35.
Teatro di Marcello, come nuovo
(Fig. 36)
Grazie ai dati archeologici cospicui anche in elevato, alla Forma Urbis Severiana, alle fonti letterarie e a un valido confronto come quello del coevo teatro di Orange (si veda anche l’Angolo 33), la ricostruzione del teatro di Marcello può essere portata a compimento in tutte le sue parti: dalla fondazione con sottostante palizzata in terra, dai tre ordini dell’esterno, con maschere come chiavi di volte, con finestroni all’ultimo ordine (come poi all’anfiteatro Flavio) e con i sostegni per il velarium – copertura mobile di teli –, alla summa media e ima cavea, all’orchestra, alle parodoi (gli spazi praticabili che collegavano l’esterno all’orchestra, fino al pulpitum proscenii, con ai lati le turres (a tre piani), alla via Triumphalis – attraverso le turres e il pulpitum passava infatti la processione trionfale (Atlas, tav. 223) –, alle basilicae e infine alla scenae frons, con le due fiancate e il tetto che spioveva all’infuori. Del fronte-scena abbiamo alcune colonne e la misura delle quattro altissime (m 11,23) e di marmo Luculleo che fiancheggiavano la porta Regia o centrale del proscenio e che prima avevano sorretto l’atrio della casa di Scauro (Atlas, tav. 66; Plinio il Vecchio, Storia naturale, 36.8.24, Asconio, In difesa di Emilio Scauro, commentario, 45; fig. 8). Qui, come per il postscaenium, con finto porticato voltato e sovrastanti sostegni per il velarium, aiuta la scena straordinariamente ben conservata del coevo teatro di Orange. La porticus post scaenam, di cui vi sono tracce importanti nella Forma Urbis Severiana, era divisa in due parti che avevano, al centro, un corpo leggermente avanzato, più alto e a sé stante, dove era il retro della porta Regia; qui di aiuto per la ricostruzione è stato il propileo della porticus Octaviae (Atlas, tav. 225). La porticus comunicava con le basilicae nei cui spazi potevano rifugiarsi gli spettatori in caso di pioggia. Oltre la porticus era uno spazio rettangolare, lungo, stretto e con due ingressi dal vicus lungo il Tevere che scorreva vicino. A questo spazio se ne aggiungeva un altro, semicircolare, nel quale erano accolte due aedes con arae, una delle quali forse consacrata a Pietas: uno dei culti che erano stati spostati per dar luogo al teatro. Quante volte abbiamo ricostruito questo teatro? Innumerevoli, curando sempre più ogni dettaglio e alla fine, in mancanza di dati ulteriori, ci siamo fermati, perché non riuscivamo più a fare meglio. Solo ricostruendo un monumento nella sua interezza, provandoci un innumerevole numero di volte, si può fare affidamento sulle ricostruzioni delle singole parti. Insomma bisogna arrivare a ricostruire quello che potrebbe essere stato il progetto generale di un monumento, che va interpretato come un risultato, provvisorio e ipotetico certamente, ma anche indispensabile, per avanzare e non ricadere nella sterile antiquaria. Il ricostruire i progetti architettonici e le loro modificazioni nel tempo è il fine supremo dell’archeologo, sia dal punto di vista morale che culturale; ma molti antichisti si fermano assai prima di questa meta.
Atlas, tavv. 223R, 229, ill. 27. – De Nuccio 2014.