32.
Kate guidò senza musica, con la radio spenta, in assoluto silenzio, mentre la neve sull’autostrada volteggiava in furiosi mulinelli. A casa si fece una doccia e consumò un pasto leggero. Poi si versò un bicchiere di vino e si rannicchiò sul divano con i fascicoli della polizia, passando le due ore successive a leggere verbali di sopralluogo, trascrizioni d’interrogatori e dichiarazioni di testimoni.
Si versò un altro bicchiere di vino e studiò il fascicolo di Hannah Lloyd. Tra le decine di fotografie che conteneva, ne notò due in particolare. Una era un’istantanea che ritraeva una minuta quattordicenne in posa per l’annuario degli studenti. Aveva un viso rotondo e innocente con lunghi capelli biondo rame e un sorriso timido. L’altra riproduceva una fase del ritrovamento del suo cadavere, quando dal suolo, dopo aver rimosso il primo strato di terra, erano cominciati a emergere i resti parzialmente mummificati del corpo di Hannah: parte del costato, due dita scheletriche che stringevano un pezzo di stoffa, il cranio rasato. L’assassino si era tenuto un ricordino? Collezionava souvenir? Era una forma di aggressione o di adorazione?
Kate si appoggiò allo schienale del divano e chiuse gli occhi. Tornò alla tiepida sera d’estate in cui aveva lasciato la sorella sola nella baita e si era allontanata con il bel ragazzo, appartandosi in un boschetto di sempreverdi ad amoreggiare con lui sotto la luna d’agosto. In piena tempesta ormonale, Kate non aveva visto né sentito nulla d’insolito quella sera; solo il respiro pesante del ragazzo contro il suo orecchio e il battito impazzito del suo cuore.
In verità qualche suono inquietante si era sentito, quella notte. Cinque minacciosi grida: uh-uuh, uuuuh, uuh-uuh.
«È un fantasma», aveva scherzato il ragazzo, ma Kate sapeva riconoscere il bubolo del gufo della Virginia. Era il rapace notturno più grande del New Hampshire, un uccello fortemente territoriale, di colore bruno, con la gola bianca come la neve e grandi ciuffi di piume sulle orecchie. Aveva occhi gialli e penetranti ed emetteva un verso pentasillabico: uuh-uuh, uuuuh, uuh-uuh.
Il ragazzo le aveva slacciato il reggiseno e le aveva infilato le mani nei pantaloni; lei ricordava vagamente di aver visto dei lampi di luce intorno alla baita ma di aver pensato che fosse la sorella che esplorava i dintorni con la torcia. Lo faceva sempre. Era la Curious George delle ragazzine.
Kate non intendeva essere del tutto irresponsabile; a un certo punto aveva provato ad alzarsi per andare a controllare la sorella, ma il bel ragazzo l’aveva spinta a terra di nuovo e aveva cominciato a baciarla dappertutto e lei non aveva resistito al piacere sconosciuto che stava provando.
«Aspetta», ricordava di aver detto a un certo punto.
«Cosa?»
«Hai sentito?»
Uh-uuh, uuuuh, uuh-uuh.
«Baciami», aveva detto lui.
E lei l’aveva baciato. Aveva fatto tutto quello che lui voleva. Aveva perso la verginità quella notte. Ma non soltanto.
Ripose il fascicolo nella scatola, sospirando. Non c’era nulla che potesse dire a Palmer che lui non sapesse già. Nel verbale di polizia c’era scritto tutto ciò che aveva confessato al detective Dunmeyer, tutto quello che aveva fatto minuto per minuto fino ai dettagli più intimi, come il sangue sulle mutandine o i maldestri tentativi del ragazzo di consolarla quando erano tornati alla baita e l’avevano trovata vuota. C’era anche la cosa peggiore di tutte: che si era presa il suo bel tempo a rivestirsi prima di tornare da Savannah.
Suonò il telefono e Kate rispose al volo. «Pronto?»
«Ti ho svegliata?» Era Palmer Dyson.
«Non riesco a dormire», ammise. «Stavo guardando i fascicoli che mi hai mandato.»
«Oh. Che ne pensi?»
«Mi sono fatta un’opinione ma niente di sensazionale. Vuoi che te la esponga?»
«Naaa. Ne parliamo domani. Mi sono appena preso un paio di Ambiens.»
«Potrei passare da te domattina. A che ora ti andrebbe bene?»
«Quando vuoi.»
«Non hai nessun programma?»
«La mia vita sociale è equivalente a zero.»
«Alle nove può andare?»
«Certo. Ho anche una cosa da dirti e preferirei farlo di persona.»
Si accigliò. «Cosa?»
«Domani», disse Palmer, e riagganciò.