare e vitale espressione del thriller, nostrana nella fattura e internazionale per tematiche, spessore e potenzialità. Ed è un ulteriore stimolo a riconsiderare come la spy fiction sia la narrativa che più d’ogni altra scava nella melma della geopolitica globalizzata. 

Vi lascio dunque alle sagaci e tese trame dei nostri Legionari, che qui ribadiscono di riconoscersi come collettivo, oltre che come singoli. Un team pronto per “ogni fottuta missione”. Insomma: just the men for the dirty jobs, come direbbe uno di loro. 

Con gioco di parole biblico, voglio infine rammentarvi che il “loro” nome è Legione. 

Legione... Straniera? 

Non più.