38.
Fu un lungo, lento viaggio verso Johannesburg; un viaggio interrotto da interminabili soste. A ogni raccordo c'era una fer-mata, talvolta di mezz'ora, ma in genere molto piú lunga. Di tanto in tanto, senza ragione apparente, il treno si bloccava in mezzo al veld.
« Cosa diavolo c'è adesso? »
« Hanno sparato al macchinista. »
« No, di nuovo! »
Facce rabbiose si sporgevano dai finestrini, urlando proteste e commenti. Quando il capotreno trotterellava lungo il terrapieno ri-coperto di ghiaia verso la testa del convoglio, era inseguito da un coro di fischi e ululati.
« Per piacere, signori, un pò di pazienza. Dobbiamo controllare i tunnel e i ponti. »
«Ma la guerra è finita! »
« Di cosa avete paura. »
« I vecchi, buoni boeri stanno correndo così in fretta che non hanno certo il tempo di occuparsi dei ponti. »
Gli uomini scendevano sul terrapieno e sostavano in impazienti gruppetti finché risuonava il fischio di partenza. Allora risalivano in vettura, mentre il treno sobbalzava e riprendeva ad avanzare.
Sean e Saul sedevano in un angolo d'uno scompartimento affollato e giocavano a klabrias. Poiché la maggioranza considerava l'aria fredda e pulita dell'alto veld con lo stesso orrore che si riserva ai gas di cianuro, i finestrini erano tenuti ermeticamente chiusi. Lo scompartimento era azzurro per il fumo di pipa e fetido per l'odore d'una dozzina di corpi non lavati. Conversare era inevitabile. Con-finate un gruppo di uomini in un piccolo spazio ed entro dieci minuti staranno chiacchierando.
Nel caso particolare, i compagni di viaggio di Sean e Saul avevano una vasta esperienza in materia di pornografia. Un sergente che aveva prestato servizio per tre anni a Bangkok conquistò il suo uditorio dopo una spedizione in corridoio, dalla quale tornò con un vecchio compagno di avventure in Oriente. Questo esperto mostrò fotografie che furono studiate minuziosamente.
Esse servirono anche a ricordare a un caporale, che aveva trascorso un periodo di servizio in India, la sua visita al Tempio di Ko-narak. Quest'argomento fece loro trascorrere un'altra ora e aprì la strada a una discussione sulla famosa Casa dell'Elefante di Shanghai, che li tenne occupati da mezzogiorno al tramonto.
Intanto Saul si era stancato di guardare le fotografie e, preso un libro dal suo sacco, cominciò a leggere. Sean si annoiava. Pulì il fucile. Si stuzzicò i denti con un fiammifero, guardando fuori del finestrino i piccoli branchi di gazzelle che pascolavano lungo la ferrovia. Ascoltò un resoconto dettagliato delle prestazioni fornite dalle signore della Casa dell'Elefante e decise di starne alla larga qualora gli fosse capitato di andare a Shanghai. Infine chiese all'amico:
« Cosa stai leggendo? ».
« Mhm? » Saul sollevò gli occhi con aria vaga e Sean ripeté la domanda.
« Il sistema di governo di Westminster. »
«Gesú! Come mai ti rimpinzi di quella roba? »
« M'interessa la politica », disse Saul mettendosi sulle difensive, e riprese la sua lettura.
Sean continuò a osservarlo per un pò, poi chiese: « Hai qualche altro libro con te? ».
Saul riaprì la sacca. « Leggi questo. »
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Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro)
« La ricchezza delle nazioni. » Il tono di Sean era dubbioso. « Di cosa tratta? » Ma Saul era di nuovo immerso nel suo libro.
Sean aprì il pesante volume e guardò pigramente la prima pagina, sospirando di rassegnazione. Era passato molto tempo da quando aveva letto qualcosa di diverso da una lettera o da un rendiconto bancario. Poi i suoi occhi cominciarono a scorrere avanti e indietro sulle righe come la spola di un telaio. Senza saperlo, stava tessendo i primi fili di una stoffa destinata a coprire una parte della sua anima che fino a quel momento era rimasta nuda.
Dopo un'oretta Saul lo guardò. « Cosa te ne pare? » chiese.
Sean borbottò qualcosa senza alzare gli occhi. Era completamente assorto nel libro. Verano cose importanti. Il linguaggio di Adam Smith aveva una sua maestosa chiarezza. Con alcune di quelle conclusioni Sean non era d'accordo, tuttavia il ragionamento suscitava un corso di pensieri nel suo cervello, stimolandolo a correre avanti e ad anticipare, a volte con esattezza, ma spesso giungendo a conclusioni molto distanti da quelle cui mirava l'autore.
Procedeva rapidamente, sapendo che l'avrebbe riletto, perché quella era soltanto una prima esplorazione nel territorio sconosciuto della scienza economica. Senza staccare gli occhi dalla pagina, frugò nelle tasche della giubba, trovò un mozzicone di matita e sottoli-neò un passo su cui voleva ritornare. Poi proseguì la lettura. Ora usava spesso la matita. « No!» scrisse in margine a una frase. E'
« Giusto », vicino a un'altra.
Saul alzò di nuovo gli occhi e aggrottò la fronte, vedendo che Sean stava sciupando il libro. Poi notò l'espressione di Sean, così concentrata, e la sua faccia si distese. Osservò l'amico di sottecchi.
Il suo sentimento per quell'uomo muscoloso, dagli umori violenti e dalle dolcezze inattese, aveva superato l'affetto e ora rasentava l'adorazione. Non sapeva perché Sean avesse steso su di lui le sue ali protettive, né gl'interessava. Ma era bello starsene seduto in silenzio, senza piú leggere, a guardare il volto di quel colosso che era ben piú di un amico.
Soli in mezzo a una moltitudine, sedevano l'uno di fronte all'altro. Il treno serpeggiava verso nord attraverso la prateria, lasciandosi dietro un pennacchio di fumo grigio-argento, mentre il sole affondava stancamente dietro l'orizzonte, imporporando le nubi.
Quando fu scomparso, l'oscurità calò rapidamente.
Mangiarono carne in scatola stesa sul pane nero con la lama delle baionette. Non c'era luce nello scompartimento, così, dopo che ebbero mangiato, si avvolsero nelle coperte e chiacchierarono al buio. Intorno a loro ogni conversazione cessò e fu sostituita dai rumori del sonno. Sean aprì uno dei finestrini e l'aria fredda rischiarò e risvegliò le loro menti, cosicché continuarono a discutere con un'eccitazione che erano di tanto in tanto costretti a reprimere.
Parlarono degli uomini, della terra e degli Stati come unione di entrambi; e di come tali Stati dovevano essere governati. Discussero un poco della guerra e molto della pace che l'avrebbe seguita; della ricostruzione di ciò che era stato distrutto da qualcosa di molto piú forte. Previdero l'odio che sarebbe cresciuto come un'erbaccia ma-lefica sul sangue e sui cadaveri, ed esaminarono i mezzi con cui si sarebbe dovuto sradicarlo prima che strangolasse il tenero virgulto di un paese che poteva diventare grande.
Non avevano mai parlato così. Saul si stringeva le coperte intorno alle spalle e ascoltava la voce di Sean nell'oscurità. Come in quasi tutti gli ebrei, la sua sensibilità era estremamente acuita, così che poteva cogliere in quell'uomo una nuova dimensione, un nuovo orientamento.
Io ho contribuito a questo, pensò, con un moto d'orgoglio: Sean è un toro, un toro selvaggio, che carica qualunque cosa si muova; carica senza scopo, poi si ferma e devia verso un altro bersaglio; usa la sua forza per distruggere perché non ha mai imparato a servirse-ne altrimenti; confuso e rabbioso, muggisce per le picche conficcate nelle sue spalle; dà la caccia a tutto e perciò non cattura nulla. Forse posso aiutarlo, mostrargli uno scopo e una via d'uscita dall'a-rena.
Parlarono fino a notte inoltrata. L'oscurità aggiungeva una nuova dimensione alla loro esistenza. Invisibili, le loro forme fisiche Pagina 93
Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) non li limitavano piú e pareva che le menti fossero libere di incontrarsi nel buio, di fondersi in un intreccio di parole che alimentava nuove idee. Finché, di colpo, quella delicata struttura si infranse e si dissolse con l'esplosione della dinamite e coi fischio dei vapore che fuoriusciva dalla caldaia, col fracasso del legno e del vetro che si spezzavano, con la confusione dei bagagli e dei corpi gettati violentemente gli uni sugli altri, mentre il treno s'impennava, ondeggiava e usciva dai binari. Quasi contemporaneamente un altro suono si uni al fragore: colpi di fucile a distanza ravvicinata e il continuo tambureggiare di una mitragliatrice Maxim.
Sean, al buio, rimase inchiodato sotto un peso immane, incapace di respirare. Lottò selvaggiamente, per liberarsi dei corpi e dei bagagli che lo sommergevano, con le gambe ancora avvolte nelle coperte. Il peso diminuì abbastanza da permettergli di respirare, ma un ginocchio lo colpì in faccia con tanta violenza che le sue labbra si spaccarono e la bocca gli si riempì di sangue. Menò un colpo alla cieca e conficcò il braccio in uno spezzone di vetro.
Nell'oscurità, uomini urlavano di paura e di dolore, mescolando le loro grida all'orrendo coro di lamenti, di imprecazioni e di spari.
Sean riuscì a liberarsi e sentì dei corpi che si dibattevano sotto di lui, mentre si alzava in piedi. Ora il tonfo sordo delle pallottole contro il legno delle vetture risuonava molto piú forte ai suoi orecchi di quello degli spari.
Qualcuno barcollò contro di lui e Sean lo afferrò. « Saul! »
« Lasciami, lasciami andare. » Era uno sconosciuto.
« Saul. Saul. Dove sei? »
« Sean. »
« Sei ferito? »
«No.»
« Tiriamoci fuori da qui. »
« Il mio fucile. »
« All'inferno il fucile. »
« Dov'è il finestrino? »
«Bloccato.»
Infine Sean riuscì a farsi un'idea della situazione. Il vagone era rovesciato su un fianco coi finestrini contro il suolo e con tutti i lo-ro compagni morti o feriti ammucchiati sopra. Lo sportello era sopra le loro teste, probabilmente inceppato. « Dovremo uscire dal tetto. » Tastò davanti a sé alla cieca, poi imprecò e ritirò di scatto la mano - una scheggia di legno gli si era conficcata sotto un'unghia -
ma sentì sul viso un soffio d'aria fresca.
« C'è un buco. » Tastò di nuovo ansiosamente e trovò quello che cercava. « Una delle assi si è spaccata. » Subito ci fu un protendersi di corpi in avanti, alcune mani lo avvinghiarono, mentre una mezza dozzina d'uomini lottavano per guadagnare l'apertura.
« Indietro, bastardi. » Sean sferrò pugni alla cieca e sentì che andavano a segno. Stava ansimando, e il sudore gli colava lungo la schiena. L'aria era pesante per il calore dei corpi e il respiro di tutti quegli uomini in preda al terrore. « Indietro. Lasciate fare a me. »
Infilò le mani nella fessura e divelse l'asse sfondata. Per un momento lottò con la tentazione di premere il viso contro la stretta feritoia e aspirare l'aria fresca. Poi afferrò l'asse vicina, puntò i piedi contro il tetto e tirò con tutte le sue forze. L'asse non si spostò di un millimetro. Sentì che il panico si stava di nuovo impadronendo di lui. « Qualcuno mi trovi un fucile », gridò sovrastando il frastuono.
«Eccolo», rispose Saul, e l'arma fu spinta nelle sue mani. Sean inserì la canna nell'apertura e fece leva con tutto il suo peso. Sentì il legno spezzarsi, spostò la canna e spinse di nuovo. Funzionò. Sean tolse la seconda asse e attaccò la terza.
« Bene. Uno alla volta ora. Prima tu, Saul. » Dominando a stento il panico Sean spinse rudemente ciascun uomo attraverso l'apertura dai bordi irti di schegge. Un grassone vi rimase incastrato.
Sean gli puntò uno stivale nel fondoschiena e spinse. L'uomo urlò e schizzò fuori come il tappo d'una bottiglia di champagne. «C'è qualcun altro? » gridò nell'oscurità.
« Sean », Saul lo chiamava da fuori, « esci di lì! »
« Tu mettiti al coperto », replicò Sean.
Il fuoco boero batteva ancora il treno distrutto. Sean ripeté la Pagina 94
Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) domanda: « C'è qualcun altro? » e un uomo gemette accanto ai suoi piedi. Lo trovò in fretta. Era ferito gravemente, la sua testa ciondo-lava. Gli tolse di dosso un cumulo di bagagli e lo distese. Impossibile muoverlo, si disse, è piú sicuro qui, finché non arriva un medico.
Si staccò da lui e inciampò in un altro corpo. «Maledetti», singhiozzò nella sua terribile ansia di uscire. Costui era morto; Sean se ne accorse dalla pelle, vischiosa e fredda come quella di un serpente. Lo lasciò e dal buio completo dello scompartimento emerse sotto il cielo notturno. Le stelle illuminavano la terra di una luce perlacea, e Sean vide il vapore sospeso sopra la locomotiva come un alto, vorticante banco di nebbia, i vagoni di testa incastrati come parti di un cannocchiale, gli altri rovesciati e contorti in forme bizzarre.
Qua e là pochi fucili rispondevano debolmente al fuoco boero.
« Sean! » chiamò Saul, dal punto in cui stava accovacciato.
Sean corse da lui e alzò la voce, sovrastando il frastuono. «Tu resta qui. Io vado in coda a cercare Mbejane. »
« Non lo troverai mai in questo caos. Era con i cavalli... li senti? »
Dagli ultimi vagoni arrivava un suono che Sean si augurò di non dover sentire mai più. Duecento cavalli intrappolati e in preda al terrore... ben peggiore delle grida e dei gemiti degli uomini ancora imprigionati tra i rottami. « Mio Dio! » bisbigliò Sean. Poi la rabbia superò la paura. « Quei bastardi », disse con voce rabbiosa, e sollevò gli occhi verso il rialzo dei terreno su cui era appostato il nemico.
I boeri avevano scelto un punto in cui la ferrovia curvava lungo la riva di un fiume. Il corso d'acqua impediva la fuga da un lato, mentre dall'altro il terreno saliva ripidamente in due gobbe sovrapposte che dominavano completamente i binari.
Lungo la piú bassa erano schierati i fucilieri, almeno duecento, a giudicare dall'intensità del fuoco, mentre su quella superiore era piazzata la Maxim. Sean la guardò con rabbia per un minuto, poi alzò il fucile, che non aveva abbandonato, e vuotò il caricatore contro la mitragliatrice. Immediatamente le fiammate della Maxiin divennero piú nitide, man mano che l'arma ruotava nella sua direzione per scovarlo. L'aria intorno alla testa di Sean si riempì degli schiocchi di cento fruste.
Sean si abbassò per ricaricare, poi si alzò e riprese a far fuoco.
« Bastardi », gridava, e la sua voce dovette arrivare fino al nemico, perché subito anche i fucili aiutarono la Maxim a scovarlo. Ed erano maledettamente prossimi a riuscirci.
Sean si accosciò di nuovo. Accanto a lui, anche Saul stava sparando.
« Dove hai trovato quel fucile? »
« Sono tornato dentro a prenderlo », rispose Saul, senza smettere di far fuoco, e sogghignò mentre le sue dita armeggiavano coi caricatore.
« Un giorno o l'altro ci lascerai la pelle », borbottò Sean.
« Sentì chi parla», lo rimbeccò Saul.
Ancora una volta Sean sparò tutti i suoi colpi senza alcun risultato, ma il rinculo dell'arma risvegliò in lui la collera. Mancava solo la voce di Mbejane per scatenarlo completamente. « Nkosi. »
« Dove diavolo ti eri cacciato? » chiese.
« Avevo perduto le lance. Ho impiegato molto tempo a trovarle al buio. »
Sean tacque per un momento, studiando il terreno. Sulla sinistra c'era un vuoto nella schiera dei tiratori boeri, là dove si apriva uno stretto crepaccio che scendeva verso la ferrovia. Non era impresa da poco risalire quel canalone e passare dietro la linea di fuoco nemica.
Ma da quel punto la solitaria mitragliatrice sulla cresta sarebbe stata molto vulnerabile.
« Prendi le lance, Mbejane. »
« Dove andate? » chiese Saul.
« Voglio tentare di raggiungere la Maxim. Tu resta qui e tieni occupati quei signori coi fucili. »
Cominciò i muoversi lungo il treno verso l'imbocco del crepaccio. Percorse una cinquantina di metri. Prima di accorgersi che Saul li aveva seguiti.
« Dove credi di andare? »
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«Con te. »
« Un accidenti! »
« Davvero? » Nella voce di Saul c'era quella particolare nota di ostinazione che Sean aveva imparato a riconoscere, e non c'era tempo per discutere. Riprese a correre finché fu di fronte al crepaccio.
Li si riparò dietro un vagone rovesciato per esaminare un'ultima volta il terreno.
La spaccatura appariva stretta ma profonda, e i cespugli che la colmavano li avrebbero nascosti alla vista dei boeri.
« Si può fare », decise a voce alta, poi disse agli altri due: « Io andrò avanti per primo, tu seguimi, Saul, e bada a dove metti i piedi». Aveva l'impressione che tra i sopravvissuti al disastro si stesse organizzando una specie di resistenza. Sentiva gli ufficiali che radu-navano gli uomini, e ora un centinaio di fucili rispondevano al fuoco nemico.
« Bene... Io vado. » Si alzò. « Seguitemi appena avrò attraversato. »
In quel momento risuonò un'altra voce. « Ehi, cosa fate lì? »
« Che t'importa? » ribatté Sean con impazienza.
« Sono un ufficiale. »
Allora Sean riconobbe la voce e la figura allampanata che impugnava una sciabola. « Acheson! »
Un attimo di esitazione, poi anche Acheson lo riconobbe.
« Courteney! Cosa sta facendo? »
« Voglio risalire quel crepaccio per attaccare la Maxim. »
« E crede di arrivarci? »
« Ci posso provare. »
« Bene... Vada allora. Noi saremo pronti a darle man forte, se ce la farà. »
«Ci vediamo in cima», disse Sean, correndo verso l'imbocco dei canalone.
Salirono silenziosamente in fila indiana; gli spari e le grida coprivano i deboli rumori della loro avanzata. Sean poteva sentire sempre piú distintamente le voci dei burghers via via che saliva, adesso erano vicinissime... Proprio di fianco a loro, dall'altra parte del crepaccio... Infine alle loro spalle, e... Ecco, erano passati.
Il canalone in quel punto era meno profondo, e continuava ad appiattirsi man mano che s'approssimava alla cresta. Sean lanciò un'occhiata oltre il bordo. Sotto di lui, le sagome dei boeri distesi tra l'erba erano appena visibili, ma i loro fucili eruttavano lunghe fiammate color arancione, mentre le risposte inglesi erano semplici puntini di luce dietro le forme scure dei vagoni.
Sean concentrò la propria attenzione sulla Maxim e capì perché i colpi del suo fucile fossero stati così inefficaci. Piazzata su una sporgenza del pendio appena sotto la cresta, era protetta da un muretto arrotondato di pietra e terra. La grossa canna col manicotto d'acqua sporgeva da una stretta feritoia, e i tre uomini che la mano-vravano stavano accovacciati dietro il muretto.
«Andiamo», bisbigliò Sean, e uscì dal crepaccio strisciando sul ventre.
Uno dei mitraglieri lo scorse quando si trovò a pochi metri da loro. «Magtig! Pasop, daars'n... » Sean balzò in avanti impugnan-do il fucile a due mani, e l'uomo non riuscì a terminare il suo avver-timento. Per qualche secondo la piazzola fu invasa da un groviglio di corpi, poi tutto finì e si udì soltanto l'ansimare dei tre.
« Sai come funziona questo arnese, Saul? »
« No. »
« Nemmeno io. »
Sean si piazzò dietro la mitragliatrice, strinse le due impugnature e automaticamente i suoi pollici si posarono sul pulsante di sparo.
« Wat makeer julle daar bo? Skiet, man, skiet! » gridò un boero da sotto, e Sean di rimando: « Wag maarn oomblik... dan skiet ek bedonderd. »
« Wie's daar? Chi sei? » domandò il boero, e Sean abbassò la bocca della Maxim.
Era troppo buio per usare il traguardo di puntamento, quindi Sean mirò approssimativamente e premette i pollici sul pulsante.
Immediatamente le sue spalle sussultarono come quelle di chi stia Pagina 96
Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) usando un martello pneumatico, ma Sean riuscì a mantenere bassa la bocca dell'arma.
Un uragano di grida e di proteste scoppiò tra le linee boere, e Sean rise con gioia selvaggia. Il fuoco nemico sul treno cessò come per miracolo, mentre gli uomini balzavano in piedi e si sparpagliavano sotto la pioggia di proiettili. I piú corsero dove avevano lasciato i cavalli, dietro la cresta, girando ben al largo dalla Maxim, mentre una schiera esultante di fanti inglesi cominciava a risalire il pendio. Dando a Sean quel sostegno che Acheson gli aveva promesso.
Solo un esiguo ma deciso gruppetto di boeri si diresse verso Sean, urlando rabbiosamente e facendo fuoco mentre avanzava.
Proprio sotto la piazzola c'era un angolo morto, dove Sean non poteva raggiungerli con il fuoco della Maxim.
«Andatevene da qui. Correte ai lati», gridò Sean a Saul e a Mbejane, mentre sollevava la pesante mitragliatrice sul bordo del muretto per ampliare il settore di tiro. Ma il movimento fece aggro-vigliare il nastro alimentatore e, dopo la prima raffica, l'arma s'inceppò senza rimedio. Sean la sollevò al di sopra della testa, rimase per un attimo in quella posizione e infine la scagliò tra gli uomini sotto di lui. Due furono colpiti e restarono immobili sull'erba. Sean afferrò dal bordo dei muretto una pietra grossa come una zucca e la lanciò dietro alla Maxim... Quindi ne scagliò un'altra, e un'altra ancora. Con un ghigno che tradiva la paura e l'eccitazione, egli continuò a tempestare di pietre i nemici. E costoro cedettero. La maggior parte deviò lateralmente, unendosi a coloro che già fuggivano verso i cavalli.
Soltanto un uomo continuò ad avanzare, un colosso che si arrampicava rapido e silenzioso. Le due ultime pietre di Sean avevano fallito il bersaglio e, improvvisamente, l'uomo fu troppo vicino...
non piú di tre metri. Sean lo vide fermarsi e alzare il fucile. Anche al buio, da quella distanza non poteva mancarlo: si lanciò dal muretto. Un istante di caduta libera, poi, con un urto che mozzò il fiato a entrambi, Sean si abbatté sul petto del burgher. Rotolarono giú per il pendio, scalciando e tentando di afferrarsi a vicenda, finché un piccolo cespuglio li fermò.
« E' finita per te, maledetto olandese! » ringhiò Sean. Non aveva dubbi sull'esito di quel corpo a corpo. Confidando nella propria superiorità, allungò una mano verso la gola dell'uomo, ma con stupore si sentì afferrare il polso da una stretta che gli fece scricchiolare le ossa.
« Kom, ons slaat aan! » La bocca del burgher era a due centimetri dall'orecchio di Sean: quella voce era inconfondibile.
« Jan Paulus! »
« Sean! » La sorpresa gli fece allentare la stretta per un attimo, e Sean riuscì a liberare la mano.
Solo una volta nella sua vita Sean aveva incontrato un uomo forte quanto lui... E ora si trovavano di nuovo l'uno contro l'altro.
Puntò il palmo della destra sotto il mento di Jan Paulus, spingendo-gli la testa indietro, contro il proprio braccio sinistro: gli avrebbe spezzato il collo. Ma Jan Paulus circondò con le braccia il petto di Sean, appena sotto le ascelle, e strinse. Nel giro di pochi secondi, Sean sentì che la sua faccia si gonfiava, che la bocca si spalancava e che la lingua sporgeva tra i denti.
Non poteva respirare, ma riuscì ugualmente a mantenere la pressione sul collo di Jan Paulus... Stava per farcela, ancora un paio di centimetri e gli avrebbe spezzato le vertebre.
La terra pareva sussultare e girare sotto di lui, Sean sapeva d'essere agli estremi perché macchie piú oscure del buio circostante gli annebbiavano la vista: tale consapevolezza gli diede un pò piú di forza. La concentrò tutta sul collo dell'avversario. Jan Paulus emise un grido selvaggio e strozzato, e la sua stretta sul petto di Sean si allentò lievemente.
Di nuovo, si disse Sean, di nuovo. E raccolse tutte le energie che gli restavano per lo sforzo finale. Prima che potesse esercitarlo, Jan Paulus si mosse rapidamente, cambiando presa. Puntò le ginocchia sotto il bacino dell'avversario e con uno sforzo convulso ne spinse in alto e in avanti la parte inferiore del corpo, facendola ruotare: Sean dovette lasciare la presa sul collo di Jan Paulus e usare le mani Pagina 97
Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) per ammortizzare la propria caduta.
Una pietra aguzza lo colpì all'osso sacro, e il dolore scaturi in lui come un lampo in un cielo estivo. Confusamente udì le grida della fanteria inglese, molto vicina ora, e vide che Jan Paulus si alzava carponi e guardava giú per la scarpata, dove le baionette scin-tillavano alla luce delle stelle, e cominciava ad arrampicarsi verso la cresta.
Sean si sollevò in piedi a fatica e tentò d'inseguirlo, ma il dolore alla schiena glielo impedì; Jan Paulus raggiunse con una decina di passi la cresta davanti a lui. Ma, mentre correva, un'altra forma scura gli si accostò di fianco, nel modo in cui un buon cane attacca un rybuck in corsa. Era Mbejane, e Sean lo vide alzare la lancia.
«No!» gridò. «No, Mbejane! Lascialo! Lascialo andare!»
Mbejane esitò, rallentò la corsa, si fermò e si voltò a guardare Sean.
Questi lo raggiunse e gli si affiancò, le mani sulla schiena e il respiro che gli usciva come un rantolo dalla gola. Dal fondo della scarpata dall'altra parte del colle giunse alle loro orecchie lo scalpitio di un unico cavallo. Poi, l'eco della fuga di Jan Paulus svanì in lontananza, e i due furono raggiunti dai fanti inglesi che avanzavano. Sean si voltò e ridiscese la china attraversando le loro file.