14.

Kate trovò Maddie Ward sola nella sua stanza.

«Buongiorno», disse. «Come ti senti?»

La ragazza si strofinò gli occhi stanchi. «Penso bene.»

«I tuoi esami hanno dato tutti esito negativo. È una buona cosa.»

«Da quando una cosa negativa è buona?»

Kate le sorrise. «Significa che possiamo scartare le lesioni cerebrali o altri danni neurologici.» Non aggiunse che dovevano ancora trovare la causa delle allucinazioni uditive e dell’autolesionismo e capire da quale combinazione di disfunzioni famigliari, fattori psicologici e squilibri chimici originasse la sua depressione. «In generale, come stai?»

Maddie fece spallucce, apatica. «Non lo so.»

«Sono stati giorni non facili, eh?»

Quella mattina sembrava diversa. Più grande. Più simile a una quattordicenne che a una dodicenne. Le infermiere le avevano requisito gli orecchini d’oro a perno, lasciando scoperti i piccoli buchi ai lobi. I capelli biondi le scendevano a ciocche disordinate sulle spalle. Era seduta sul letto a gambe incrociate e guardava sconsolata fuori dalla finestra. Nei suoi occhi si leggeva una sofferenza profonda, una tristezza che pareva maturata nel tempo. Di solito attraversando un reparto psichiatrico in orario di visite si vedevano stanze piene di parenti che portavano regali. Maddie Ward invece era sola da quarantotto ore. Niente biglietti, niente fiori. Nessuna visita, neppure una telefonata. Per Kate, già questa era negligenza.

«Vai d’accordo con la tua compagna di stanza?»

«Sì.»

Il letto era fatto. La ragazza era probabilmente in sala ricreazione. Una sedicenne anoressica. Una loro habitué.

«Il resto tutto okay?» domandò Kate stimolandola a parlare.

Lo sguardo di Maddie si fece incerto. «Rischia il suicidio come me?»

«Chi? La tua compagna di stanza?»

«È per questo che ci fanno la guardia?»

«Le infermiere vogliono solo assicurarsi che stiate bene.»

Maddie sembrò avere uno sbalzo d’umore. «Non sanno con cosa hanno a che fare», disse con aria misteriosa.

Kate si allarmò. Questo era un commento da persona adulta. «Che intendi dire? Perché, con cosa hanno a che fare?»

«Litigano per la mia anima», sussurrò Maddie con aria complice.

«Chi?»

«I miei genitori.»

«Stai parlando del diavolo? Di possessione?»

Maddie guardò fuori dalla finestra e non rispose.

Kate trascinò una sedia accanto al letto e si sedette. «Maddie, tuo padre ha un numero al lavoro a cui essere raggiunto?»

La ragazza scosse la testa. «Non possiamo chiamarlo al lavoro.»

«Capisco. Quindi come lo contattate in caso di emergenza?»

«Non lo so.»

Cambiò tattica. Prese un pacchetto di chewing-gum dalla tasca. «Ne vuoi una? È alla menta.»

Maddie sorrise. «Grazie.»

Kate la guardò scartare il chewing-gum. Prima di metterlo in bocca lo piegò, poi avvicinò le ginocchia al petto e masticò soddisfatta, emanando odore di menta.

Riprovò. «Se ci fosse un’emergenza a scuola e tua madre non fosse reperibile, il preside chi chiamerebbe? Hai qualche parente vicino? Zii, zie? Cugini, nonni?»

«No.»

«Nessuno?»

Scosse la testa.

«E se a scuola avessero urgente bisogno di parlare con tuo padre?»

«Chiamare lui non mi fermerebbe», dichiarò Maddie con voce aspra.

Kate tacque un momento, perplessa. «Che intendi dire?»

«Quando dico che voglio uccidermi, faccio sul serio.»

Parlare con lucidità della propria alienazione non era affatto comune per una ragazza di quattordici anni, figurarsi ammettere le tendenze suicide. «Perché dovresti ucciderti?»

«Non lo so.»

«La voce nella tua testa ti dice di ucciderti?»

Maddie smise di masticare.

«Quando tuo padre si arrabbia, fa del male a te o a tua mamma?»

«Perché continui a farmi questa domanda?»

«Perché non mi hai ancora risposto.»

La ragazza arrossì. Guardò Kate come se fosse il nemico, e forse lo era. «Una volta, quando non la smettevo di dargli noia, mi ha dato una spinta.»

«Cosa facevi per dargli noia?» domandò Kate.

«Cose.»

«Che genere di cose?»

Maddie fece spallucce, restando sulle sue. «A volte mi viene voglia di farlo innervosire.»

«E lui ti spinge via?»

«Solo perché gli do ai nervi. Tipo così.» Diede una spintarella a Kate.

«Così? Non più forte?»

«No.»

«È successo una volta? O più volte?»

«Te l’ho detto!» Maddie s’adombrò, gli occhi si riempirono di lacrime.

«Sei sicura?»

«Perché continui a chiedermelo?» Le lacrime le rigavano le guance.

«Perdonami», si scusò Kate. «Non volevo turbarti.»

Maddie si asciugò il viso bagnato e tirò su col naso. Kate le diede un pacchetto di Kleenex.

«I tuoi genitori sono religiosi?» le domandò.

«Mia madre è cattolica. Crede in Dio. Crede in Gesù, nello Spirito Santo, nel diavolo nell’inferno e via dicendo. Papà no, invece.»

«E tu? Tu credi nel diavolo?»

La ragazza spalancò gli occhi e fissò Kate. «La mamma dice che siete andate a scuola insieme, tanto tempo fa, e che un giorno tua sorella è sparita e tutto il paese si è messo a cercarla ma quando l’hanno trovata era morta. Sepolta viva.»

Kate sentì un tuffo al cuore.

«La mamma dice che è questo che succede alle bambine cattive. Che vengono uccise.»

Kate rimase in silenzio, facendo un salto indietro nel tempo. Aveva sedici anni quando Savannah era scomparsa, e Penny diciotto. Kate ricordava a malapena quella biondina schiva e goffa che stava sempre per conto suo. Una mammoletta a cui nessuno faceva caso, per la verità, fino a quando con il processo di suo zio era improvvisamente ovunque, in tv, su internet, sui giornali. Penny era stata la testimone chiave che aveva mandato Blackwood in prigione, ma era evidente che odiava stare al centro della scena. Quando le telecamere la inquadravano chinava la testa e si copriva il volto con le mani.

«Che altro ti ha detto tua madre?» volle sapere Kate.

Maddie si accigliò. «Dice che tu puoi farmi tornare normale.»

«Tutto qui?»

Un’alzata di spalle.

«Hai appena detto che non hai parenti. E lo zio di tua madre, Henry Blackwood? L’hai dimenticato?»

Maddie trasalì. «È in prigione.»

«Sai perché?»

«No.»

«Sicura?»

La ragazza non rispose, probabilmente per proteggere la madre dal giudizio di Kate.

«Che altro ha detto di me?» insistette Kate. «A parte che mia sorella è stata uccisa e che siamo andate a scuola insieme?»

Maddie la guardò preoccupata. «Sei arrabbiata con me?»

«No.»

«Ma sei tutta rossa in faccia.»

Tirò un respiro. «Sono solo sorpresa. La morte di mia sorella mi ha spezzato il cuore e soffro ancora molto per averla persa.»

La ragazza annuì con aria solenne, comprensiva.

Kate si sentì pervasa da un’inquietante paranoia, ma l’avrebbe affrontata più tardi. Per ora, meglio mettere rabbia e turbamento da parte. «Okay», disse. «Torniamo a te. Ho qualche domanda sulla voce. Quando hai cominciato a sentirla?»

Un sospiro. «Non me lo ricordo. Molto tempo fa.»

«Qual è la cosa peggiore che ti ha mai detto?»

«Buttati dalla finestra.»

«Ti ha detto di buttarti dalla finestra?»

«No, ha solo detto: Fallo, ma ero in soffitta e ho capito cosa intendeva.»

Brutte notizie. Sentire una voce che impartiva degli ordini e obbedirle era un chiaro segno di psicosi. «Questo quando è successo?»

«Avevo otto anni.»

Kate alzò la testa. «Non avevi otto anni anche quando sei caduta dall’albero?»

«Mi sono buttata dalla finestra e ho colpito l’albero.»

«Quindi non sei davvero caduta dall’albero?»

«No.»

«Ti ha spinta qualcuno da quella finestra?»

Maddie fece una smorfia. «La voce ha detto fallo e io l’ho fatto.»

«Adesso la senti, questa voce?»

Tacque un momento, poi scosse la testa.

«Come descriveresti il rapporto con i tuoi genitori?»

La ragazza la guardò con sospetto.

«Dimmi la prima cosa che ti salta in mente, qualunque sia.»

«Hanno paura di me», rispose Maddie.

«Perché?»

«Non mi capiscono.»

«E come si manifesta questa paura? Cosa fanno?» A parte ricoprirti di corone del rosario, mollarti in un ospedale lontano da casa e darsela a gambe, pensò Kate.

«La mamma prega sempre.»

«Per cosa?»

«Prega che io guarisca.»

«Crede nella possessione?»

«Questo sarebbe un eufemismo.»

Un’altra strana risposta per un’adolescente immatura.

«Quindi pensa che tu sia posseduta?»

«Non ne parla molto.»

«Perché?»

«Mio padre le ha detto di non farlo.»

«Cioè tuo padre non vuole che lei dica che sei posseduta?»

«Una volta ha detto che c’era un demone dentro di me e lui l’ha picchiata.»

Finalmente. «Ah sì?»

«Le ha dato un ceffone.»

«Solo quella volta? O ce ne sono state altre?»

«Così», spiegò Maddie mimando uno schiaffo a vuoto e schivando la risposta.

«E per quanto riguarda te? Tuo padre ti ha mai tirato un ceffone?»

«No.» Posa difensiva.

«Sicura?»

«Probabilmente me lo meritavo», sbottò.

«Ma hai appena detto che non ti ha mai picchiata.»

«A volte m’invento le cose», ammise lei.

Oh oh. Questo complicava ulteriormente la situazione, benché la psicosi e le menzogne non si escludessero reciprocamente. I bambini vittime di violenze a volte mentono per nascondere le malefatte dei genitori, rendendo difficile districarsi tra le bugie per arrivare alla verità.

«Quindi ti ha picchiata. Perché? Cos’era successo? In che circostanza?»

«Gli ho detto una cosa che non voleva sentire.»

«Cosa?»

«Non me lo ricordo.»

«Provaci.»

«Basta domande! Mi vogliono bene.»

«Ne sono sicura», concesse Kate.

«Sono solo incasinati.»

«Tuo padre...»

«Il mio patrigno», la corresse bruscamente Maddie.

«Oh. È il tuo patrigno?»

Lei annuì, lo sguardo fisso sul panorama fuori dalla finestra.

«Non avevo capito...»

«Il mio vero padre è morto.»

«Mi dispiace.»

«Non c’è nulla da dispiacersi.»

Kate si accigliò. «Chiederò ai tuoi genitori di venire a trovarti oggi.»

«Buona fortuna allora.»

Un altro commento allarmante.

«Perché dici così?» Maddie non rispose. Dopo un po’ Kate aggiunse: «A casa non sono riuscita a trovarli. C’è un altro numero che posso chiamare?»

La ragazza scosse la testa con decisione. «Alla mamma non piacciono i cellulari. Dice che il governo potrebbe ascoltare di nascosto.»

«Il governo?»

«Sono stufa di parlare.»

«Okay. Be’ speriamo che vengano a trovarti, oggi.»

Kate si rendeva conto di essere sempre più invadente. Uscì dalla stanza e restò in corridoio, osservando la paziente dalla porta aperta. Riprovò a chiamare i Ward. Stavolta rispose la segreteria, a cui lasciò un breve messaggio.

Aveva distolto lo sguardo un secondo e adesso Maddie stava battendo i pugni sulla finestra, cercando di rompere il vetro.

Si precipitò nella stanza e l’afferrò per le braccia. «Sssst, va tutto bene.» Questo era un ostacolo imprevisto. Ovviamente Maddie non poteva più essere lasciata sola. Neppure per un istante.

Un respiro nell'acqua
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