23.
La Velia, dove era?
(Fig. 24)
La topografia di Roma è grandemente facilitata dal fatto che si articola in monti/colli e in bassure/valli, le quali hanno conservato ancora oggi i loro nomi antichi, per cui la conformazione dei luoghi aiuta a comprendere i limiti degli stessi rilievi e valli. Ciò non si verificherebbe se la città fosse stata in pianura, nella quale i toponimi vagherebbero, rendendo tutto assai incerto. Vi è però un’eccezione rappresentata dal monte Velia, il secondo in grado d’importanza dopo il Palatium nel contesto del Septimontium. Si trattava di un monte piccolino, sede degli antichissimi Velienses, uno dei populi Albenses, villaggio che deve aver svolto un ruolo preminente, al tempo dei primi Latini, anteriormente al Septimontium e quindi ai centri/centro proto-urbano, quando probabilmente questo monte è sceso al secondo posto. Allora è cominciata la fortuna del Palatium e del Cermalus, cioè del Palatino.
Di questo monticello della Velia, interposto tra il Palatium e il Fagutal/Esquiliae (l’Esquilino) – pertanto centralissimo – non resta quasi più nulla, salvo il lembo della villa Rivaldi. Gli altri tre lembi sono stati asportati, soprattutto da Nerone e dai Flavi, per dar luogo ai portici racchiudenti edifici pubblici e principeschi disposti lungo la nuova Sacra via tra i quali gli horrea flavi, la basilica di Massenzio, il vestibulum della residenza veliense della domus Aurea e il templum Pacis. Per contenere le parti superstiti del monte erano servite, fin d’allora, cospicue opere murarie di contenimento (fig. 22). A completare la distruzione del monte è stato infine Mussolini con la sua pomposa via dell’Impero, la quale ha scassato sia la grande domus che sorgeva sulla sua cima, probabile residenza del praefectus Urbi, sia l’aedes/secretarium Telluris con edifici annessi (fig. 24, A, 1-2, 9), che chiudeva a est il complesso della prefettura urbana, aperto a ovest dal templum Pacis.
Per questa parte importantissima di Roma possediamo solamente disegni del ’500 attribuiti a Francesco da Sangallo (fig. 24, c) e a Pirro Ligorio (fig. 24, a-b). Solo essi consentono di ricostruire la topografia di questa zona importantissima della città a partire dalla fine del ii secolo d.C. Dunque, la Velia è stata sbocconcellata dai maggiori demolitori urbani. Un monticello è un inno alla varietà e non all’uniformità, dote noiosissima che i despoti, da Nerone a Mussolini, prediligono. Ma i resti sopravvissuti e le testimonianze di rinvenimenti poi scomparsi, ma agganciabili a luoghi certi come il nartece della basilica di Massenzio, consentono di ricucire e ricostruire la deliziosa e provocante irregolarità del rilievo e di resuscitare la storia di un quartiere. Mussolini non poteva ammettere che tra Palazzo Venezia e il Colosseo si interponesse un rilievo, inteso ottusamente come un intralcio visivo alla prospettiva. È la solita cultura selettiva dei monumenti isolati che contrasta con la contestualità satura di varietà di ogni vita (di qui anche la tutela impostata in Italia soprattutto su vincoli puntiformi).
Amoroso 2007. – Atlas, tav. I. – Capanna, Amoroso 2006.