9.
Due templa del divo Augusto, a due angoli del Palatino
(Fig. 9)

I due templa del divus Augustus – il secondo distinto dal primo – si trovavano simmetricamente ai due limiti del lato settentrionale del Palatino, segnati a nord-est dalle Curiae (veteres) e a nord-ovest dal sacellum Larundae (Tacito, Annali, 12.24). Un templum si trovava entro una porzione della casa paterna e natale del princeps, sul Palatino, ad capita Bubula (ai crani di bue o bucrani). L’altro templum si trovava subito oltre il monte, nel Velabrum, comunque vicino alla seconda casa palatina di Ottaviano, che si trovava ad scalas Anularias o dei Gioiellieri: quelle che salivano alla porta Romanula.

Il templum esastilo del Velabrum è stato chiamato novum probabilmente fin da Claudio, perché non si confondesse con l’altro, che aveva una origine più antica. Infatti era stato edificato da Livia moglie di Augusto e da Tiberio suo successore, che gli aveva aggiunto una biblioteca. Ma era stato Caligola a dedicarlo; lo aveva utilizzato per sostenere il ponte che collegava la sua domus, lì vicino, con quella che si trovava probabilmente di fronte all’aedes di Giove Capitolino. Il templum novum, distrutto da incendio, è stato poi ricostruito ottastilo da Domiziano e ripristinato infine da Antonino Pio.

Assai più complessa è la storia della casa natale di Augusto, ai palatini capita Bubula. In essa era un primo luogo di culto voluto dal princeps nel 12 a.C. (si veda oltre), cui poi Livia ha aggiunto il sacrarium divi Augusti, eretto qualche anno dopo la sua morte e poi distrutto da un incendio. Ricostruito da Claudio come templum divi Augusti e nuovamente distrutto dall’incendio del 64 d.C., il luogo è stato infine ricostruito da Nerone, tenendo conto dell’assetto complessivo della domus Aurea, in una posizione simmetrica rispetto al lucus/saellum Streniae, ma il tempio in sé è stato eretto solamente da Vespasiano, per poi durare fino alla tarda antichità (Atlas, tavv. 74, 80, 110 e tavola fuori testo 20).

La casa avita doveva essere composta di due lotti. Il primo culto era stato voluto nel lotto settentrionale, corrispondente all’angolo nord-est del Palatino, marcato da un qualche monumento, rilievo o pittura in cui figuravano teste di bue, probabilmente dei bucrania appesi al muro. Possiamo immaginare che questo culto fosse costituito da un’ara a cui portava un’ampia pavimentazione con gradoni in salita, ben conservata e nella quale il collegio degli aenatores, i suonatori di strumenti a fiato, aveva dedicato probabilmente una statua di Augusto del 12 a.C. e sicuramente una statua di Tiberio del 7 a.C. Il progetto augusteo è stato completato e coronato da Livia, nei primi anni ’20, quando ha eretto il sacrarium, di cui abbiamo notizie dalle fonti letterarie (Svetonio, Vita di Augusto, 5; Servio, Commentario all’Eneide, 8.361; Plinio il Vecchio, Storia naturale, 12.94) e da alcune terrecotte “Campana” incluse nelle murature del tempio di Claudio. Il tutto si trovava non nei pressi ma entro uno dei lotti della casa nella quale Augusto era nato.

Fino a una nostra recente riflessione, stimolata da una osservazione di Daniela Bruno (studiosa che conosce come nessun altro il Palatino), la casa natale di Augusto veniva posta lungo il vicus Curiarum, a ovest delle curiae Veteres, visto che queste sono state sempre immaginate all’angolo nord-est del Palatino, per cui esse “dovevano” raggiungere il vicus Fabricius che delimitava quel monte a oriente.

Eppure il ritrovamento da parte di Clementina Panella di una fondazione curva del v secolo a.C. ha imposto una più accurata e dettagliata riflessione sul luogo. Si tratta, probabilmente, di una riproposizione, in tecnica evoluta del v secolo a.C., della capanna originaria delle curiae, probabilmente databile tra la metà dell’viii e la metà del vi secolo a.C. L’ampia capanna rinvenuta (Atlas, tavv. 60 e 62 F), facilmente ricostruibile, si trovava all’angolo delle mura palatine, tratti delle quali hanno cominciato a essere demoliti a partire dal 550 a.C. circa, quando Servio Tullio ha rivoluzionato pomerium e murus/agger. È forse al tempo di questo tyrannus che a sud della capanna (dove non si è scavato) è stata edificata una piccola aedes, probabilmente consacrata a Iuno Curitis, la dea delle curiae, le cui terrecotte sono state rinvenute deposte nell’area della capanna e sono databili soprattutto tra la seconda metà del vi e il v secolo a.C. Molto più incerto è come fosse strutturato questo luogo tra iv e ii secolo a.C. Come che sia, la posizione della capanna e poi dell’ipotizzato tempietto – tipo quelli di Fortuna e Mater Matuta (Atlas, tav. 9) – consente finalmente di ricostruire l’area sacra delle curiae più a ovest di quanto prima si pensasse, quindi non all’angolo del Palatino nella versione a noi nota. Eppure per la testimonianza di Tacito le curiae dovevano stare all’angolo del Palatino, ma di un Palatino alto-arcaico e arcaico, più ristretto di quello della seconda metà del vi secolo a.C. e successivo. Tracce della viabilità successiva consentono di ipotizzare, almeno per le origini, un vicus predecessore del Fabricius, che correva più a occidente, delimitando il monte su questo lato. Non si sa quando, ma sicuramente dagli anni ’80 a.C., il tempietto delle curiae è stato eliminato, così come già la capanna, sostituito da una fila di sale tricliniari, probabilmente sette quante le curiae Veteres, che hanno occupato per intero uno spazio più ristretto.

È intorno al 540/530 a.C. che il Palatino si è esteso verso est, cioè verso il Celio, fino a raggiungere una strada ora creata: il vicus Fabricius. Lo spazio aggiunto al monte non è mai appartenuto alle curiae Veteres, situate più a ovest, salvo l’eccezione che vedremo. I muri di limite lungo il vicus Curiarum appartengono non alle mura palatine (come un tempo si poteva ritenere), né al muro di cinta o temenos delle curiae Veteres, ma a una domus d’angolo. L’estensione palatina era dovuta alla volontà di poter disporre di una fila di case lungo il vicus Fabricius, per le quali abbiamo indizi letterari e archeologici (scavi statunitensi e di Clementina Panella), la prima in fila delle quali sarà la casa natale di Augusto.

Mentre il limite tra le curiae Veteres e la casa dell’ignoto signore posta a ovest non è mai cambiato, per cui quella casa sempre si è trovata fuori da quell’area sacra, il suo limite a est, prima più ampio, è stato poi leggermente arretrato, almeno dal tempo di Silla. La parte persa dalle curiae è andata a vantaggio di due lotti abitativi affacciati sul vicus Fabricius, il cui retro confinava appunto con le curiae stesse. Questi due lotti formavano dal tempo di Silla un’unica dimora, quella degli Octavii. Erano pertanto i soli a trovarsi per una grande parte in uno spazio da sempre esclusivamente abitativo e per una parte minore sopra un suolo che prima di Silla era appartenuto alle curiae. Ciò spiega perché secondo Servio (Commentario all’Eneide, 8.361) Augusto era nato non presso ma “nelle” curiae Veteres, il che non potrebbe darsi, ove si immaginasse altrove la casa natale di Augusto, sia più a ovest che più a sud. Il lotto a nord misurava mq 807,8 e quello a sud 676,3, per un totale di mq 1484,1, di cui solo il 21 per cento, disposto sul retro della casa, era appartenuto alle curiae. In particolare, del lotto settentrionale della casa mq 221,8, pari al 27,4 per cento, erano appartenuti alle curiae, ed è proprio in questa parte di questo lotto che Augusto era nato.

Presa coscienza di ciò, appariva ormai inaccettabile che la casa di Augusto con il sacrarium di lui divus si trovasse a ovest delle curiae, mentre le statue di Augusto e Tiberio, erette tra il 12 e il 7 a.C., e il templum divi Augusti di Claudio e poi di Nerone/Vespasiano si trovassero a est delle curiae stesse. Troppi due luoghi tra loro separati per una realtà evidentemente unica: la casa, le statue, il sacrarium e i templa di Augusto.

Inoltre, il lotto più settentrionale si trovava proprio all’angolo tra il vicus Curiarium e il vicus Fabricius, angolo nel quale possiamo identificare i capita Bubula. All’angolo di fronte, sul versante veliense del vicus Curiarum, Augusto aveva eretto una fontana dotata di meta, fulcro generatore della nuova divisione della città in 14 regiones e 265 vici, dove le regioni iv, iii, ii, i e x fra loro si incontravano. Questo lotto non presentava più le strutture domestiche, che Augusto aveva fatto rasare per allestirvi un’area riservata probabilmente al culto del suo Genius. Casa natale e culto del Genius, riorganizzazione dei Compitalia come feste rionali ai Lares e al Genius di Augusto, meta e città divisa in regiones sono luoghi e avvenimenti, culti e riti strettamente interrelati, sui quali è stata fondata dal princeps la rigenerazione di Roma.

La casa di Ottavio padre deve essere passata, alla sua morte nel 59 a.C., al figlio (Ottavio/Ottaviano/Augusto), che già nel 58 a.C. – quando aveva cinque anni – ha lasciato la casa natale, che però ha mantenuto in proprietà, forse affittando il lotto meridionale, sempre riservato ad abitazione, e destinando invece quello settentrionale e d’angolo al culto del proprio Genius. Si pensi alle arae del Genius e del Numen Augusti e alla statua del Genius seduto nel vestibulum e davanti a questo della domus Augusti sul Cermalus (Atlas, tav. 72, nn. 30-35; qui, figg. 11 e 12, 9-10).

Per una decisione del senato che risaliva al 30 a.C., al Genius di Augusto si libava e attorno si banchettava celebrando il natale, avvenuto il 23 settembre del 63 a.C. Inoltre, dal 13 a.C. il Genius di Augusto era stato aggiunto alle divinità invocate nei giuramenti e dal 12 a.C. sono stati dal princeps riautorizzati i ludi Compitales, ora associati al culto dei Lares e del Genius propri. Probabilmente il primo compitum in cui a gennaio del 12 a.C., festa dei Compitalia, è stato celebrato il nuovo rito è stato proprio il compitum Fabricii, ricostruito poco dopo il 7 a.C. accanto alla meta. Quindi la parte della casa dove Augusto era nato e dove si venerava il suo Genius, meta e compitum Fabricii, epicentri della riforma urbana, formavano una unità topografica e concettuale.

Nel 14 d.C. Augusto muore e la casa paterna viene venduta ai patrizi Laetorii, probabilmente con il vincolo di preservare nel lotto d’angolo il culto del divo Augusto, e infatti l’allestimento cultuale del luogo è stato preservato. Nel lotto subito più a sud della stessa casa abitava allora il giovane C. Letorio. Si considerava il custode o aedituus del primo suolo che Augusto nascendo aveva toccato e lui lo rispettava, come se il divo Augusto fosse stato il suo nume domestico. Qualche anno dopo il 14 d.C., probabilmente intorno al 20, il Senato ha accusato Letorio di adulterio e in cambio di una riduzione della pena inflittagli gli ha espropriato proprio il lotto d’angolo e lo ha fatto consacrare dai pontefici al divo Augusto. Intorno agli anni 20-22 d.C. Livia – ormai adottata e quindi una Iulia, nonché nominata Augusta – ha eretto in quel lotto consacrato il sacrarium divi Augusti (Svetonio, Vita di Augusto, 5). Sono gli anni in cui Livia dedica un signum del marito nel teatro di Marcello e ottiene l’uso in città del carpentum – un carro a due ruote e coperto – in quanto sacerdos divi Augusti. Il sacrarium viene custodito oramai, non più da Letorio che continuava ad abitare nel lotto annesso ancora di sua proprietà, bensì da un aedituus servus publicus. Questo servo poteva abitare in due stanzette poste nell’angolo nord-ovest del lotto, dietro a una aedicula per statue, già interpretata come ninfeo, di età tiberiana o claudia. Nel sacrarium, controllato da Livia in quanto vedova e sacerdotessa, l’Augusta aveva trasferito la corrispondenza personale del marito morto. In un giorno del 26 d.C. Livia, adirata con Tiberio, aveva consultato e letto nel sacrarium alcune lettere di Augusto, per mettere in difficoltà il nuovo princeps con passi imbarazzanti scritti da Augusto su di lui. Quale perfidia!

Un incendio ha distrutto poi il sacrarium. Nel 42 d.C. Claudio ha divinizzato Livia, ne ha associato il culto a quello di Augusto e ha ricostruito l’edificio di culto nello stesso luogo, ma questa volta su un rettangolo di suolo inaugurato dagli auguri, quindi su di un templum, per cui anche l’edificio sacro costruito sopra è stato definito templum. Gli aeditui sono oramai di un rango superiore, cioè liberti imperiali. Allo stesso tempo viene eretta accanto al tempio una seconda aedicula, nella quale il collegio degli aenatores ha fatto erigere statue dei Cesari.

L’incendio del 64 d.C. ha distrutto anche questo templum e il luogo di culto, spostato e ristrutturato, viene apprestato da Nerone ma edificato da Vespasiano e durerà fino alla tarda antichità. Nel 312 d.C., in un ambiente delle curiae Veteres, vengono nascoste le insegne di Massenzio morto nella battaglia di Ponte Milvio da lui perduta.

Sul sacrarium/templum divi Augusti: Atlas, tavv. 64 H, 70 C, 74, fig. 34. – Bruno 2014a. – Hostetter, Rasmus Brandt 2009. – Panella, Zeggio, Ferrandes 2014.

Sul templum novum divi Augusti: Atlas, tavv. 40-41 D, 269A, fig. 34.

Angoli di Roma
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