49.
Luce fioca. Alba. Ghiaccioli gocciolanti. Kate si svegliò in un letto che non era il suo e quasi le prese un colpo, prima di ricordarsi dove si trovava. Mise le riviste e il libro di Holley al loro posto, fece una doccia, si vestì e scese da basso, dove si preparò il caffè in attesa di Palmer.
Dalle vecchie finestre della cucina si riversava un sole splendente. Sarebbe stata una magnifica giornata. Un quarto d’ora dopo bussarono alla porta.
Palmer aveva gli occhi rossi e sul viso rughe profonde che prima non aveva notato. «Buongiorno», la salutò con un sorriso. «Come hai dormito?»
«Come un sasso», rispose.
«Sei pronta?»
Infilò il cappotto, gli restituì le chiavi della baita e uscì all’aria aperta.
In auto verso Kirkland Road, Kate confessò: «Ho paura di vedere cose che non ci sono».
Palmer alzò la testa. «Paura che succeda o paura che sia successo?»
«Sta succedendo ultimamente. Vedo mia sorella. È per questo che mi sono persa ieri, stavo inseguendo il suo fantasma nel bosco. Penso a quando mia madre ha perso il senno. Un giorno sono tornata da scuola e stava tagliando le siepi con una sega a nastro. Le ho chiesto cosa stesse facendo, e mi ha guardata come se fossi un’estranea. A volte temo di perdere il senno anch’io.»
«Mi dispiace per tutto quello che ti è capitato», disse Palmer.
«Comunque, timori a parte, l’emicrania combinata allo stress può dare allucinazioni visive e so che è questa la causa per cui le ho avute. Ma James dice che è colpa tua.»
Palmer si accigliò. «Perché?»
«Ha visto i fascicoli che mi hai mandato. Dice che è una cosa malsana. E insiste perché lasci che se ne occupi la polizia.» Sospirò. «Comunque non preoccuparti. Non gli ho detto di Stigler.»
«Grazie per la discrezione.»
Lo guardò con uno scintillio negli occhi. «Ma voglio andare fino in fondo. O avrò sempre paura.»
«Paura di cosa?» domandò lui.
«Di aver ucciso io mia sorella lasciandola sola in quella baita.» Le si riempirono gli occhi di lacrime. «Dicono tutti che non è colpa mia. Lo dicono da sempre. Ma non è vero. È stata colpa mia, invece. Ce l’ho portata io lassù. Avrei dovuto badare a lei, invece l’ho lasciata sola.»
«Credi che lei darebbe la colpa a te?»
Kate reagì con sorpresa. «Savannah? No. Non incolpava mai nessuno di niente.»
«In fondo però non ci credi, vero?»
«Diciamo che trovare il vero colpevole mi aiuterebbe a crederci di più.»
«Ovvio. Occorre dare la colpa a chi ce l’ha.»
Kate cercò di ricomporsi. «Okay, senti. Se c’è una cosa che capisco, è la malattia mentale. Se davvero Stigler è un assassino psicopatico, posso aiutarti a prenderlo. Ho fatto due anni di pratica al McLean Hospital con minorenni psicotici violenti. Ho l’esperienza che serve.»
Palmer fece un mezzo sospiro. «La cosa dovrà aspettare, temo. Vado via per un po’.»
«Quando? Dove?»
«Ricordi che ti ho parlato di quella clinica in Messico? Prendo un volo per Tijuana oggi. Otto sedute di terapia in due settimane.» Si girò verso di lei. «I medici messicani mi hanno prospettato risultati notevoli.»
Kate aveva letto di cliniche estere che approfittavano di malati di cancro disposti a tutto per guarire. «Sei sicuro che sia una prassi legale?»
«Non lo farei se sospettassi che sia una truffa. È una cura brevettata, con un alto tasso di remissione. Non preoccuparti per me, okay?»
«Okay», disse, non volendo minare la speranza che gli leggeva nello sguardo. «E tu pensa a guarire.» Poi le venne in mente un’altra cosa. «E Stigler? Hai detto che non mi toccherà perché sa che lo tieni d’occhio. Ma se scopre che sei partito?»
«Nessuno sa che lascio il paese a parte te, la mia ex moglie e un paio di colleghi alla stazione. Stigler è convinto che io abbia occhi ovunque.» Mise una mano in tasca e senza staccare lo sguardo dalla strada tirò fuori una chiavetta USB. «Tienimi questa, okay?»
Kate guardò la chiavetta. «Cosa contiene?»
«Tutto, anni di ricerche e d’indagini. Te la lascio, qualora mi succedesse qualcosa.»
«Non dirlo nemmeno per scherzo.»
«Be’, non si può mai sapere. In caso, dalla per favore a Cody Dunmeyer, il mio ex collega che ora è il capo della polizia. Lui saprà cosa farci. Comunque tra due settimane torno e inchiodiamo questo tizio. Ho pensato molto a come fare e ho un piano. Non posso illustrartelo adesso ma stai tranquilla... non ti succederà niente.»
Annuì, non del tutto convinta.
Palmer fermò l’auto dietro quella di Kate e si girò verso di lei con un’espressione grave sul volto.
«Ti lascio i miei numeri di emergenza», disse.
Kate gli porse il cellulare e aspettò che lui inserisse le informazioni osservando il paesaggio dal finestrino del passeggero. Non era più così sinistro come le era apparso il giorno prima. Dopo un po’ Palmer le restituì il telefono con un sorriso mortificato.
«Scusa. Sono lento con la tecnologia moderna.»
Si sforzò di restituirgli il sorriso. Fino ad allora non si era resa conto di quanto quell’uomo le avesse cambiato la vita. E adesso la stava abbandonando.