Alla domanda "cos'è la morte?", Seneca risponde: "o fine o passaggio". Ma la poesia e la filosofia di Atene e di Roma, come la fede di Gerusalemme, oltre a molteplici spiegazioni della morte, elaborano anche vie d'uscita e strategie di superamento, da proiettare non solo nell'aldilà ma anche nell'aldiquà. Intorno a un tema che rimane "la domanda delle domande", cinque interpreti del nostro tempo dialogano con i testi greci, latini e giudaicocristiani, riuniti qui in un'antologia che va dall'Antico Testamento ad Agostino, da Omero a Virgilio, da Platone a Seneca, da Epicuro ai Vangeli. Più che un inizio e una fine, un prima e un poi, un qui e un altrove, vita e morte appaiono − tanto agli antichi quanto ai moderni − una dualità nel segno della coabitazione e quasi della consustanzialità.
Il Corano e la sua interpretazione
Non sono molti i libri seri sull’Islam che si possono trovare in libreria. Per questo al lettore non avvertito occorre segnalare con forza questo di Massimo Campanini: è un’ottima introduzione non solo al testo sacro dei musulmani, ma anche alla religione islamica stessa. Fabrizio Vecoli, “L’Indice” Il Corano è il libro sacro dell’Islam, anzi nella cultura islamica è, per antonomasia, ‘il Libro’. Testo religioso, spirituale e pratico a un tempo, Logos di Dio, inimitabile per suo stesso assunto, libro dai molti nomi e dai molteplici modi di lettura, ‘mare profondo’ che non può essere esaurito: accostarsi a esso rappresenta per noi occidentali un’impresa irta di difficoltà. In queste pagine, un percorso di conoscenza e comprensione del Corano: le vicende della composizione, la struttura, i temi portanti e, soprattutto, l’interpretazione, indispensabile chiave d’accesso al messaggio divino.
Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane 2017
Un nuovo caso per l'Alligatore.
Il Bene e il Male, ancora una volta mascherati e insidiosi da distinguere, si scontrano nell’arena internazionale delle grandi operazioni segrete di polizia, dei traffici di droga, prostituzione e identità.
La scrittura di Massimo Carlotto, già uno dei migliori autori di noir, fa un salto di livello.
Il romanzo è il più complesso “Alligatore” che abbia scritto finora, un meccanismo perfetto come un orologio svizzero, uno scavo nelle psicologie di personaggi in bilico sul crinale nebbioso di strade senza ritorno, un’ironia tagliente e un’umanità sincera. Un grandissimo noir sul conflitto tra crimine e forze di polizia dove, troppo spesso, le vittime sono solo pedine senza valore.
Marco Buratti detto l’Alligatore e i suoi soci Max la Memoria e Beniamino Rossini sono caduti in una trappola ordita dal nemico più pericoloso con cui abbiano dovuto misurarsi: Giorgio Pellegrini. Pellegrini, in fuga dalla Legge e dalle pallottole di Beniamino Rossini, non intende vivere da latitante per il resto della vita e decide di diventare un infiltrato per conto della polizia.
Qualcosa va storto e una squadra di killer spietati arriva dall’estero per assassinare sua moglie e la sua amante.
L’indagine parallela per identificare i responsabili viene affidata all’Alligatore e ai suoi soci. Loro non vorrebbero avere nulla a che fare con la vicenda ma vengono ricattati dalla dottoressa Angela Marino, alto funzionario del ministero dell’Interno.
La missione affidata a Pellegrini ufficialmente non esiste e non sono previsti testimoni. I nostri scoprono ben presto che il loro destino è comunque segnato. Anche se riusciranno nell’impresa rischieranno di essere tolti di mezzo da una falsa accusa che potrebbe mandarli in carcere per molti anni.
Buratti, Max e Beniamino reagiscono. Giocano questa partita senza regole per cercare di sopravvivere. L’Alligatore ha un motivo in più per non soccombere: in un hotel ha conosciuto una donna. Una “vecchia puttana” quarantenne di nome Edith. Tra i due è stato amore a prima vista.
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«Nel Fuggiasco Carlotto ci narra le sue peripezie nel periodo della latitanza, prima in Francia e poi in un Messico horror e canagliesco. (...) Come ci si comporta da latitanti? Come ci si muove, si cerca lavoro, si evitano i poliziotti, si dà appuntamento ai parenti? Il racconto è vivace, appassionato, ricco di incontri amicali e amorosi, ironico e, cosa rara, autoironico».(Grazia Cherchi)«Quello che attrae e convince (come se fosse un giallo di pura fiction) è l’intreccio tra la cornice che tutti abbiamo vissuto, la nostra autobiografia collettiva, e una vicenda dolorosa e solitaria...».(Gianfranco Capitta – Il Manifesto)
Non dimenticano, odiano, sanno vendicarsi. E sono poliziotte.NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. Ci sono poliziotti che combattono il crimine e difendono la legge. A volte pagano con la vita. E ci sono poliziotti corrotti che tradiscono, diventando peggio dei peggiori banditi. Poi ci sono loro: le donne in divisa. Fragili e determinate, vittime e carnefici, le sbirre di questi racconti sono creature di confine, paladine mancate, guerriere comunque sconfitte, sedotte dal delitto, soggiogate dalla vendetta, in bilico tra bene e male. Il commissario Alba Doria indaga nel magma ribollente della rete telematica, tra le pieghe più segrete del dark web, laddove alligna l'odio che consuma il Paese. Il vicequestore Anna Santarossa è già passata dall'altra parte e vende informazioni alla mafia bulgara. Sara Morozzi legge le labbra della gente e interpreta il linguaggio del corpo. Ha i capelli grigi e un passato tra i ranghi di un'unità impegnata in intercettazioni non autorizzate: ora ha anche un conto da regolare.Dall'estremo Nordest di una frontiera selvaggia fino alla Napoli anonima di sobborghi e quartieri residenziali, passando per una Roma in cui davvero aprile è il più crudele dei mesi e la primavera ha smesso di riscaldare i cuori, Massimo Carlotto, Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanniraccontano l'Italia al tempo dell'illegalità globalizzata, delle fake news, del condizionamento di massa. Svelano le ossessioni, le paure e la privata ferocia di coloro che dovrebbero difendere l'ordine pubblico. Inaugurano una new wave della letteratura nera, in cui la donna non ha più nulla di fatale, ha rinunciato alle pose marziali della giustiziera e, lontana dall'eroismo inquirente, restituisce la cupezza di una realtà quanto mai controversa.
In una stanza immersa nella penombra un donna, giunta all'autunno della vita, si muove lentamente appoggiandosi a un bastone. Intorno a lei sculture di ogni tipo. La donna le sfiora e insegue il ricordo di un uomo. Un uomo schivo, selvatico, che però ha saputo rendere eterno nel legno il sentimento che li ha uniti. Ogni statua evoca un episodio della vita avventurosa che quell'uomo ha vissuto e amava condividere con lei, le difficoltà di un'infanzia di povertà e abbandoni, in cui la più grande gioia era stare con i fratelli e i nonni attorno al fuoco, la sera, imparando a intagliare legno, o sentire la vibrante intensità della natura durante una battuta di caccia. Ogni angolo arrotondato delle sculture fa affiorare in maniera dirompente l'orgoglio e la rabbia di quel giovane che, crescendo, aveva voglia di farcela da solo, cancellando le ombre del passato che lo tormentavano. Ma quei profili, quelle figure che ancora profumano di bosco, raccontano anche che l'amore può trovare pieno compimento solamente nella trasfigurazione, nel sogno, perché l'unica via per non rovinare quel sentimento vero e cristallino è allontanarlo dalle mani dell'uomo che, nella sua intrinseca incapacità di essere felice, finirebbe inevitabilmente per sprecarlo. Dai boschi che Mauro Corona ci ha insegnato ad ascoltare e ad amare si leva in questo romanzo una voce nuova, per molti versi inaspettata, a tratti dolente ma non perciò men energica.
Pensieri e racconti di vita. Le CONFESSIONI ULTIME di Mauro Corona sono il diario intimo di un “sognatore”. Un autoritratto che richiama in alcuni passaggi l’indimenticabile tradizione degli scritti morali, da Seneca al filosofo e samurai Jōchō Yamamoto, e si trasforma con impennate improvvise in un personalissimo sfogo sull’attualità a la politica. Suoni e basta, le parole hanno perso consistenza, volume, spessore, e con loro la vita. Le CONFESSIONI prendono forma da queste parole ormai vuote. Libertà, silenzio, memoria, corpo, fatica, invidia,orgoglio, competizione, amore, amicizia, dolore, morte, Dio e la fede. Una rappresentazione laica profonda e illuminante: “Sono un grande peccatore, ma per tradizione e per educazione spero in Dio, e lo rispetto a modo mio. Spero in Dio, però non so più dov’è finito... Diceva Zvi Kolitz: ‘Caro Dio, io credo in te nonostante te’”.
FreeBook 662
Erto. Un paese abbandonato, silenzioso, fermato in un'istantanea il giorno 9 ottobre 1963, quando il fianco del monte Oc precipitò nell'invaso del Vajont. Eppure quelle case, quelle cucine, quelle stalle, di cui restano solo i muri insidiati dall'abbraccio delle edere e delle ortiche, sono ancora abitate. È una popolazione di fantasmi che Mauro Corona suscita ripercorrendo porta a porta, casa per casa, le quattro strade deserte che un tempo risuonavano di voci, del suono degli strumenti di lavoro, della vita di ogni giorno. Una tazza, una falce, una gerla, un secchio da mungitura, una bottiglia lasciata a metà di quel vino che dava forza e smemoratezza, ogni oggetto richiama in vita, nella memoria di Mauro Corona, un personaggio, un fatto buffo o tragico, una leggenda, una storia d'amore o di terrore, come un vento di tempesta o un soffio di primavera. Camini spenti, senza più né fuoco né cenere, dalla cui bocca sembrano uscire voci famigliari e perdute per narrare, prima che il tempo le cancelli, antiche storie di uomini e di spettri, di animali benefici e maligni, di piante venefiche e taumaturgiche, di diavoli ghignanti e scherzosi.
Ne nasce un racconto commovente ed esaltante che si snoda, come nel celebre concerto di Vivaldi, lungo l'arco delle quattro stagioni: inverno, primavera, estate, autunno. Schiere di anime riprendono corpo e ci uniscono a loro, per un breve istante, mosse da una inappagata sete di vita; bambini scomparsi tornano a scivolare veloci nel cuore ghiacciato della vecchia Erto; spiriti maligni ansimano nelle soffitte; la Vecia de Or, che prega una Madonna dal volto di uomo, burla fino alla morte chi cerca avidamente il suo tesoro; nella casa del Solitario si gioca alla morra: mai soldi, solo vino; dichiarazioni di eterno amore, suppliche, bestemmie, incise sugli intonaci di San Rocco rievocano un amore o un odio; in un'ampolla è conservata l'acqua limpida in cui si sciolse il corpo di Neve Corona Menin, la fanciulla di ghiaccio; la voce del
piffero magico risuona nelle notti di luna piena. Uomini, animali, piante e cose, ognuno riaccende la propria scintilla di vita.
Con i fantasmi di pietra Mauro Corona ha
scritto l'Antologia di Spoon River di un paese perduto chiamato Erto.
Mauro Corona è nato a Erto, Pordenone, nel 1950. E autore di Il volo della martora, Le voci del bosco (entrambi tradotti in Germania), Finché il cuculo canta, Gocce di resina, La montagna, Nel legno e nella pietra, Aspro e dolce, L'ombra del bastone, Vajont: quelli del dopo e della raccolta di fiabe per ragazzi Storie del bosco antico.
Ormai è l'autunno, tutto torna a dormire, tutto scompare nella pace dell'inverno imminente. Anche i rumori vanno in letargo come ghiri nelle tane. Le case tacciono, ascoltano, sentono la neve depositarsi sui tetti. Quelle senza tetto la ricevono dentro i muri, sui solai, nelle cucine distrutte. La visita della dama bianca entra nel cuore delle case sgangherate. Il paese abbandonato guarda a tramonto con gli occhi malinconici delle finestre senza vetri, sospira adagio con la bocca delle porte sfondate. Era un bel paese, il nostro, adesso non c'è più.