1.
Le capanne di Romolo e di Marte
con Ops
(Fig. 1)
L’approdo sul Tevere al sito di Roma si trovava in origine a una estremità dell’Aventino, dove era l’ara Massima di Ercole, l’eroe civilizzatore che di ritorno dalle peripezie nel più estremo Occidente – le Baleari? – aveva soppresso il capo indigeno sputafuoco chiamato Caco, che aveva avuto il suo antro lì vicino. Nelle piene il Tevere si insinuava tra Campidoglio e Aventino, raggiungendo le bassure del Velabrum e della vallis Murcia e il Cermalus, il versante del Palatino rivolto all’Aventino.
È presso questo approdo che Romolo, ottenuti sull’Aventino gli auspici favorevoli per fondare la città e inaugurarsi re, ha scagliato l’hasta per prendere possesso del Palatino. L’hasta era il simbolo del potere, della conquista e della proprietà in forma di lancia. L’hasta scagliata aveva raggiunto il Cermalus e si era conficcata davanti alla capanna del capo e porcaro Faustulus e della sua compagna Acca, la Madre dei Lari e degli Arvali, che erano stati anche i genitori putativi presso i quali Remo e Romolo erano stati allevati.
Remo e Romolo erano figli di Marte (Mars) e di Rhea Silvia, principessa di Alba, un villaggio al centro del Lazio dove si venerava il Giove (Iuppiter) di tutti i Latini (Latiaris). Erano stati esposti al Tevere dal perfido re albano Amulio. La cesta che li conteneva era stata abbandonata sulla riva del fiume presso il Lupercal, il santuario/grotta di Mars e di Faunus Lupercus (lupus e hircus/capro) posto ai piedi del Cermalus. Non potevano capitare in luogo più propizio. Il Tevere si era prontamente ritirato risparmiandoli e un picchio e una lupa avevano nutrito i gemelli. Mars era il divino generatore di Picus il picchio e di Faunus il lupo: gli avi totemici che avevano salvato i gemelli.
In cima al Cermalus, dove era stato il tugurium Faustuli e dove l’hasta di Romolo si era conficcata, mettendovi radici e tornando a essere vivente corniolo, il re-augure Romolo edifica la sua casa o capanna. Di fronte a essa svolge i primi riti per fondare Roma. Nasconde in una fossa – come in un penus o sotterranea dispensa – terre e primizie dei vari rioni e distretti della comunità e poi accende lì accanto su un’ara il primo fuoco regio, magari derivato dal focolare della reggia di Alba che sua madre Rhea Silvia aveva un tempo accudito. Infine il re-augure fissa con le pietre del pomerium i limiti del suolo palatino per il quale ottiene da Giove una inaugurazione – potremmo dire una benedizione – e traccia con l’aratro, al di fuori di quelle pietre, il sulcus primigenius, per edificarvi poi al di sopra un murus, interrotto da tre porte, erette dove aveva sollevato l’aratro. Si trattava di un murus sanctus, posto entro una fascia di suolo non abitabile, non coltivabile, non alterabile e non violabile, delimitata dietro al murus dalle pietre del postmoerium/pomerium e davanti a esso da quelle del promoerium.
La benedizione di Giove ottenuta da Romolo, o inaugurazione, aveva dato al Palatino uno statuto superiore al resto dell’abitato e all’agro dei Quirites. Solo il Palatino era allora la urbs Roma, tanto che una porta sopravvissuta del suo murus si chiamava Romanula.
Sul Cermalus gli archeologi hanno rinvenuto una grande capanna ovale sorretta all’interno da quattro pali, in cui possiamo riconoscere il tugurium Faustuli, dove Romolo era stato allevato. Questa capanna è stata poi rasata per edificarvi sopra due capanne associate. Una era di abitazione e vi si può riconoscere la casa Romuli. L’altra, articolata in due ambienti, il primo rettangolare con funzione di vestibulum e il secondo tondeggiante, era probabilmente il sacrarium di Mars e Ops, la coppia generatrice divina nella quale si possono riconoscere i genitori di Romolo: Mars e Rhea (Silvia), nome quest’ultimo equivalente a quello di Ops, la dea dell’opulenza. Lì era forse anche la curia saliorum, cioè la stanza dei sacerdoti di Mars, depositari del lituus di Romolo, il bastone-tromba di cui il re si era servito per osservare il volo degli uccelli rivelatori delle volontà di Giove e per inaugurare il Palatino.
Davanti alla capanna di Romolo è stata rinvenuta una cavità rettangolare (fossa), associata a un’ara lavorata nel tufo. Era probabilmente la fossa utilizzata dal re per accogliere e unificare terre e primizie dell’abitato e forse anche dell’agro. Accanto era l’altare sul quale può essere stato acceso il primo fuoco regio della città. Capanne, fossa e ara si trovavano tra il ciglio o supercilium delle scalae Caci e il percorso del futuro clivus Victoriae, entro un’area ben definita e circondata da un recinto. Era forse il recinto che delimitava il fanum di Mars e Ops, nel quale la casa Romuli era stata accolta, come poi le case dei re-auguri nella radura o lucus sacra a Vesta, la dea del fuoco comune. Al tempo dei Tarquini, i sacraria di queste divinità saranno accolti in un edificio regio che era considerato anch’esso un fanum, cioè un’area delimitata e consacrata a una divinità.
La doppia capanna, che può essere interpretata come sacrarium di Mars e Ops e come curia Saiorum, verrà preservata e venerata dai Romani, con nuovi apprestamenti, nel corso di oltre mezzo millennio – indice della sacralità del luogo –, fino a quando verrà seppellita sotto l’area antistante il tempio della Magna Mater, edificato nel 191 a.C. Da allora le memorie romulee saranno accolte nell’annesso recinto o sacellum, dove si trovano la descritta fossa con ara della fondazione e dove probabilmente era stata riproposta la capanna del re fondatore, che Varrone (Lingua Latina 5.54) definisce aedes (al singolare) Romuli. Il tutto è stato preservato fino alla tarda antichità come un museo del fondatore e della fondazione di Roma, in una continuità complessiva durata più di un millennio.
Analoghe conservazioni e riproposizioni si conoscono per il murus e le portae del Palatino, fatte e rifatte fino all’incendio del 64 d.C., quindi nel corso di oltre 800 anni. La memoria mitistorica dei Romani si ancorava pertanto a monumenti alto-arcaici, più volte restaurati e riproposti, la cui secolare continuità stupisce e condiziona una critica storica informata.
Atlas, tavv. 61, 62, 63, 171, ill. 8, fig. 46. – Bruno 2010, pp. 287-296. – Carandini 2006.