58.
Kate aprì gli occhi lentamente. Aveva dolori ovunque, come se fosse stesa su uno specchio rotto. La vista era confusa e le scoppiava la testa. Quanto tempo era rimasta svenuta? Un minuto? Un giorno?
Cercò di sedersi più comoda ma il corpo non collaborava. Le sembrava di pesare una tonnellata. Aveva polsi, gambe e caviglie legati con del nastro adesivo telato, ed era assicurata con la cintura al sedile posteriore di una Jeep. La Jeep Renegade che la stava seguendo a Stanford. E c’era Palmer Dyson al volante.
«Ciao, Kate.»
Lo fissò incredula.
«Come ti senti?» le chiese.
Si dimenò cercando di liberarsi, ma il nastro adesivo le impediva ogni movimento. «Non eri in Messico?» riuscì a dire, in preda allo sconcerto.
«Rilassati. Andrà tutto bene.»
Sentì un’impennata di adrenalina mentre cercava di capire cosa le stava accadendo. L’auto attraversava una zona selvaggia. Dove si trovavano? Vedeva solo boschi intorno. «Dove mi stai portando? Che sta succedendo?»
«Sei in stato di shock. Devi calmarti.»
La Jeep procedeva con un rumore sordo sull’asfalto crepato e il nevischio screziava il vetro, rendendo il paesaggio fuori sempre più indistinto. La strada era deserta, ma se anche avessero incrociato un’altra auto, i finestrini oscurati l’avrebbero nascosta agli occhi dei curiosi. Quanto alle portiere posteriori, nessuna speranza contro il sistema di bloccaggio automatico. Provò a chinarsi in avanti, tirando i muscoli, ma un accesso di nausea la costrinse a rinunciare.
«Non opporti», disse Palmer. «Sarà più facile se non opponi resistenza.»
Lo fissò. «Dove mi stai portando?»
«In un posto sicuro.»
«Sicuro da cosa? Perché sono legata? Che diavolo succede?»
«Sai, stavo pensando ai vari modi di affrontare la cosa», disse in tono confidenziale. «Ma poi mi sono detto... l’onestà è la politica migliore.»
Oh mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio.
Pian piano, i pistoncini si allinearono. Il barilotto ruotò nel cilindro. Le porte si spalancarono tutte contemporaneamente e lo vide con chiarezza cristallina: lo smisurato inganno di Palmer Dyson.
S’impennò come un cavallo che rifiuta le briglie, urlando e dimenandosi, trattenuta dal nastro adesivo. Lui la osservava freddamente, come se la stesse studiando. Nessuna emozione. Zero. Non un barlume.
Smise di agitarsi e contenne l’indignazione. «Questo non sei tu», provò a dire. «Tu sei una brava persona, Palmer. Ferma la macchina e lasciami andare. Ti prometto che non dirò mai niente.»
«Mi dispiace, Kate.»
Che sciocchezza. Che stupida a fidarsi di lui. Provò un odio sconfinato per quell’uomo, una rabbia che aveva visto solo in alcuni pazienti violenti prima di essere sedati. L’ira impotente di chi è prigioniero. «Sei malato», disse con disprezzo.
«Tu non sai quanto», rispose lui.
La rabbia esplose. Urlò e si dimenò sul sedile sforzandosi di liberarsi dal nastro adesivo e continuò fino allo sfinimento, finché capì che non ce l’avrebbe fatta e si afflosciò ansimando, rassegnandosi al suo destino come un insetto intrappolato in una ragnatela.
«Ammettilo, Kate. Ti ci sei messa tu in questa situazione. Te l’avevo detto di non essere ingenua.»
«Hai intenzione di uccidermi?»
Palmer le sorrise nello specchietto retrovisore. «Perché dovrei ucciderti? C’è un legame tra noi.»
«Un legame?» ripeté con un tono di scherno.
«So che lo senti anche tu.»
Tutto quello che sentiva lei era un terrore assordante.
«C’è un vincolo, tra noi», continuò lui. «Una vicinanza. Spero di spiegarti tutto, un giorno di questi. Potremmo giocare al paziente e alla psichiatra, se ti va. Mi faccio psicoanalizzare, così tu avrai le tue risposte sul come e il perché l’ho fatto, e magari scoprirò qualcosa anch’io su di me.»
Fu assalita da un’altra ondata di paura. Riprese a dimenarsi, ma così peggiorava soltanto le cose.
«Calmati», disse lui, osservandola.
Trattenne il respiro e pensò alla prossima mossa. Doveva convincerlo a rinunciare al suo piano, qualunque fosse. In queste situazioni, l’ostaggio deve provare a instaurare un rapporto con il rapitore. Usare molto il suo nome. Stuzzicare il suo ego. Doveva essere astuta, se voleva sopravvivere. Se non poteva usare la forza, doveva usare la testa.
Innanzitutto le occorreva qualcosa di affilato per recidere il nastro adesivo che le teneva legati i polsi. Si guardò intorno ma sul sedile non c’era niente. Mentre agitava nervosamente le dita delle mani cercando di farsi venire un’idea, sentì l’anello di James.
«I corpi li troveranno a primavera», disse Palmer con voce sommessa, e lei alzò lo sguardo. «Qualche escursionista o un cacciatore s’imbatterà nella BMW sul vecchio sentiero sterrato con Stigler a bordo. Si è fatto saltare le cervella. Ha lasciato un biglietto prima di suicidarsi. Gliel’ho dettato io. Tuo padre è stato la sua ultima vittima. Ucciso con ventidue coltellate. Da psichiatra, apprezzerai il richiamo.»
«Sarebbe?»
«Pensaci.»
Ventidue coltellate. Sua madre era morta da ventidue anni. Guardò dritto nel vuoto, sforzandosi di mantenere la lucidità mentre girava l’anello in sotto e cominciava a sfregare la pietra avanti e indietro contro il nastro adesivo con piccoli movimenti impercettibili. Tenne le mani in grembo, dove lui non poteva vederle.
«Chi ha un minimo di curiosità ci arriva. Ma dubito che la polizia locale lo noterà. In ogni caso, Stigler passerà alla storia come uno dei grandi, al pari del killer BTK e di Ted Bundy.»
«Sembri invidioso», lo provocò.
«Naa. Preferisco essere un eroe. Hai consegnato la chiavetta a Dunmeyer, no?»
Nell’annuire, percepì un velo di sudore sul viso.
«Mi conferiranno un’onorificenza postuma. Ho disposto tutto. Sono morto durante un trattamento non testato. A breve un agente messicano farà recapitare le mie ceneri negli Stati Uniti insieme a un certificato di morte. Ti meraviglieresti di cosa è disposta a fare la gente per soldi.»
La rabbia divampò. «Il cancro almeno ce l’hai? O era una bugia anche quella?»
«È in remissione da dieci anni.»
«Quindi non morirai?»
Palmer fece spallucce. «Non oggi.»
Tirò un respiro profondo. La pioggia mista a grandine stava diminuendo. Mentre il sole faceva capolino dietro le nubi, la strada cominciò a salire verso i monti. La vista dall’alto era quasi surreale. Da cartolina.
Non doveva perdere la concentrazione, e doveva tenere Palmer occupato mentre provava a liberarsi i polsi. Aveva già tagliato un centimetro di nastro adesivo. «Hai detto che speri di spiegarmi tutto, un giorno. Perché non me lo spieghi adesso?»
La guardò. «Troppo semplice. Dovrai impegnarti un po’ di più, Kate.»
«Oh, andiamo. Gli psichiatri sono come i preti e tu muori dalla voglia di confessarti. Sono l’unica persona al mondo che sa quello che hai fatto. Hai dedicato quasi una vita intera a orchestrare questo immane imbroglio, e per cosa? Per sparire e fare come se non fosse mai successo? Per essere un eroe morto? Non ti secca? È come aver vinto le Olimpiadi e non potersene vantare con nessuno.»
Palmer sorrise. «Non fare i giochetti con me, Kate.»
«Non sto facendo i giochetti. Tu sei fiero dei tuoi misfatti, sei l’eroe della tua storia. Quindi dimmi perché l’hai fatto. Sei uno psicopatico? Ci sei nato o è stato un evento della tua infanzia a scatenare tutto? Cosa ti è successo di così catastrofico da giustificare questa strage?»
Fece spallucce. «Perché l’ho fatto? Perché nessuno mi ha fermato.»
«No, non è vero. C’è una ragione più profonda. Andiamo, dimmelo. Com’è cominciata?» Il nastro adesivo era in gran parte reciso, adesso, e lentamente, per gradi, cominciava ad allentarsi. «M’interessa davvero saperlo. Qual è il motivo?»
«Dev’essercene uno per forza?»
«C’è sempre un motivo.»
La guardò con aria di sufficienza «Se vogliamo parlare di consapevolezza di sé e delle proprie azioni, tu non hai fatto un gran lavoro di autoanalisi, Kate. Ti conosco molto meglio io di quanto ti conosca tu. Hai ancora parecchia strada da fare.»
«Che vuoi dire?»
«Oh, andiamo. Ti ho condotto io qui. Come un topo nel labirinto.»
«In che senso?»
«Nel senso che hai fatto tutto quello che mi aspettavo facessi.»
Ci pensò un attimo. «Ti riferisci al libro del dottor Holley? Alla paziente J?»
«Avevo già in programma di fartelo trovare in un modo o nell’altro, ma quando ti sei persa nel bosco e hai accettato di fermarti alla mia baita, ho colto l’occasione al volo. Era troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Ho lasciato il libro in bella vista, e il mattino dopo mi sono fatto dare il tuo cellulare per inserirti il mio numero di emergenza, ricordi? Non dare mai il telefono a nessuno. Ci vuole un attimo ad hackerarlo. Ho scaricato un paio di applicazioni e da allora leggo i tuoi messaggi, ascolto le tue conversazioni e seguo i tuoi spostamenti.»
Kate sfregò con più forza contro il nastro adesivo.
«Le noccioline tostate nel tuo studio le ho fatte mettere io. Ho dato una mancia a un’addetta alle pulizie. Mi diverto a confondere la gente, a fare venire i dubbi. Hai notato le cose che ti sono sparite negli anni? Occhiali da vista, biancheria intima...»
«E a che scopo, posso saperlo?» domandò, indignata.
«Così, per sfizio.»
Sentì una goccia di sudore scenderle lentamente sulla fronte. «Quindi hai lasciato tu le noccioline alla cascina dei miei nonni.»
«Qualche settimana fa. Sono stato più volte alla cascina. Non sapevo se e quando ci saresti tornata, e certo non pensavo che l’avresti fatto pensando che tuo padre fosse un serial killer.» Rise. «Mi è piaciuto quando mi hai chiamato papà.»
Lo fissò con ripugnanza.
«Ieri ti sei vantata di essere all’altezza della situazione perché hai lavorato al McLean, ricordi? Credimi. Non sei pronta per questo. Ho seminato una serie di esche, Kate. E tu hai abboccato a tutte.»
La mente si stava annebbiando. Non fermarti. Mantieni la concentrazione. «Vuoi dire che mi hai condotto passo per passo? Come sapevi che avrei guardato nella chiavetta? Come sapevi che avrei detto a mio padre che Stigler aveva ucciso mia madre?»
«Andiamo, Kate. Era ovvio che non avresti resistito a guardare nella chiavetta. Quanto a tuo padre, avevo già un piano in caso non gli avessi detto di Stigler, poi la cosa si è risolta da sola e non ne ho avuto bisogno.»
Pensò al cadavere del padre avvolto nella tenda di plastica della doccia e a quello di Stigler riverso sul volante, il cranio esploso come un palloncino pieno d’acqua.
«Però quando parlando delle motivazioni dell’assassino hai detto che era tutta una questione di potere e controllo, avevi ragione», disse Palmer. «È proprio così. E siccome il vero potere è sapere, io so tutto quello che c’è da sapere su Blunt River e sulla sua gente. Te compresa. Ti conosco da più tempo di quanto non immagini, Kate.»
«Cosa stai dicendo? Ci siamo conosciuti personalmente una settimana fa.»
«No, cara. Io ti conosco da quando sei nata. Entravo di nascosto in casa vostra nel cuore della notte e ti guardavo giocare nella culla. Tenevano la chiave di scorta sotto un vaso di fiori in giardino, ci puoi credere? La gente è proprio stupida. Conosco ogni centimetro di quella casa. So dove tua madre teneva le pillole anticoncezionali, dove tuo padre nascondeva le riviste pornografiche. So dove tenevi i rasoi, Kate. Ho visto il mucchio di gomme da masticare sotto il letto di tua sorella molto prima di te.»
Le girava la testa ma proseguì strenuamente nel disperato tentativo di liberarsi. Vai avanti, resta concentrata. Lo strappo era ormai di cinque centimetri e il nastro adesivo cominciava a staccarsi intorno ai suoi polsi sudati.
«A volte guardavo Julia mentre dormiva», continuò lui. «Stava tutta sul lato esterno del materasso, più lontana possibile da tuo padre. Le rubavo piccole cose, gioielli, libri, lettere. Le ho ammazzato il gatto. Stava già perdendo colpi. Mi piace credere d’aver dato una mano.»
Kate pensò subito al ciondolo a falce di luna. «Hai strangolato Susie Gafford con la collana che hai rubato a mia madre?»
«Come ho detto, quello è stato un errore madornale. Da principiante.»
Lo fissò con odio. «Perché?» gli chiese.
«Perché no?» ribatté lui, provocatorio.
Guardava Julia mentre dormiva. Rubava le sue cose. «È tutto per mia madre, vero? È per questo che hai incastrato Henry Blackwood e William Stigler. Perché sono andati a letto con lei. Per questo hai ucciso mio padre.»
Palmer fece spallucce. «La psichiatra sei tu, dimmelo tu.»
«Non sopportavi che si concedesse ad altri uomini. Eri ossessionato da lei.»
«La amavo», confessò. «E lei mi ha tradito.»
«Tradito come? Sentiamo.»
«La conoscevo da quando era piccola, andavamo a scuola insieme. Era uno sgorbio, allora, magra come un’acciuga, ma io l’ho amata dal primo momento. Era destinata a me. Invece lei ha gettato tutto alle ortiche.»
«E tu l’hai uccisa.»
«No, no, no. Non hai capito. Non l’ho uccisa io, è stato Stigler. Era molto geloso e lei lo provocava, una cosa che le riusciva benissimo. Quella fatidica sera avevano litigato e lui era ubriaco. L’ha seguita al fiume e l‘ha ammazzata, camuffando il delitto da suicidio. Ci ho messo la bellezza di ventidue anni a vendicarmi di quel maledetto bastardo.»
Lo fissò. «Quindi hai fatto tutto quello che hai fatto... per vendetta?»
«Perché la cosa ti stupisce?»
Il nastro adesivo stava per cedere. C’era quasi.
«Tua madre era una bellezza rara, una persona speciale... ma non aveva rispetto per se stessa. Avevo quattordici anni quando ha avuto compassione di me. Siamo stati a letto insieme un paio di volte, poi mi ha lasciato. Era volubile da quel punto di vista. Metà degli uomini della cittadina erano pazzi di lei, ma ha finito per sposare tuo padre, Dio sa perché. Comunque. Lui ha preso una cosa mia, di conseguenza io ne ho presa una sua: la figlia. Lui ha tolto a me la possibilità di essere felice, io ho tolto a lui la serenità e la pace interiore. Siamo pari. La gente deve pagare per le sue azioni.»
Le balzò il cuore in gola quando vide un cartello stradale. Erano nella contea di Piscataquis, in direzione nord. La strada che saliva sul monte era stretta e tortuosa. Aveva smesso di nevicare e vedeva la valle dall’alto, una vasta distesa di foreste e laghi.
«Perché Savannah e non me?»
«Quando ho scoperto che era figlia di Blackwood, ho pensato di prendere due piccioni con una fava.»
«Ma Blackwood non sapeva di essere il padre biologico di Savannah.»
«Lo sapevo io.»
«E le altre ragazze?» gli domandò. «Come le hai scelte?»
«Ho convinto l’assistente di ricerca di Stigler a darmi i nomi di tutte le famiglie che partecipavano al progetto. È stato facile. Era tossicodipendente, l’ho ricattato.»
«Ma i nomi saranno stati centinaia. Qual era il criterio di selezione?»
«Nessuno, coglievo semplicemente le occasioni che mi si presentavano. Non bastava il momento buono per rapirle, bisognava anche che coincidesse con i viaggi di Stigler fuori città.»
«Per poter seppellire i corpi nella sua proprietà senza che nessuno se ne accorgesse?»
Palmer annuì.
«È lì che la polizia troverà le quattro ragazze che mancano? Nel suo giardino?»
«Soffocate. Con la testa rasata», precisò.
«Ma non hai rasato la testa a tutte. A Susie Gafford e alle due ragazze suicide mancava solo qualche ciocca.»
«Be’, sarebbe stata dura credere che fosse davvero un suicidio se le avessi lasciate con la testa rasata come le altre, ti pare? Nel loro caso mi sono accontentato di un assaggio.»
Kate ebbe un’improvvisa, straziante visione di Nikki appesa alla trave a casa dei genitori. «Hai ucciso anche Nikki McCormack?»
«Cos’altro avrei potuto fare per attirare la tua attenzione, Kate? Ignoravi tutte le mie lettere. Ho dovuto trovare il modo di orchestrare il nostro incontro al funerale.»
Le caddero le braccia. «E mi hai inseguita per anni? Perché non mi hai uccisa e basta?»
«Perché avrei dovuto farlo? Non era mia intenzione. Oh, a proposito, mi spiace per tua suocera.»
Lo guardò senza capire.
«James stava diventando una seccatura», le spiegò Palmer. «Ma era facile immaginare che ti avrebbe abbandonata per stare con mammina. Mi è bastato gettare un po’ d’acqua sui gradini della veranda. Il ghiaccio è un vero pericolo per gli anziani.»
Restò a bocca aperta, incredula.
«Hai ucciso anche Nelly?»
«No. Ma non è un mistero chi sia stato: Derrick Ward era un uomo violento.»
«Chi sei tu per parlare di uomini violenti?»
«Non sono sempre stato così. Ero un bambino ubbidiente. Ma tua madre mi ha cambiato. La amavo e lei si prendeva gioco di me. C’erano centinaia di ragazze nello studio di Stigler. Perché ne ho scelte solo nove? Perché Julia aveva un debole per Eddie Gafford. Flirtava con il padre di Emera Mason. Potrei andare avanti.»
«Stai dicendo che sei diventato così per colpa di mia madre?» esclamò Kate, indignata.
Palmer fece spallucce. «Nessuno di noi è innocente.»
«A te non ha mai fatto niente.»
«Come no? Mi ha umiliato.»
Kate parlò con voce posata. «Non credo che questo basti. Deve esserci stato qualcosa che ha causato la svolta. Cosa è successo, Palmer? Cos’è che ha fatto uscire allo scoperto lo psicopatico che era in te?»
Lui alzò un sopracciglio. «Vuoi una storia più convincente? D’accordo. Mio padre era un poliziotto di quartiere a Manchester. Stessa merda per anni, da mezzogiorno a mezzanotte. Lo conoscevano tutti, e tutti facevano affidamento su di lui per il mantenimento della sicurezza nel sobborgo. Peccato che a casa fosse un gran bastardo che picchiava me e mia madre. Quando avevo sei anni se n’è andato e mia madre ha cominciato a uscire di senno. È diventata paranoica, fumava, beveva e guardava la tv per ore. Usciva per lunghe passeggiate e tornava con le scarpe tutte sporche d’erba. Ero convinto che camminasse sui binari della ferrovia, aspettando di avere il coraggio di buttarsi sotto un treno. Alla fine è diventata come Julia. La casa era un porcile. Passava ore a fissare la sua faccia allo specchio, convinta che fosse sbilenca. È lì che ha cominciato a comprare le bambole di Goodwill, perché a suo dire avevano visi perfetti. A un certo punto ne avevamo la casa piena. Dapprincipio mi facevano una paura boia, non si muovevano, non parlavano. Poi hanno cominciato a piacermi proprio per quello.» Palmer sorrise a Kate nello specchietto retrovisore. «Quando tornavo da scuola la trovavo sempre a giocare con le bambole. Gli truccava il volto e gli tagliava i capelli. Un giorno mi ha aggredito con un paio di forbici. Sedici colpi, nessuno a organi vitali, per fortuna. Poi mi si è seduta a cavalcioni sul petto e mi ha rasato la testa e le sopracciglia perché secondo lei avevo i pidocchi ed era convinta che le stessero mangiando il cervello. L’hanno ricoverata in un istituto psichiatrico, ma non è mai guarita. Allora le cure erano brutali, idroterapia, lobotomia, farmaci che le procuravano forti tremiti. È morta in manicomio.» Fece spallucce. «Fine della mia storia. È abbastanza convincente?»
L’auto viaggiava lungo la pendice occidentale di un monte. Curve strette e tornanti. Strapiombi a entrambi i lati della strada.
«Sai, sono d’accordo con chi dice che l’uomo che combatte a lungo con i draghi diventa egli stesso un drago. Per me è stato così. A un certo punto ci ho preso gusto. Quando uccidi qualcuno, quella persona resterà sempre con te. Non ti lascerà mai.»
Un rivolo di sudore scivolò sulla guancia di Kate mentre continuava a sfregare l’anello contro il nastro adesivo. Forza, ci sei quasi.
«Tu sei una psichiatra. Di cosa soffro, secondo te? Manie di persecuzione? Disturbo narcisistico di personalità? O semplice psicopatia?»
«Vuoi la verità?» disse lei.
«Provaci.»
«Credo che tu sia stufo di giochetti. Secondo me hai voglia di mostrare al mondo chi sei veramente e cosa sei riuscito a fare. Vuoi vantarti un po’.»
Lui fece una smorfia. «Mi sono già vantato abbastanza.»
Kate addolcì il tono. «Sei malato, Palmer, e probabilmente sei inguaribile. Ma puoi cambiare. Puoi smettere quando vuoi. E io credo che tu voglia farlo.» Stava mentendo. Non sarebbe mai cambiato e non avrebbe mai smesso. Stava solo prendendo tempo. «Sarai stanco di prenderti gioco di persone stupide che non sanno quello che fai. Quando nessuno capisce, alla fine diventa noioso.»
«È proprio per questo che tu sei qui.» Sollevò un sopracciglio. «D’altra parte, non è forse questa la vera domanda? Che ne farò di te?»
Lei annuì, lentamente.
«Allora? Avanti, chiedimelo, Kate. Smettila di girarci intorno.»
Inghiottì a vuoto. «Cos’hai intenzione di farmi?»
Lui fece un largo sorriso. «Non lo so ancora. È questo il bello. Ma non ho ancora finito con te, questo è certo. Sei mia, adesso.»
Kate sentì svanire ogni speranza.
Poi finalmente il nastro adesivo si staccò e all’improvviso ebbe le mani libere. In una frazione di secondo si tolse la cintura di sicurezza, afferrò Palmer per il collo e strinse con vigore. Lui lasciò il volante e frenò di colpo, perdendo il controllo della vettura.
L’auto sbandò in una nuvola di gomma bruciata e uscì di strada, precipitando lungo il pendio innevato e ribaltandosi più volte fino a schiantarsi contro un albero nella boscaglia.
L’impatto fu devastante. I vetri andarono in frantumi. Kate fu scaraventata sul sedile anteriore nel momento in cui si aprivano gli airbag. Sentì il volto sbattere con violenza contro il cuscino pieno d’aria e poi... nulla.