4.

Kate non voleva andare a casa, non con tutto il lavoro che c’era da fare. Riprese l’ascensore e salì all’accettazione per parlare con Yvette Rosales, l’infermiera che aveva ricoverato Nikki otto mesi prima. Il personale del reparto psichiatrico era sempre superindaffarato. I telefoni suonavano senza sosta. Non c’era un attimo di pausa.

Kate passò accanto agli inservienti e agli infermieri diplomati con i camici colorati e proseguì verso il banco delle infermiere presieduto da Tamara Johnson, una corpulenta signora di mezza età che sapeva tutto di tutti. Caposala e factotum.

«’giorno, Tamara. Ha visto in giro Yvette?»

Tamara scosse la testa. «Dovrebbe arrivare a momenti. Sempre con la scusa che l’autobus è in ritardo. L’avrà perso come al solito per passare da Dunkin’s. Lei come sta, dottoressa?»

«Non benissimo.»

«Sì, immagino. Ricordo bene Nikki. Una creatura pelle e ossa e sfacciata da non credere. Si era data un’occhiata in giro e aveva detto che eravamo noi i matti, non lei.» Tamara rise. «Vuole un caffè? L’ho appena fatto.»

«No, grazie. Mi metto qui e aspetto.»

Kate si era portata del lavoro e cercò un posto per sedersi. L’accettazione era un’ode alla mediocrità: divani di velluto a coste, sedie in finta pelle, stampe di acquarelli alle pareti di mattoni a vista, opuscoli in carta patinata su ogni tavolino.

Aprì una cartelletta e riguardò i suoi appunti. Al tempo del suo ricovero lo scorso giugno, Nikki stava diventando impossibile da tenere a freno. A casa era una ribelle, litigava continuamente con i genitori e abusava di droga e alcol. Il patrigno era un severo sostenitore della disciplina e a lei mancava il papà. Il divorzio era stato particolarmente doloroso per lei.

Qualcuno gridò: «Toglimi le mani di dosso, fetida bastarda!»

Kate alzò la testa. C’erano una decina di persone in attesa di una visita, alcune delle quali aveva conosciuto durante il breve periodo di pratica al reparto adulti. Dal modo in cui due uomini che non aveva mai visto tenevano il berretto da baseball, basso sugli occhi per nascondere il volto alla videocamera di sicurezza, sospettò che fossero tossicodipendenti in cerca di un’iniezione di Demerol. C’erano poi due pazienti con disturbi dell’umore, un’anoressica, una giovane madre con la depressione postpartum, un anziano che si puliva continuamente le mani con le salviettine disinfettanti e una ragazzina ammodo, nuova anche lei, seduta a distanza dagli altri.

Kate focalizzò l’attenzione sullo scontro in corso: un pallido schizofrenico non sedato urlava oscenità a un’anziana maniaco-depressiva, agitando le braccia scheletriche. La donna era ripiegata sulla sedia come uno strofinaccio bagnato, con gli occhi lacrimosi pieni d’angoscia, mentre l’uomo incombeva minaccioso su di lei, per quanto potesse essere minaccioso uno scheletro.

Un inserviente con le chiavi alla cintola che tintinnavano accorse rapido a sedare la lite. Clive Block era noto per le sue abilità di negoziatore. Calmò le acque e li separò in un attimo. Nessuno faceva il furbo con Clive. Le infermiere non si scomodavano neppure a chiamare le guardie. I tafferugli erano la norma al reparto psichiatrico. Si udivano porte che sbattevano e voci rabbiose a tutte le ore del giorno e della notte.

Kate spostò lo sguardo sulla ragazzina seduta in disparte. Aveva capelli biondi legati con la coda, occhi verdi assonnati e un atteggiamento contegnoso. Per un attimo le ricordò Savannah. La somiglianza era impressionante. Portava jeans ben stirati e una camicetta rosa abbottonata fino al collo. Il suo giubbotto in piuma d’oca era piegato con cura sulla sedia accanto. C’era un che di affettato in lei, un’austerità guardinga. Doveva avere circa dodici anni, ma a quanto pareva era sola nella sala d’aspetto. Dov’erano i genitori?

Kate non trovò nulla di strano in lei finché non notò i gioielli. Aveva al collo decine di catenine d’argento con la croce e delle corone del rosario avvolte intorno ai polsi. Le diede l’impressione di una creatura isolata dal mondo, anche e soprattutto per quella sua aria straordinariamente triste e malinconica. I giovani pazienti di solito stavano seduti stravaccati, appoggiati al muro o con le spalle chine in avanti in preda a una perenne svogliatezza. Questa ragazzina invece sedeva dritta e composta, dimostrando un’eleganza e un’autodisciplina assolutamente insolite per la sua età. Ma di nuovo: dov’erano i genitori? Forse la madre era andata un attimo in bagno?

Stava per andare a verificare quando Yvette Rosales arrivò in reparto scusandosi con chiunque fosse a portata d’orecchio. «Scusate! Scusate! Quel maledetto autobus era di nuovo in ritardo.»

Tamara la guardò con le mani sui fianchi. «Era l’autobus in ritardo? O tu?»

«Ho aspettato un sacco di tempo.»

«Sì, certo. Però il modo di passare da Dunkin’s l’hai trovato.»

«Vuoi scherzare? Non posso cominciare la giornata senza un caffè e una ciambella.»

«Il caffè c’è anche qui.»

«Quella schifezza? Non ci penso proprio.» Yvette aveva il rossetto fucsia e dei colpi di sole eccessivamente in contrasto col resto della capigliatura. Teneva sempre una matita o una sigaretta spenta tra le labbra e durante le pause correva fuori a fumare. «Chi sei adesso, mia madre?»

«Esatto», rispose Tamara con sarcasmo. «Ti tengo d’occhio.»

«Ah allora no, non sei mia madre. Lei si ricordava appena che esistevo.»

Tamara scoppiò a ridere. Tutto perdonato. «Comunque, c’è qui la dottoressa Wolfe, ti sta aspettando.»

«Dove?» Yvette si girò di scatto. «Oh, salve dottoressa. Santo cielo. Nikki McCormack. Dio la benedica, poveretta.»

«Sono ancora sotto shock», ammise Kate avvicinandosi.

«Ci credo.»

«Possiamo parlare un minuto? Ho un paio di domande da farti sul suo ricovero.»

«Certo. Mi tolgo il cappotto e sono da lei.»

Kate si appoggiò al banco mentre Yvette riponeva le sue cose. «Chi è la ragazzina laggiù?» domandò.

Yvette la guardò. «Non lo so. Tamara?»

«Mmm? Oh. L’ha portata la madre.» Tamara fece spallucce. «Era qui un minuto fa.»

«Sono qui da dieci minuti e non ho visto nessuno», replicò Kate.

«Vado a vedere se qualcuno sa qualcosa, allora», rispose lei allontanandosi nella saletta delle infermiere.

In quel momento l’ascensore arrivò al piano, le porte della cabina si aprirono e James si precipitò al banco tutto serio, prendendo Kate da parte. «Dobbiamo parlare con l’avvocato che ti ha consigliato Ira», disse. «Ho preso appuntamento per le undici e mezzo. Andiamo.»

«Aspetta», Kate si tirò indietro. «Non c’è motivo di agitarsi.»

«Non mi sto agitando. Voglio solo assicurarmi che nessuno faccia il furbo con te.»

«Nessuno vuole fare il furbo con me», ribatté lei, seccata.

«Faccio solo il tuo bene, tesoro. Andiamo. Non voglio fare tardi.»

Un respiro nell'acqua
9788867005499_cov01.html
9788867005499_fm01.html
9788867005499_tp01.html
9788867005499_cop01.html
9788867005499_fm02.html
9788867005499_p01.html
9788867005499_p01-1.html
9788867005499_p01-2.html
9788867005499_p01-3.html
9788867005499_p01-4.html
9788867005499_p01-5.html
9788867005499_p01-6.html
9788867005499_p01-7.html
9788867005499_p01-8.html
9788867005499_p01-9.html
9788867005499_p01-10.html
9788867005499_p01-11.html
9788867005499_p01-12.html
9788867005499_p01-13.html
9788867005499_p01-14.html
9788867005499_p01-15.html
9788867005499_p01-16.html
9788867005499_p01-17.html
9788867005499_p01-18.html
9788867005499_p01-19.html
9788867005499_p01-20.html
9788867005499_p01-21.html
9788867005499_p01-22.html
9788867005499_p01-23.html
9788867005499_p01-24.html
9788867005499_p01-25.html
9788867005499_p01-26.html
9788867005499_p01-27.html
9788867005499_p01-28.html
9788867005499_p01-29.html
9788867005499_p01-30.html
9788867005499_p01-31.html
9788867005499_p02.html
9788867005499_p02-1.html
9788867005499_p02-2.html
9788867005499_p02-3.html
9788867005499_p02-4.html
9788867005499_p02-5.html
9788867005499_p02-6.html
9788867005499_p02-7.html
9788867005499_p02-8.html
9788867005499_p02-9.html
9788867005499_p02-10.html
9788867005499_p02-11.html
9788867005499_p02-12.html
9788867005499_p02-13.html
9788867005499_p02-14.html
9788867005499_p02-15.html
9788867005499_p02-16.html
9788867005499_p02-17.html
9788867005499_p02-18.html
9788867005499_p02-19.html
9788867005499_p02-20.html
9788867005499_p02-21.html
9788867005499_p02-22.html
9788867005499_p02-23.html
9788867005499_p02-24.html
9788867005499_p02-25.html
9788867005499_p02-26.html
9788867005499_p02-27.html
9788867005499_p02-28.html
9788867005499_p02-29.html
9788867005499_bm01.html
9788867005499_bm02.html
9788867005499_bm03.html
9788867005499_bm04.html