29.
Il maggiore tempio di Roma e dell’Impero
(Fig. 30)
Secondo Dione Cassio (77.16.3), Settimio Severo aveva costruito un tempio a Ercole e Dioniso (Bacco) – dèi protettori di Leptis Magna – “immensamente grande” (hupermeghethes = hupermegas), non sappiamo se a Leptis Magna, sua città di origine, oppure a Roma.
A Leptis non figura alcun tempio straordinariamente grande. Settimio Severo vi ha varato un duplice progetto: nuovi monumenti intorno al Foro e un’estensione urbana nella quale ha eretto monumenti come la basilica, ma manca in quel progetto un tempio immensamente grande. Inoltre suo figlio Caracalla ha interrotto i lavori alla morte del padre, per cui un terzo progetto appare improbabile (ringrazio per l’informazione L. Musso). Esiste invece un tempio enorme proprio nel complesso severiano del Quirinale.
Non soltanto è il più grande tempio di Roma, ma è addirittura il maggiore dell’intero Impero: mq 5846, superiore per mq 107 al tempio di Baalbek, ma la basilica costantiniana di Pietro ha raggiunto i mq 9139, per cui il primo apostolo di Gesù ha meritato quasi il doppio della superficie assegnata a due dei pagani. Questo dato di fatto rende l’identificazione dell’enorme tempio lungo il vicus laci Fundani (oggi via xxiv Maggio) sicura: è il templum Herculis et Dionysi. L’identificazione comporta la presenza, nel medesimo complesso, di un secondo tempio, quello di Serapide, che numerosi indizi e di vario tipo riconducono a questo stesso luogo della città (Atlas, tav. 192).
Il tempio di Ercole e Dioniso è difficile da immaginare più che decastilo (Palladio lo ha ricostruito dodecastilo). Conosciamo la dimensione generale del tempio, dove arrivava la cella e un angolo del frontone. Si appoggiava a un grande muro che con altri due delimitava su tre lati l’area sacra. Dietro a questo muro si ergeva un corpo intermedio lungo e stretto, che aveva al centro un cavaedium, ai lati del quale erano due corridoi con gli accessi al grande tempio, alla sua area sacra e a un sistema di rampe che portava in basso, alla quota del vicus Caprarius. Questi corridoi dotati di quattro finestre, avevano quattro stanze anch’esse finestrate al piano sottostante; entrambi i piani erano sostenuti da tre contrafforti. I corridoi conducevano anche ad appartamenti disposti su tre piani contenuti nelle turres che sorgevano alle estremità di quel corpo. Al centro era il citato cavaedium, che comunicava con i corridoi e immetteva nella seconda area sacra, attribuibile all’aedes Serapidis, costituita da una triplice porticus che al centro accoglieva la aedes, orientata al contrario del tempio di Ercole e Dioniso. Ai lati del complesso erano giardini terrazzati.
Da un punto di vista strutturale, sia il corpo intermedio che l’area sacra a Serapide facevano parte di una enorme sostruzione appoggiata al muro di fondo del tempio di Ercole e Dioniso, delle cui rovine abbiamo varie raffigurazioni del ’500 e del ’600 – tra le quali una informa anche sulla disposizione dei due livelli di finestre relativi ai due percorsi delle rampe –, e anche resti archeologici che permangono nel giardino Colonna e nella Università Gregoriana, di cui ora esiste il rilievo di E. Gallocchio, che molto ci ha aiutato a migliorare planimetrie e alzati. L’opera aveva previsto un taglio verticale del collis Mucialis, dal livello del vicus laci Fundani fino raggiungere quello del vicus Caprarius. La sostruzione, esclusi gli edifici sovrastanti per i quali era stata costruita, era alta m 25,31, per cui era di poco più elevata rispetto a quella che sosteneva la silva Apollinis nella casa-santuario di Augusto, alta m 25,16, mentre più alta ancora (m 29,91) era quella di età adrianea antistante i templi di Victoria e Magna Mater. Non avrebbe senso una opera tanto colossale solo per albergare una rampa di accesso al Quirinale dalla bassura del Campo Marzio, sul genere di quella che univa la grande aula di ricevimento domizianea e i penetralia di Minerva alla domus Tiberiana (Atlas, tav. 48). Questa doppia rampa, superando m 25,47 di dislivello, occupava solo mq 347,7, mentre la sostruzione Severiana occupava mq 4486,3, quindi tredici volte maggiore! Doveva quindi albergare ben altro. Nel complesso severiano, che è perfettamente simmetrico, le rampe sono due, ciascuna entro due spazi lunghi e stretti, uno esterno, percorso due volte, e uno interno, percorso una volta sola. Queste due doppie rampe affiancavano e includevano uno spazio molto più ampio, libero e al centro, la cui planimetria sembra prevedere al di sopra una grande aula circondata da un porticato. È questo l’unico luogo dove è immaginabile e perfettamente ricostruibile il complesso di Serapide, fatto di porticus e di aedes, che tanti indizi riconducono proprio in questo luogo.
Il frontone principale del tempio di Ercole e Dioniso poteva essere ornato dai Dioscuri ora in piazza del Quirinale – i mitici gemelli potevano rimandare a Geta e Caracalla – posti forse ai lati di una statua del padre Giove, dio che doveva rimandare a Settimio Severo. Una statua di Roma seduta poteva ornare il centro del frontone o essere posta come acroterio sul tetto.
Le estremità del frontone occidentale del tempio di Serapide potevano essere decorate dalle statue del Nilo e del Tevere, rinvenute nelle vicine terme di Costantino (Atlas, tav. 196), trasferite nel 1517 in Campidoglio e poste ai lati della doppia scalinata d’accesso del Palazzo Senatorio realizzata da Michelangelo.
Insomma, il complesso severiano del Quirinale era un angolo esotico di Roma, per una parte libico e per l’altra egizio, un angolo africano che riportava a Leptis Magna e ai suoi divini patroni e ad Alessandria e al suo Serapeo, santuario eretto dai Tolomei, probabilmente da Tolomeo III (246-221 a.C.), ricostruito in età imperiale (m 185 x 92), cui si accedeva tramite una scalinata di 100 gradini e che comprendeva il tempio di Serapide con annessa biblioteca, i culti di Arpocrate e di Iside, la necropoli sotterranea degli animali sacri e sacelli per le altre divinità egizie; per la salute dell’imperatore Adriano, vi è stata dedicata una grande scultura del toro Api.
Atlas, tavv. 191 M, 192-194, ill. 30, figg. 161-162, 169-171. – Capanna 2009. – Coarelli 2014. – Santangeli Valenzani 1991-1992.