39.

Arrivarono a Johannesburg due giorni dopo, con un treno sus-sidiario.

«Suppongo che dovremmo presentarci a qualcuno», suggerì Saul, in piedi con Sean e Mbejane sul marciapiede della stazione, accanto al poco bagaglio che erano riusciti a salvare dal disastro.

« Tu va' pure, se ne hai voglia », ribatté Sean. « Io preferisco da-re un'occhiata in giro. »

« Ma non abbiamo i permessi », protestò Saul.

« Segui lo zio Sean. »

Johannesburg era una città corrotta, nata dal connubio tra l'O-ro e l'Ingordigia; tuttavia vi regnava un'atmosfera di gaiezza, d'eccitazione e di frenetica attività. Essendone lontani, la si poteva anche odiare, ma bastava rimettervi piede per restarne di nuovo contagiati. Proprio come Sean in quel momento.

Condusse i suoi compagni fuori della stazione e sorrise riveden-do la via principale, quella Eloff Street che ricordava così bene. Era molto affollata. Tra la doppia fila di case a tre o quattro piani, le carrozze si contendevano il passo coi tram a cavalli. Lungo i marciapiedi, le uniformi d'una dozzina di reggimenti facevano risaltare i colori sgargianti degli abiti femminili.

Sean si fermò sulla scalinata della stazione e accese un sigaro. In quello stesso momento, i rumori delle ruote e delle voci umane furono sovrastate dal lamentoso ululato della sirena di una miniera, e a esso se ne aggiunsero immediatamente altri. Mezzogiorno. Con gesto meccanico, Sean estrasse il proprio orologio da taschino per controllarlo e sorrise di nuovo, notando lo stesso movimento da parte di tutti i passanti.

Johannesburg non era cambiata gran che: sempre le vecchie abi-tudini, la vecchia atmosfera. I mucchi di scorie delle miniere un pò piú alti di quanto Sean li ricordasse, qualche edificio nuovo, un pò piú di eleganza, ma, sotto sotto, sempre la stessa spietata puttana...

E là, all'angolo di Commissioner Street, adorno come una torta nuziale, con le sue fantastiche decorazioni in ferro battuto e il tetto a cornicione, c'era il Candy's Hotel.

Con il fucile su una spalla e lo zaino sull'altra, Sean si aprì un varco tra la folla che gremiva il marciapiede, seguito da Saul e Mbejane. Raggiunse l'albergo ed entrò per la porta girevole di vetro. «Davvero imponente», disse, guardandosi intorno e lasciando cadere lo zaino sullo spesso pelo del tappeto. Lampadari di cristallo, tende di velluto trattenute da cordoni d'argento, tavoli di marmo, grandi poltrone di felpa, palme e urne di bronzo. « Che ne dici, Saul? Vogliamo provare questo dormitorio? » La sua voce riempì l'atrio, zittendo il mormorio delle conversazioni educate.

« Non parlare così forte », lo ammonì Saul.

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Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) Un generale seduto in una delle poltrone di felpa s'irrigidì e voltò la testa per fissarli attraverso il monocolo, mentre il suo aiutante di campo si chinava verso di lui bisbigliando: « Coloniali ».

Sean gli fece l'occhiolino e si avvicinò al banco della ricezione.

« Buongiorno, signore. » Lo sguardo dell'impiegato era gelido.

« Avete le prenotazioni per me e per il mio capo di stato maggiore. »

« Il nome, signore? »

« Spiacente, non posso rispondere a questa domanda. Stiamo viaggiando in incognito », disse Sean, serissimo, e sul volto dell'impiegato apparve un'espressione stranita. Sean abbassò la voce fino ad assumere un tono da cospiratore. « Ha visto entrare un uomo con una bomba? »

« No. » Gli occhi dell'altro divennero vitrei. «Nossignore. No, non l'ho visto. »

«Bene.» Sean parve sollevato. « In questo caso prenderemo la Suite Victoria. Ci faccia portare il bagaglio di sopra. »

« Il generale Caithness occupa la Suite Victoria, signore. » Ora l'uomo dall'altra parte del banco pareva disperato.

« Cosa? » ruggì Sean. « Come osate! »

« Io non... Noi non abbiamo avuto alcuna... » Balbettando, l'impiegato arretrò di due passi.

« Chiami il proprietario », ordinò Sean.

« Sissignore. » E l'impiegato scomparve dietro una porta con la scritta PRIVATO.

«Sei impazzito?» Saul, al colmo dell'imbarazzo, scalpitava.

« Non possiamo permetterci un posto simile. Andiamocene da qui. »

Sotto lo sguardo interrogativo degli ospiti presenti nell'atrio, egli era molto conscio delle loro uniformi stazzonate e sudicie.

Prima che Sean potesse rispondere, una donna uscì dalla porta contrassegnata PRIVATO, una donna molto bella ma anche molto ar-rabbiata, con occhi che sprizzavano lampi azzurri come gli zaffiri che portava al collo. «Sono la signora Rautenbach... La proprietaria. Lei ha chiesto di vedermi? »

Per tutta risposta Sean sorrise, e la collera della donna svanì lentamente mentre cominciava a riconoscerlo, nonostante la giubba lu-rida e la mancanza della barba.

« Mi vuoi sempre bene, Candy? »

« Sean? » La donna era ancora incerta.

« Chi altri? »

«Sean! » E corse ad abbracciarlo. Mezz'ora dopo il generale Caitimess era stato sfrattato, e nella Suite Victoria si erano comodamente installati Sean e Saul.

Rinfrescato dal bagno, con solo un asciugamano intorno ai fianchi, Sean sedeva in poltrona con la testa piegata all'indietro, mentre il barbiere gli radeva l'ispida stoppia di tre giorni.

« Vuoi dell'altro champagne? » Candy non gli staccava gli occhi di dosso da dieci minuti.

« Grazie. »

Candy riempì il bicchiere, glielo rimise in mano, poi gli toccò i grossi muscoli dei braccio. « Sempre di ferro », mormorò. « Hai sconfitto il tempo. » Le sue dita si spostarono sul petto. « Solo un pò di grigio qua e là... Ma ti dona. » Poi, al barbiere: « Non ha ancora finito? ».

« Ancora un minuto, signora. » Diede qualche'ulteriore sforbi-ciata lungo la linea di una tempia, fece due passi indietro e ammirò la propria opera; poi, con modesto orgoglio, sollevò lo specchio davanti al volto di Sean, chiedendone silenziosamente l'approvazione.

« Molto bene. Grazie. »

« Può andare ora. Si occupi dei signore nell'altra camera. »

Candy aveva atteso abbastanza. Appena la porta si chiuse dietro il barbiere, la donna diede un giro di chiave. Sean si alzò e i due si fissarono attraverso la stanza.

« Mio Dio, come sei grande. » La sua voce era roca, spudorata-mente avida.

« Mio Dio, come sei bella », replicò Sean, e avanzarono lentamente l'uno verso l'altra.

Dopo, giacquero per un pò in silenzio, mentre l'oscurità si ad-Pagina 99

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) densava nella camera col calar della sera. Poi Candy sfiorò con le labbra una spalla di Sean e, come una gatta che pulisce i propri piccoli, gli passò delicatamente la lingua sui lunghi graffi rossi nel collo.

Quando la stanza fu completamente buia, la donna accese una delle lampade a gas e fece portare biscotti e champagne. Infine, seduti sul letto disfatto, cominciarono a parlare.

Dapprima ci fu un certo imbarazzo, a causa di ciò che era appena accaduto tra loro, ma presto passò, e i due rimasero svegli fino a notte inoltrata.

E' raro che un uomo trovi nella stessa donna un'amante e un'amica, ma con Candy questo era possibile. E Sean si liberò con lei di tutto quanto urgeva e fermentava nel suo animo.

Le parlò di Michael e dello strano legame che li univa.

Le parlò di Dirk, accennando alle apprensioni che nutriva a suo riguardo.

Le parlò della guerra e di ciò che avrebbe fatto quando fosse finita.

Le parlò dei Lion Kop e della piantagione di acacie.

Una sola cosa non le confidò. Non poteva parlare di Ruth né dell'uomo che era suo marito.

La voce del tuono
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