9.

Quel pomeriggio Sean condusse i suoi compagni al di là del ponte ferroviario sul Tugela, poi attraverso il villaggio abbandonato di Colenso e ancora addentro nella pianura. In lontananza davanti a loro, disseminate sul verde come margherite in un prato, biancheggiavano le tende dell'immenso accampamento inglese di Chievely Siding. Molto prima di arrivarci, Sean incontrò un posto di guardia presidiato da un sergente e quattro uomini di un glorioso reggimento dello Yorkshire.

« Ehi, tu! Dove diavolo credi di andare? »

«Sono un suddito britannico», lì informò Sean. Il sergente lanciò un'occhiata alla barba e alla giacca rattoppata. Spostò lo sguardo sul pony, terribilmente ispido, e considerò la direzione dalla quale era arrivato.

« Dillo di nuovo », fece.

« Sono un suddito britannico » ripeté Sean, compiacente, ma con un accento che non poteva non suonare sospetto all'orecchio di un figlio dello Yorkshire.

«Già! E io sono giapponese», disse il sergente in tono ilare.

« Molla il fucile, amico. »

Per due giorni Sean languì tra il filo spinato d'un campo di prigionia, mentre il Servizio Informazioni telegrafava all'ufficio di stato civile di Ladyburg e aspettava la risposta. Due lunghi giorni durante i quali Sean continuò a rimuginare, non sull'indegno trattamento inflittogli, ma sulla donna trovata, amata e perduta in così breve tempo. Quella forzata inattività arrivava proprio nel momento peggiore. Ripetendosi all'infinito ogni parola che si erano scam-biati, risentendo ogni contatto delle mani e dei corpi, rievocando il Pagina 19

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) suo volto e soffermandosi su ogni particolare, incise così profondamente nel proprio spirito il ricordo di Ruth, da renderlo incancella-bile. Non conosceva nemmeno il suo cognome, ma non l'avrebbe mai dimenticata.

Quando, con molte scuse, fu liberato, e gli furono restituiti cavalli, fucile, danaro e bagagli, Sean era in uno stato di depressione che soltanto l'alcool o la violenza fisica potevano alleviare.

Il villaggio di Frere, il primo a sud verso la costa, prometteva entrambe le cose.

«Porta Dirk con te», ordinò a Mbejane. «Accampatevi fuori città, di fianco alla strada, e accendete un grosso fuoco, in modo che possa trovarvi al buio. »

« Tu cosa farai, Nkosi? »

Sean si avviò verso la piccola e scura bettola che provvedeva ai bisogni degli assetati di Frere. «Io vado là», rispose.

« Vieni, Nkosizana », disse Mbejane a Dirk.

Mentre proseguiva col ragazzo lungo la strada, lo zulu si chiedeva quanto tempo avrebbe dovuto lasciare a Sean, prima di tornare a prenderlo. Erano anni che non lo vedeva dirigersi con tanta determinazione verso un bar, ma bisognava dire che in quegli ultimi giorni Sean aveva passato un bel mucchio di guai. Gli ci vorrà fino a mezzanotte, si disse Mbejane, poi potrò portarlo a dormire.

Dalla porta Sean esaminò l'interno della bettola. Era un unico vasto locale con un banco su cavalletti lungo la parete di fondo, uno stanzone caldo, gremito, odoroso di sigari e di liquori. Sempre sulla soglia, Sean infilò una mano in tasca e contò di nascosto il denaro che conteneva: si era concesso dieci sovrane, piú che sufficienti per le bevande che intendeva consumare.

Mentre si faceva strada tra la folla verso il bancone, osservava gli uomini che lo circondavano. Militari per lo piú, appartenenti a una dozzina di reggimenti diversi. Truppe imperiali e coloniali, quasi tutti soldati semplici, ma c'era anche un gruppetto di sottufficiali seduti a un tavolo a ridosso di una parete. Poi c'erano alcuni civili, che Sean giudicò conducenti di carri, appaltatori e uomini d'affari; in compagnia degli ufficiali, due donne sulla cui professione non sussistevano dubbi; e una dozzina di camerieri negri.

«Cosa ti do, tesoro?» chiese il donnone dietro il banco, quando il nuovo arrivato l'ebbe raggiunto. A Sean non piacquero né i mu-stacchi dell'ostessa, né l'appellativo che gli aveva rivolto.

« Brandy. » Non era dell'umore adatto ai convenevoli.

La donna capì subito di che cosa aveva bisogno. «Vuoi la bottiglia, caro? »

« Tanto per cominciare», assentì Sean.

Bevve tre buoni bicchieri, ma si accorse che non gli facevano alcun effetto... O piuttosto eccitavano la sua immaginazione, tanto che, davanti ai suoi occhi, apparve chiaramente il volto di Ruth, completo di ogni particolare, compreso il piccolo neo su uno zigo-mo e il modo in cui gli angoli degli occhi si sollevavano quando sorrideva. Aveva bisogno di un piú rapido approccio all'oblio.

Appoggiato sulla schiena, con entrambi i gomiti sul banco e il bicchiere stretto nella mano destra, Sean studiò di nuovo gli uomini che lo circondavano. Valutava ciascuno come possibile fonte di di-strazione, poi lo scartava e passava a un altro, finché non gli rimase che il gruppetto seduto attorno al tavolo da gioco.

Erano in sette e giocavano a poker; con poste modeste, da quel che Sean poteva vedere. Afferrò la bottiglia, attraversò il locale per unirsi alla cerchia di spettatori e si piazzò dietro un sergente della guardia nazionale a cavallo che stava prendendo una solenne bato-sta. Poche mani, e il sergente chiese una carta per completare un colore, gli andò buca e tentò il bluff, rilanciando due volte finché fu visto da una doppia coppia. Il sottufficiale buttò le carte e sbuffò con aria contrariata: « E con questo sono ripulito». Raccolse dal tavolo le poche monete rimaste davanti a lui e si alzò.

«Sfortuna, Jack. Qualcuno vuole prendere il suo posto?» chiese il vincitore, rivolto alla cerchia di uomini in piedi. «Una partitina amichevole, soldi sul tavolo. »

« Entro io », disse Sean.

Si sedette, piazzò bicchiere e bottiglia in posizione strategica alla Pagina 20

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) propria destra e ammucchiò davanti a sé cinque sovrane.

« Ehi, questo ci porta dell'oro! Benvenuto. »

Sean passò nella prima mano, perdette due sterline contro tre regine nella seconda e ne vinse cinque nella terza. Da quel momento la fortuna fu dalla sua e Sean giocò con fredda concentrazione: quando gli occorreva una carta, pareva che dovesse soltanto deside-rarla.

Com'era il vecchio adagio? «Sfortunato in amor, fortuna a carte. » Con un sorriso truce, completò una scala minima con un sette di cuori, batté un tris di regine e trasse a sé il piatto, ingrossando il mucchio delle sue vincite. Era sopra di circa trenta o quaranta sterline. Ora cominciava a divertirsi.

«Siamo rimasti in pochi, signori. » Durante l'ultima ora tre gio-catori si erano ritirati, ed erano rimasti in quattro. «Che ne direste di dare ai perdenti la possibilità di rifarsi? »

«Vuoi aumentare la posta?» chiese Sean al tizio che aveva parlato. Era, oltre a Sean, l'unico vincente, un omaccione dalla faccia rossa che emanava un forte odore di cavallo. Conducente di carri, con tutta probabilità.

« Sì, se siamo tutti d'accordo. Alziamo il minimo a cinque sterline. »

« Ci sto», grugnì Sean, e un mormorio di approvazione risuonò intorno al tavolo. Con tanto denaro in ballo, da principio prevalse un'aria di cautela, poi lentamente il gioco si riscaldò. La fortuna di Sean girò un poco, ma in capo a un'ora una serie di piccole vincite aveva portato il suo malloppo a un totale di settantacinque sterline.

Quindi Sean distribuì una mano alquanto singolare.

Il primo giocatore alla sinistra di Sean rilanciò, lo stesso fece Odor di Cavallo, il terzo vide e Sean aprì a ventaglio le sue carte.

Con un senso di euforia scoprì il sette, l'otto, il nove e il dieci di fiori... Con un asso di quadri. Una cara, dolcissima scala servita.

«Copro le vostre venti, piú altre venti» annunciò, suscitando un piccolo moto di eccitazione tra gli astanti.

«Ci sto. » Il numero uno era a corto di contante.

« Anch'io. » Odor di Cavallo buttò il proprio oro nel piatto.

«Io vado. » Il numero tre e posò le proprie carte e le spinse di lato.

Sean guardò il numero uno. «Quante carte? »

«Giocherò con queste.» Sean avvertì la prima premonizione di disastro.

« E tu? » chiese a Odor di Cavallo.

« Anch'io sto bene così. »

Due serviti contro la sua scala; e, a giudicare dalla distribuzione dei semi, dato che lui aveva quattro fiori, era probabile che uno dei suoi avversari avesse in mano un colore. Con una sensazione di nausea allo stomaco, Sean capì d'essere nei guai, di avere una mano perdente.

Rompere la scala nella speranza di pescare un altro fiori... Non sarebbe stato ancora sicuro di vincere, ma valeva la pena di tentare.

« Una carta », disse. Buttò l'asso di quadri tra gli scarti e si servì da sopra il mazzo.

« Sta a me parlare », disse il numero uno. La sua faccia irradiava fiducia. « Rilancio di... Altre quaranta. Ragazzi, vedermi vi costa ottanta sterline. Fatemi sentire il suono dei vostri quattrini. »

« Mi piacerebbe farti sudare... Ma è il limite. Vedo. » La faccia di Odor di Cavallo era completamente inespressiva, ma la sua fronte luccicava.

« Lasciatemi leggere», disse Sean, poi riunì le proprie carte e, da dietro le altre quattro, spinse in fuori quella che aveva pescato. Ne-ro... La scoprì un pò di piú... Un fante nero. Sentì la pressione salire lentamente dentro di sé, come acqua in ebollizione all'interno di una caldaia. Tirò un lungo respiro e scoprì completamente la carta.

« Vedo anch'io », disse, buttando fuori il fiato.

« Poker! » gridò il numero uno. « Poker di regine... Battetemi un pò questo, razza di bastardi! »

Odor di Cavallo sbatté rabbiosamente le carte sul tavolo, con il faccione rosso contratto in una smorfia di disappunto. « Maledizione... Sfortuna delle sfortune. Avevo colore con l'asso. » Il numero Pagina 21

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) uno ridacchiò per l'eccitazione e stese una mano sul denaro.

« Un momento, amico », disse Sean, e spiegò le sue carte sul tavolo.

« E' colore. Il mio poker di regine lo batte », protestò il numero uno.

« Ehi, non sai contare? » fece Sean, picchiando un indice su ogni carta via via che la nominava, «sette, otto, nove, dieci e fante...

tutti fiori. Scala reale! Vieni secondo a una giornata di marcia. »

Sollevò la mano dell'altro dai quattrini, li trasse a sé e cominciò a disporli in pile di venti.

Il volto ancora contratto dalla rabbia, Odor di Cavallo volle dire la sua: « Tu e la fortuna siete culo e camicia ».

« Già », assentì Sean. Duecentosessantotto sterline. Niente male.

«Curioso come ti assista quando il piatto è grosso», continuò Odor di Cavallo. «E specialmente quando sei tu a dare le carte.

Quale hai detto che è la tua professione? »

Senza alzare gli occhi, Sean cominciò a trasferire le pile di sovrane nelle varie tasche. Sorrideva lievemente. La giusta conclusione di una serata perfetta, si disse.

Una volta messo al sicuro il denaro, Sean guardò Odor di Cavallo, allargando un poco il sorriso. « La sistemiamo fuori questa faccenda, amico? »

« Sarà un piacere. » Odor di Cavallo spinse indietro la sedia e si alzò. Quindi cominciò a scendere la scala che portava al cortile sul retro, seguito da Sean e da tutti gli avventori del locale. Arrivato in fondo si fermò, prestando orecchio ai passi di Sean sui gradini di legno... Poi si girò di scatto e colpì, accompagnando il pugno con tutto il peso del corpo in rotazione.

Sean ruotò la testa, ma il pugno lo colse alla tempia ed egli stramazzò all'indietro, sulla folla che si pigiava alle sue spalle. Mentre cadeva vide Odor di Cavallo scostare la falda della giacca ed estrarre un coltello, che brillò come argento satinato alla luce che trapelava dalle finestre dell'osteria... Un coltello per scuoiare, ricurvo, con una lama di venti centimetri.

La folla si sparpagliò, lasciando Sean disteso sui gradini, e l'uo-mo avanzò per ucciderlo, sferrando dall'alto un colpo goffo, da di-lettante.

Appena un pò intontito, Sean seguì con facilità il guizzo argen-teo della lama, e il polso dell'omaccione sbatté rumorosamente nella sua mano aperta.

Per qualche istante Odor di Cavallo restò sopra Sean, il braccio col coltello immobilizzato nella stretta dell'avversario, mentre Courteney raccoglieva le forze... E si doleva per quell'incontro impari. Odor di Cavallo era piuttosto grosso, ma il ventre premuto contro quello di Sean era flaccido, e troppo ossuto il polso stretto nella sua mano, senza la salda elasticità dei tendini e dei muscoli.

L'omaccione ce la stava mettendo tutta, tentando di liberare la mano destra, il sudore gli coprì il volto e cominciò a gocciolare...

emanava un puzzo di burro rancido che mai si amalgamava con l'a-frore equino.

Sean aumentò la stretta sul suo polso, usando dapprima soltanto la forza dell'avambraccio.

« Aah! » Odor di Cavallo smise di affannarsi. Allora Sean fece forza con tutto il braccio, tanto da sentire i muscoli della spalla contrarsi e fremere.

« Cristo! » Con uno scricchiolio, l'osso del polso si spezzò, le di-ta si schiusero e il coltello cadde sui gradini di legno.

Sempre stringendo l'avversario, Sean si mise seduto, poi si alzò lentamente in piedi. « Fila, amico. »

Gettò l'uomo nella polvere del cortile. Sean respirava pesantemente, ma era ancora freddo e distaccato, mentre guardava Odor di Cavallo che si sollevava sulle ginocchia, sostenendo il polso spezzato con l'altra mano.

Forse fu il primo accenno di fuga da parte dell'avversario a sca-tenare Sean... O forse era il liquore che aveva ingurgitato a distorcere i suoi sentimenti, accrescendo il suo senso di frustrazione e inca-nalandolo in quell'accesso di odio insensato.

Improvvisamente gli parve di avere davanti la fonte di tutti i Pagina 22

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro) suoi guai... Quello era l'uomo che gli aveva tolto Ruth! « Sporco bastardo! » ringhiò.

L'uomo avvertì il mutamento in Sean e si alzò in piedi, guardandosi disperatamente intorno alla ricerca d'una via di scampo.

«Sporco bastardo maledetto! » gridò Sean con voce stridula, sopraffatto dalla nuova emozione. Per la prima volta in vita sua desiderava uccidere. Avanzò lentamente verso l'uomo, i pugni che si aprivano e chiudevano, il volto contratto, parole insensate che gli uscivano dalla bocca.

Un grande silenzio si era creato nel cortile. Nell'ombra, gli uomini trattenevano il fiato, raggelati dal fascino spaventoso della scena. Anche Odor di Cavallo era impietrito, soltanto la testa si muoveva e nessun suono usciva dalla sua bocca spalancata... E Sean si avvicinava col movimento ondeggiante di un cobra pronto ad attaccare.

All'ultimo momento l'uomo cercò di scappare, ma aveva le gambe deboli e appesantite dalla paura. Sean lo colpì al petto, e il tonfo fu simile a quello di un'ascia sul tronco di un albero.

Odor di Cavallo cadde, e Sean gli si buttò addosso; continuò a colpirlo ruggendo frasi incoerenti. Una sola parola era comprensibi-le: il nome della donna che amava. Nel suo furore sentì la faccia dell'uomo che si spaccava sotto i suoi pugni, sentì lo schizzo caldo del sangue sul suo volto e le sue braccia, udì le grida della gente.

« Lo ucciderà! »

« Tiratelo via! »

« Per l'amor di Dio, datemi una mano... è forte come un bue infuriato! »

Le mani della gente su di lui, il braccio stretto da dietro intorno alla sua gola, il trauma quando qualcuno lo colpì con una bottiglia, la pressione dei corpi che si lanciavano su di lui.

Benché avesse due uomini a cavalcioni sulla schiena e una dozzina d'altri aggrappati alle gambe e alle braccia, Sean si alzò in piedi.

« Buttatelo giú, accidenti! »

« Mandatelo gambe all'aria! »

Con uno sforzo convulso, Sean fece cozzare gli uni contro gli altri coloro che gli tenevano le braccia. Lo lasciarono andare.

Scalciando, liberò la gamba destra, e coloro che gli tenevano la sinistra scapparono da tutte le parti. Portando le mani al di sopra delle spalle, si strappò gli uomini dalla schiena e rimase solo, il petto che si alzava e si abbassava per l'affanno, il sangue che sgorgava dalla ferita prodotta dalla bottigliata in testa, scorrendo sul volto e intridendo la barba.

« Prendete un'arma! » gridò qualcuno.

« C'è un fucile sotto il banco dei bar. »

Ma nessuno si allontanò dal circolo che attorniava Sean, il quale lanciava occhiate selvagge da quella maschera di sangue che era il suo volto.

« L'hai ammazzato! » lo accusò una voce.

Queste parole riuscirono a penetrare attraverso il furore di Sean; il suo corpo si rilassò un poco, mentre tentava di tergere il sangue con il palmo della mano aperta. Gli altri notarono il mutamento.

«Calmati, amico. Divertirsi è un conto, ammazzare la gente è un altro. »

« Basta, adesso. Vediamo come l'hai conciato. »

Sean guardò il corpo e dapprima si sentì confuso, poi, di colpo, spaventato. L'uomo era morto... Non aveva il minimo dubbio in proposito. «Oh, mio Dio! » bisbigliò, arretrando; cercò di asciugar-si gli occhi, ma riuscì soltanto a diffondere il sangue.

«Ha tirato fuori il coltello. Non preoccuparti, amico, siamo tutti testimoni. »

L'umore della folla era mutato.

«No», mormorò Sean; non capivano. Per la prima volta in vita sua aveva abusato della propria forza, servendosene per uccidere senza scopo. Uccidere per il piacere di farlo, uccidere come uccide il leopardo.

In quel momento l'uomo si mosse lievemente. Girò la testa, una gamba ebbe una contrazione. Sean sentì rinascere la speranza. «E'

vivo! »

Pagina 23

Wilbur Smith - La Voce Del Tuono (Ita Libro)

« Chiamate un dottore! »

Timorosamente Sean si avvicinò all'uomo e, inginocchiatosi, si tolse il fazzoletto che portava al collo, usandolo per ripulirgli dal sangue la bocca e le narici.

« Se la caverà... Lasci fare al dottore. »

Il medico arrivò, un uomo scarno e di poche parole che masticava tabacco. Alla luce gialla di una lanterna esaminò il ferito, mentre gli altri facevano ressa intorno, cerrando di guardare al di sopra delle sue spalle. Infine si alzò. « Okay. Può essere mosso. Portatelo nel mio ambulatorio. » Guardò Sean. « E' stato lei? »

Sean annuì.

« Mi ricordi di non farla mai irritare. »

« Non volevo... è successo senza che me ne rendessi conto. »

« Davvero? » Uno schizzo giallo di tabacco si spiaccicò sulla polvere del cortile. « Mi faccia dare un'occhiata alla sua testa. » Abbassò il capo di Sean alla propria altezza e spartì i capelli intrisi di sangue. « Ha leso una vena. Non c'è bisogno di punti. Lavi la ferita e ci metta un pò di iodio. »

« Quant'è, dottore, per l'altro tizio? »

« Paga lei? » Il medico lo guardò con aria interrogativa.

« Sì. »

« Mascella spezzata, idem la clavicola, circa due dozzine di punti e qualche giorno di letto per la commozione cerebrale... Facciamo due ghinee. »

Sean gliene diede cinque. «Abbia cura di lui, dottore. »

« E' il mio mestiere », disse il medico, e seguì gli uomini che trasportavano Odor di Cavallo fuori del cortile.

« Immagino che le ci voglia un cicchetto adesso. Venga, offro io », disse qualcuno. La gente ama i vincitori.

« Sì », ammise Sean. « Ne ho proprio bisogno. »

I bicchieri furono piú d'uno. Quando Mbejane venne a prenderlo, a mezzanotte, fece una fatica del diavolo a issarlo sul cavallo. A metà strada dall'accampamento Sean scivolò di lato e cadde sulla strada. Mbejane lo caricò di traverso alla sella, la testa e le braccia ciondoloni da una parte, le gambe dall'altra.

« Domani ti pentirai di questo », gli disse solennemente lo zulu, mentre lo scaricava accanto al fuoco e, ancora con gli stivali e coperto di sangue, lo avvolgeva nelle sue coperte.

Aveva ragione.

La voce del tuono
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