115
«VG», martedì 2 ottobre 2007
LENNART HJERTNES NON PUÒ ESSERE INCARCERATO DUE VOLTE
Ha già scontato la pena per un delitto che non aveva commesso, quando fu ritenuto colpevole dell’omicidio di Hanne Elisabeth Wismer nel 1973.
Il cinquantacinquenne Lennart Hjertnes, il cui cognome in precedenza era Hoen, è attualmente agli arresti. Il PM ne ha ottenuto la custodia cautelare per otto settimane con divieto di corrispondenza e di accesso ai media. Ma è impossibile essere condannati due volte per lo stesso delitto: lo ha affermato ieri la pubblica accusa, nella persona del legale della polizia Marie Sagen, nel corso di una riunione al Ministero della giustizia.
Alla riunione hanno inoltre preso parte il ministro, Knut Lilledrange, il capo della polizia criminale, Martin Egge, la responsabile del reparto omicidi del distretto di Oslo, Ingeborg Myklebust, e il responsabile delle indagini, l’ispettore Cato Isaksen.
Hjertnes, a ogni modo, non potrà subire un’altra condanna per l’omicidio della stessa persona, dal momento che ha già scontato tredici anni in carcere per aver ucciso Hanne Elisabeth Wismer (17 anni) negli anni Settanta. È stato rilasciato nell’ottobre del 1984, dopo che aveva scontato la pena. Impronte riconducibili alle sue scarpe da ginnastica sono state trovate nell’appartamento della signora Wismer (52 anni), a Stovner. La donna viveva sotto il falso nome di Britt Else Buberg. Le orme sono le stesse rilevate dalla polizia nel bosco nei pressi del campeggio di Rødvassa, dove in agosto è stato scoperto il vestito di Lilly Rudeck, la ragazza scomparsa. Il fratello del presunto assassino, Ewald Hjertnes, conferma che Lennart era in possesso di un paio di Nike bianche (numero 44) dello stesso modello di quelle identificate dalla polizia.
È pertanto certo che Lennart Hjertnes è l’autore dell’omicidio di Stovner, commesso il 23 luglio. Un autista dell’autobus, passato quella sera davanti alla fermata accanto al complesso di palazzi, ha successivamente identificato l’uomo da una fotografia. La pubblica accusa sta ora tentando di far condannare Hjertnes per l’uccisione della ragazza scomparsa, Lilly Rudeck. Ma può l’apparato giudiziario tollerare una nuova incriminazione di carattere esclusivamente indiziario?
Randi Johansen gettò via il giornale. «Non riesco a capire perché abbia ammazzato la Wismer quando si è accorto che era ancora viva. Avrebbe potuto ottenere un risarcimento stratosferico». Si aggiustò la giacca. «È stato condannato ingiustamente. Avrebbe potuto guadagnarsi milioni di corone. Sarebbe potuto diventare una specie di eroe. Anzi, se conosco bene la stampa, lo sarebbe diventato senz’altro», aggiunse.
«Forse i soldi non sono nulla di fronte a una vita distrutta», disse Marian Dahle. «Aveva comunque commesso una violenza carnale, quindi non era del tutto innocente. La causa scatenante è certamente l’odio. L’odio è una fiamma inestinguibile. Dev’essere sbattuto dietro le sbarre».
Cato Isaksen entrò nella stanza. «Maria Sagen dice che ci sono indizi più che sufficienti: le scarpe sporche del terriccio presente nel punto in cui è stato rinvenuto il vestito; l’abito e le mutandine di Lilly Rudeck, con tracce di liquido seminale, e la barca, che è stata trovata mentre andava alla deriva».
«Non dev’essere rimesso in libertà!». Randi Johansen si alzò. «Ma potrà la giustizia condannarlo ancora una volta solo sulla base degli indizi? Non ci si può permettere un altro errore giudiziario».